L'ossessione televisiva

 
L'OSSESSIONE TELEVISIVA
di Curzio Maltese
 
LA REPUBBLICA   -   15 marzo 2010   pag. 1 e 24
 
La televisione conta poco o nulla nel consenso a Berlusconi? A parlare dei processi e degli scandali che riguardano il premier gli si fa soltanto un favore? Invece di rompere le tasche da anni a noi «antiberlusconiani», i professorini di liberalismo dovrebbero spiegare questi concetti al diretto interessato. Dalle intercettazioni pubblicate da Il Fatto e riprese da tutti, pare infatti che il Cavaliere non si occupi d'altro che di controllare la televisione e i suoi controllori.
Mentre il Pil crolla e i premi Nobel per l´economia pronosticano la bancarotta dello Stato italiano, il presidente del Consiglio trascorre le serate a «concertare» con il commissario dell'Agcom Giancarlo Innocenzi e con altri sottoposti il modo di chiudere Annozero, si sbatte per impedire in futuro l'accesso agli studi Rai a Eugenio Scalfari ed Ezio Mauro, ordina l'oscuramento perpetuo di Antonio Di Pietro, perde perfino tempo a spiegare a Minzolini che cosa deve dire nell'editoriale del giorno dopo. Tutto purché non passi nel servizio pubblico una mezza informazione sui processi e gli scandali che lo riguardano. Al resto, ci pensano i fidi direttori dei tiggì.
È un concentrato nauseabondo di regime quello che emerge dai dialoghi al telefono. Un padrone ossessivo e dittatoriale che impartisce ordini pazzeschi a un branco di servi contenti. Nel novembre scorso, alla vigilia di una puntata di Santoro dove figura fra gli invitati, Maurizio Belpietro, classico giornalista da riporto, telefona al padrone per informarlo che si parlerà del caso Mills. Berlusconi diventa una furia, chiama il suo uomo all'Autorità delle Comunicazioni, Innocenzi, e gli affida la missione di impedire la messa in onda del programma. Innocenzi chiama il direttore generale della Rai che un pò si lamenta («nemmeno in Zimbabwe») ma poi illustra allo sprovveduto censore il sistema per bloccare Santoro. In futuro però, perché per impedire la messa in onda la sera stessa bisognerebbe fare un golpe. Ipotesi ancora prematura. Nel frattempo il premier del fare ha già sparso minacce e pressioni per mezza Italia e inviato in missione Letta da Calabrò, presidente dell'Autorità. Un copione simile si rivede ogni volta che Annozero affronta le questioni giudiziarie del premier, per esempio nei giorni della deposizione del pentito Spatuzza. In questo caso scatta anche la rappresaglia sotto forma di editoriale di Minzolini. Quello che teme chi vuole dimezzarne la professionalità. Ponendo un affascinante quesito matematico: si può dimezzare lo zero assoluto?
Ma qui nello Zimba, nemmeno Zimbabwe, si può tutto. Nessuno si scandalizza. Il direttore del Tg1 sostiene che sia normale per un giornalista prendere ordini dal presidente del Consiglio. «Altrimenti che giornalista sarei?». Quando si dice una domanda retorica. I professori di liberalismo invitano, come sempre quando si tratta di persone di rispetto, a non criticare (ovvero: «linciare») nessuno prima che siano provati i reati in maniera definitiva. Quindi, mai. In Italia infatti i processi a potenti da decenni non giungono a sentenza definitiva. In compenso la libera informazione italiana può sempre sfogarsi mettendo alla gogna mediatica qualsiasi anonimo poveraccio incappato in un'indagine su un delitto di periferia, senza suscitare le ire dei garantisti nostrani. Così com'è un costume diffuso in Europa, nel Nord America e finanche in molte democrazie africane e asiatiche, esprimere giudizi etici e politici sui comportamenti delle figure pubbliche addirittura - sebbene alcuni opinionisti indigeni non lo crederanno mai - in assenza di veri e propri reati.
Se dalle intercettazioni e dai comportamenti concreti del commissario Innocenzi e del direttore Minzolini, funzionario e dipendente pubblico, emerge una totale sottomissione a un capo politico, non c'è alcun bisogno di aspettare l'esito dell'inchiesta di Trani per dare un giudizio del loro operato. Almeno se si vuole continuare a fingere di essere un paese normale.
Peraltro, a volte queste cose accadono anche in paesi meno normali. Tanto per rimanere in tema, tre anni fa a Bulawayo l'arcivescovo Pius Ncube, anche in seguito alla protesta dei fedeli, rassegnò le dimissioni per potersi difendere «più liberamente e senza coinvolgere la Chiesa» in un processo per reati sessuali. Bulawayo è nello Zimbabwe.