I disabili che disturbano a scuola


I disabili che disturbano a scuola
di Evelina Santangelo

IL FATTO QUOTIDIANO   -   29 settembre 2010   pag. 18

C'è un'inaudita violenza nascosta nelle opinioni di "tutti" di cui l'assessore all'istruzione del comune di Chieri ha voluto farsi paladino dichiarando, in consiglio comunale, che "i ragazzi disabili nelle scuole disturbano gli altri alunni e non imparano nulla". E la prima violenza, tanto più odiosa quanto dissimulata, sta in quel modo liquidatorio di definire i "disabili" "ragazzi che con l'istruzione non c'entrano nulla", esemplari della specie "disabili", dunque, il cui tratto distintivo è l'essere portatori di un qualsiasi indiscriminato handicap.
NÉ MENO liquidatorie sono le conclusioni: "Non sempre mamma e papà sono d'accordo, ma è nostro compito convincerli", convincerli ad affidare i figli a "comunità specializzate". Parole che suonano tanto più sinistre quanto più risultano arbitrarie, visto che nel nostro paese nessuno oggi si può arrogare il diritto anche solo di pensare che sia suo compito "convincere" un genitore a non mandare il proprio figlio a scuola assieme agli altri ragazzi. Sinistre, arbitrarie, pericolose, perché trincerandosi dietro l'"ovvietà" dell'opinione corrente (le opinioni di tutti e di nessuno in particolare, che mettono a posto le coscienze dinanzi a ogni abuso), smantellano quel che si è costruito nel nostro paese dagli anni 70 ad oggi sul piano culturale, legislativo, organizzativo, per combattere uno stato di cose che relegava la disabilità a una condizione di emarginazione e segregazione. Uno stato di cose che negli anni 60 vedeva relegati in scuole speciali e differenziali anche studenti con svantaggio socio-culturale. Ora, le dichiarazioni dell'assessore Pellegrino si potrebbero anche liquidare come uno "sproposito", se non fosse che oggi considerazioni di questo tipo cadono invece perfettamente "a proposito". "A proposito" di quel che è, di fatto, accaduto nella scuola italiana, dopo i recenti tagli all'istruzione, ad esempio, dove, tra le altre cose, non è più possibile rispettare il tetto di 25 allievi per classe – fissato per favorire lo sviluppo di una scuola capace di includere il disagio, la disabilità –, e dove la carenza di insegnanti specializzati per il sostegno è spesso ovviata con l'utilizzo di insegnanti in soprannumero. "A proposito" di quel che continua a succedere ad Adro, dove permangono i 700 simboli della Lega, simboli di un partito la cui sostanza ideologica xenofoba e razzista è già tutta dispiegata in quell'opuscolo degli Enti Locali Padani Federali a cura di Giorgio Mussa (pubblicato e divulgato nel dicembre 1998 dal movimento), che si chiude con "No all'invasione, difendiamo il nostro popolo!". E per difendersi dall'invasione si è persino visto l'odierno presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota (da capogruppo della Lega Nord alla Camera) presentare in Parlamento (nel 2008) una mozione in cui si auspicava "una scuola capace di supportare una politica di discriminazione transitoria positiva a favore dei minori immigrati", dove la fumosa alchimia linguistica faceva delle "discriminazioni" il fulcro di una politica volta a promuovere classi differenziali su base razzia-le. Poiché una logica identitaria fondata sull'esclusione di chi non è simile ai simili o di chi non è conforme all'idea di identità imposta per via ideologica non pone limiti alla discriminazione, le parole dell'assessore di Chieri cadono giusto "a proposito" anche dell'emendamento appena presentato alla Regione Lombardia dalla Lega dove si chiede di "sostenere in via prioritaria gli studenti lombardi riguardo agli interventi a favore del diritto allo studio", contro chi è, evidentemente, straniero perché non-lombardo, praticamente tutto il resto degli italiani... per i quali, a loro volta, valgono ulteriori criteri discriminatori in una visione della scuola che ha messo da parte l'emancipazione e la mobilità sociale, in nome di una logica ferrea dell'efficienza e della produttività.
UNA LOGICA che, in termini formativi, ha significato sostanzialmente dare più chance a chi ne ha già di più, discriminando tutto quell'universo di realtà che partono da uno svantaggio sociale, culturale ed economico. Basta constatare la sperequazione tra regioni del Nord e regioni del Sud riguardo alla presenza sul territorio di scuole a tempo pieno. Basta constatare l'entità del "buono scuola" che la Regione Lombardia stanzia per un liceo privato parificato esclusivo come il Leone XIII (come risulta da un'inchiesta di Riccardo Iacona). Così, se andiamo a guardare da vicino questo nostro paese – tra le scuole ridotte a elemosinare finanziamenti sempre più magri e quelle costrette   a chiedere un contributo ai genitori per garantire addirittura la carta igienica – è sconcertante l'immagine che ci restituisce. L'immagine di una società sempre più concepita da chi governa con una logica di classi differenziali dove i discrimini in termini etnici, geografici, sociali, economici, culturali, o in termini di "abilità" sta assumendo sempre più i tratti di una minuziosa, notarile, ordinaria discriminazione senza fine.
 
 
 

Regalo per Berlusconi e Bersani: da Messina a Firenze alla Val di Susa Comitati uniti contro le Grandi Opere

 
Rete NO PONTE
NO TAV Val di Susa
NO TUNNEL TAV Firenze
 
 
29 settembre 2010
 
La prima settimana di ottobre 2010 vede una serie di iniziative che interessano, non solo simbolicamente, tutta Italia: il 2 ottobre cominciano i "NO PONTE" tra Sicilia e Calabria per dire "no al ponte" più assurdo che sia mai stato immaginato; continueranno il 9 ottobre a Firenze i "NO TUNNEL", i comitati che si oppongono ad un pericolosissimo tunnel TAV di 7 chilometri sotto una delle più importanti città d'arte; sempre il 9 i "NO TAV" della Val di Susa parteciperanno ad una manifestazione indetta dalla Comunità Montana e dai sindaci della loro valle per dire "no al corridoio ferroviario" che esiste solo nella mente di chi vuol lucrare dalla costruzione di opere inutili. Tre luoghi simbolici che riuniscono, dall'estremo Nord al profondo Sud, passando dal centro, una Italia impoverita dalla speculazione, rassegnata al degrado, narcotizzata da una informazione distorta, devastata da una enorme colata di cemento.
 
Le grandi opere sono ormai una delle anomalie più gravi che attanagliano l'Italia. La serie di luoghi comuni a sostegno di questi inutili progetti, ripetuti dai governi che si sono succeduti negli ultimi venti anni, sono smentiti ogni giorno di più:
- Non generano occupazione: la realizzazione di opere ad alta concentrazione di capitali e mezzi genera alti profitti, ma se queste risorse pubbliche fossero destinate alla messa in sicurezza sismica ed idrogeologica dei territori, nel sostegno ad una mobilità utile e sostenibile garantirebbero un saldo occupazionale nettamente favorevole.
- Non sono utili: se analizziamo tutte le grandi opere contestate in questo periodo vediamo che rispondono a bisogni inesistenti o sono formule sbagliate per la soluzione dei problemi; questo consente di poter proporre sempre nuove infrastrutture da realizzare e generare nuovi appalti.
- Sono dannosi: tutti i progetti di cui ci occupiamo provocheranno danni enormi all'ambiente e alle città interessate; questo consentirà ulteriori appalti ai costruttori che naturalmente si propongono per realizzare opere compensative, sempre a carico dello stato, cioè dei contribuenti.
- Hanno costi smisurati: l'Italia è il paese dove queste opere raggiungono oneri quattro o cinque volte più alti che in tutte le altre parti del mondo; la struttura dei contratti che generano questi costi smisurati è molto pericolosa in quanto garantisce ai costruttori addirittura di controllare il flusso dei finanziamenti e di non avere alcun rischio economico.
- Sono concentrazione di ricchezza a scapito della collettività: acquisire una tale massa di risorse economiche collettive per realizzare opere di nessuna utilità pubblica, addirittura causando danni enormi, equivale ad un furto di ricchezza per i cittadini a favore dei soliti noti.
 
Questo convergere di lotte in punti altamente simbolici del nostro paese non è frutto solo del caso, ma sintomo del forte disagio che attanaglia il nostro paese, segno che la difesa del proprio territorio, della propria città, della salute e delle condizioni di vita è ancora un baluardo contro un anomalo sviluppo guidato da un sistema economico/politico/mafioso che non esita a sacrificare ambiente e viventi per il proprio profitto.
Questa "settimana contro la grandi opere" potrebbe essere uno dei primi sintomi di una rinascita della politica italiana, stimolata dai cittadini stessi, davvero stanchi del livello culturale della politica istituzionale ormai prossimo al collasso morale e della rappresentatività.
Qualsiasi nuovo governo dotato di un minimo di credibilità politico-programmatica non può che muovere dalla CANCELLAZIONE della Legge Obiettivo e dal ritorno ad una vera pianificazione nazionale dei trasporti,che muova da reali istanze di mobilità sostenibile, evitando gli sprechi e gli sfasci favoriti da questa normativa.
 
 
 

Quando cencio dice male di straccio ...

 
CAIMANO OFFSHORE
Fini ha ragione: grazie ai conti nei paradisi fiscali B. ha pagato mazzette ed evaso il fisco
di Antonella Mascali

IL FATTO QUOTIDIANO   -   26 settembre 2010   pag. 5

La falsa campagna moralizzatrice dei "berluscones" contro le società off shore, per colpire Gianfranco Fini, non poteva che provocare una facile risposta del presidente della Camera, dopo la rottura con il cavaliere: "Sia ben chiaro: personalmente non ho né denaro, né barche, né ville intestate a società off shore, a differenza di altri che hanno usato, e usano, queste società per meglio tutelare i loro patrimoni familiari o aziendali e per pagare meno tasse". Sottinteso, naturalmente, il nome di Silvio Berlusconi, il re dei fondi neri all'estero. Lo hanno accertato sentenze definitive. Come quella per il corrotto e prescritto avvocato David Mills, il mago delle off shore del premier. O la sentenza del processi All Iberian 2, che ha accertato una colossale evasione fiscale, 1500 miliardi di lire, ma non ha potuto decretare la condanna di Berlusconi. Come? Grazie a una delle sue leggi, quella sulla depenalizzazione del falso in bilancio, " il fatto non costituisce più reato".

Ville, barche e soldi
FINI ha parlato anche di ville e barche. Si riferiva ad almeno sei ville che il suo ex alleato possiede tra Antigua e le Bermuda, intestate a off shore. Berlusconi è proprietario anche di una barca di 48 metri, valore all'incirca 13 milioni di euro. È intestata alla società Morning Glory Yachting Limited, neanche a dirlo, con sede alle Bermuda.
Il salto verso i fondi neri, il Cavaliere l'ha compiuto a metà anni' 90 servendosi di Mills, soprannominato l'architetto delle off shore. Le società occulte all'estero hanno permesso a Berlusconi di accantonare centinaia di miliardi di lire, di evadere il fisco, di pagare mazzette, come i 21 miliardi a Bettino Craxi, di eludere la legge Mammì, che all'epoca impediva a un editore di avere più di 3 televisioni. Il cavaliere, invece, era anche l'azionista di maggioranza, segreto, di Tele più. La sentenza di primo grado del processo Fininvest- Gdf del '96 ha stabilito che alcuni militari delle fiamme gialle si sono fatti corrompere proprio per non indagare sulle off shore del biscione. In appello e in Cassazione le prove per condannare il premier non sono state ritenute sufficienti. In secondo grado ha contribuito alla sua salvezza, la falsa testimonianza di Mills del novembre '97. Sappiamo adesso che per quella, come per un'altra deposizione reticente, al processo All Iberian, gennaio'98, illegale ha avuto 600 mila dollari. E per queste dichiarazioni taroccate in suo favore, Berlusconi è ancora sotto processo. Sospeso, come gli altri procedimenti, grazie ai vari scudi. Ai giudici milanesi di All Iberian, Mills ha nascosto tra l'altro anche i reali beneficiari di "Century One" ed "Universal one", le due off shore nell'isola di Guarnsey, intestate a Marina e Piersilvio Berlusconi, per decisione del padre. Un fatto che scopriranno nel 2004 i pm Fabio De Pasquale e Alfredo Robledo. Mentre i difensori di Berlusconi fino ad allora avevano ripetuto che erano"società del tutto estranee a Fininvest e Mediaset".

I falsi in bilancio
I FALSI in bilancio, conseguenza del vizietto delle off shore, hanno portato a un altro processo: quello per la compravendita dei diritti tv di Mediaset. Ma grazie a un'altra delle leggi ad personam, la ex Cirielli, che ha accorciato la prescrizione, sono state azzerate la frode fiscale per 120 miliardi di lire e l'appropriazione indebita per 276 milioni di dollari, fino al 1999. Restano in piedi quelle fino al 2003. C'è poi una costola di questa indagine, denominata "Mediatrade-Rti", in fase di udienza preliminare, bloccata sempre per il legittimo impedimento. Berlusconi è accusato di appropriazione indebita e frode fiscale. Mentre il figlio Piersilvio e il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri di frode fiscale, fino al settembre 2009. Secondo la procura di Milano, Mediaset avrebbe nuovamente falsificato i bilanci e gonfiato i costi per l'acquisto di diritti tv da major americane. I soldi, 100 milioni di dollari, sarebbero transitati su banche estere e, in gran parte, confluiti su conti riconducili a Berlusconi e ad alcuni suoi manager. A Silvio Berlusconi, sono contestate operazioni tra il 2002 e il 2005. Anni, come per l'inchiesta madre, in cui era sempre presidente del Consiglio.



PRIMA DI FINI E TULLIANI
QUANDO SAINT LUCIA NON COLLABORAVA
di Beatrice Borromeo e Stefano Feltri

IL FATTO QUOTIDIANO   -   26 settembre 2010   pag. 5

Saint Lucia non è più quella di una volta. Il ministro della Giustizia del paradiso fiscale caraibico, Rudolph Francis, due giorni fa ha spiegato come tutta la gestione del dossier Fini-Tulliani rientri nelle normali prassi isolane. Ma l'interesse del governo a scoprire chi si nasconde dietro le società off-shore proprietarie dell'appartamento a Montecarlo in cui vive il cognato di Gianfranco Fini sono inedite, così come la strana fuga di notizie che ne è seguita, con la lettera tra Francis e il primo ministro Stephenson King rivelata dalla stampa di Puerto Rico. Basta ricordare due scandali della storia recente di Saint Lucia, gestiti in tutt'altro modo.

IL CONTO CANADESE. Il precedente risale a maggio 2005, quando di fronte a una situazione analoga il governo di Saint Lucia ha reagito molto diversamente. Allora il vicepresidente di un'agenzia governativa canadese, Antonius Gibson, denunciò l'esistenza di un conto segreto della National Conservation Authority, l'ente per cui lavorava e che l'aveva appena licenziato. Secondo Gibson, l'agenzia utilizzava un conto segreto presso la filiale di Saint Lucia della Royal Bank of Canada. In quel caso il responsabile della Royal Bank ai Caraibi ha tempestivamente negato di essere a conoscenza di alcun particolare in merito: "La banca non sa nulla, seguiamo la linea della più rigida confidenzialità", ha detto. E il governo di Saint Lucia non si è preoccupato del buon nome dell'isola, ma ha fatto muro intorno alla banca: il premier di allora Kenny Anthony ha invitato Gibson a fornire la prova delle sue accuse, perché dall'esecutivo non sarebbe arrivata alcun tipo di collaborazione.

SOLDI AMERICANI. E nel 2004 il governo aveva ancora meno scrupoli nel difendere il proprio buon nome che, almeno negli Stati Uniti, è stato distrutto da un duplice scandalo con al centro proprio due immobili. L'ambasciatore di Saint Lucia a New York, Earl Huntley, trasferisce la proprietà di un immobile del governo caraibico a Brooklyn, New York. Il nuovo intestatario è l'organizzatore delle attività di un'associazione culturale di Saint Lucia (esistono negli Usa e in Canada) che lavora nel palazzo. Una volta "privatizzato" il palazzo, viene usato come garanzia per ottenere da una banca un prestito da 150mila dollari. Non si è mai capito bene a chi fossero finiti, ma quasi certamente nelle tasche dell'ambasciatore Huntley che ha sempre sostenuto di aver fatto tutto da solo. Ma perfino un'indagine commissionata dal governo di Saint Lucia ha affermato che forse aveva avuto complici nell'esecutivo. Sempre a New York, lo Stato ha contestato al governo di Saint Lucia di aver evaso 30mila euro di tasse nell'ambito di una compravendita immobiliare nel 2000. I caraibici avevano applicato in America la stessa disinvoltura fiscale che usano in patria, ma non è andata bene. E sempre negli Usa, 25 anni fa, l'attuale ministro degli Esteri caraibico Rufus Bousquet è stato arrestato per aver falsificato il suo passaporto.

SICUREZZA. Più che del buon nome del Paese, a Saint Lucia il governo e gli elettori si preoccupano della sicurezza. E' passata una settimana da quando un uomo armato di fucile ha fatto irruzione nel palazzo del governo, dove si trovava il premier Stephenson King, sparando e uccidendo una persona che aspettava di essere ricevuta. King ha commentato che "l'episodio dimostra che nessuno è sicuro a Saint Lucia". Sull'isola, solo nel 2010, sono state uccise 35 persone (su un totale di 160mila abitanti), e si rischia di superare il record di 43 omicidi del 2008. La criminalità è una delle conseguenze dell'attrazione che l'isola esercita sui capitali sporchi: il Paese è diventato uno snodo del traffico internazionale di droga tra il Sudamerica e l'Europa grazie all'ingente quantità di denaro contante che circola e che alimenta la corruzione, tentazione irresistibile in un Paese dove la Camera conta soltanto 17 deputati eletti tra due partiti (entrambi di sinistra) che da quarant'anni si spartiscono il potere. "I cittadini non si fidano neanche più di chiamare la polizia", affermano gli avversari politici di King. E, come deterrente, a Saint Lucia nel 1999 è stata anche ripristinata la pena di morte per impiccagione.
 
 
 

Friuli, TAV tra promesse e bugie

 
Comitato NOTAV di Trieste e del Carso
 
 
IL FINE GIUSTIFICA I MEZZI?  TRENI AD ALTA VELOCITÀ: TRA PROMESSE E BUGIE

AVEVANO PROMESSO PARTECIPAZIONE:
ma oggi si apprende dalla stampa che il 12 ottobre verrà firmato un accordo tra Italia e Slovenia su un progetto che praticamente nessuno ha avuto modo di vedere e di discutere seriamente…

AVEVANO PROMESSO TRASPARENZA:
ma da alcune settimane stanno lavorando sul Carso e nella bassa friulana delle macchine per sondaggi su una delle possibili linee della TAV senza che neppure i proprietari dei terreni siano avvisati del loro arrivo…

AVEVANO PROMESSO RAGIONEVOLEZZA:
invece continua la solita logica della forza bruta, delle decisioni imposte, della violenza contro le idee e le cose, e ora per superare ogni possibile obiezione pretendono anche la nomina di un Commissario straordinario con poteri quasi assoluti...

AVEVANO PROMESSO RISPETTO DELL'AMBIENTE:
invece continuano a voler devastare il Carso e la vita delle persone che lo abitano, lo lavorano, lo amano…

I SOLDI CHE VOGLIONO SPENDERE SONO NOSTRI:
ci dicono che non bisogna perdere i finanziamenti europei, ma quelli (che sono anche soldi nostri) sono solo una minima parte del costo dell'opera, il resto dovrà metterlo l'Italia, già disastrata economicamente, ovviamente togliendolo da altri servizi essenziali (scuole, sanità, trasporto locale)...

DICONO CHE LA TAV SERVE A MIGLIORARE IL TRASPORTO FERROVIARIO TOGLIENDO CAMION DALLE STRADE:
ma questa è un'opera rivolta solo al trasporto di persone su lunghe distanze e non di merci, intanto in regione nel mese di agosto in soli 21 giorni sono stati soppressi 81 treni per pendolari, 4 al giorno, questo perché manca il materiale (vagoni e locomotori) da utilizzare. Sono questi gli unici investimenti da fare per migliorare il servizio, non faraoniche opere rivolte a pochi…

È ORA DI FARGLI CAPIRE CHE SIAMO STUFI
CHE IL CARSO ED I SUOI ABITANTI HANNO GIÀ PAGATO TROPPO ALLA VIOLENZA DI STRADE E STRUTTURE DALLE QUALI NON HANNO AVUTO NIENTE E CHE NON BASTANO LE "COMPENSAZIONI" AD ACCONTENTARE LA GENTE

"Quando avrete abbattuto l'ultimo albero, quando avrete pescato l'ultimo pesce, quando avrete inquinato l'ultimo fiume, allora vi accorgerete che non si può mangiare il denaro. (Toro Seduto)"

Invitiamo tutti a tenere ben aperti gli occhi su quanto avviene sul territorio ed a segnalare tempestivamente al Comitato la presenza di cantieri sospetti o di trivelle telefonando al 340 0802508 oppure scrivendo a: notavtriestecarso@gmail.com

 
 
Odbor NOTAV iz Trsta in s Krasa
 
 
MAR CILJ POSVEČUJE SREDSTVA?  HITRA ŽELEZNICA (TAV): OBLJUBE IN LAŽI

OBLJUBLJALI SO SODELOVANJE:
toda te dni nas tisk obvešča, da bosta Italija in Slovenija 12. oktobra sklenili sporazum o načrtu, ki si ga doslej nihče ni mogel ogledati in o njem poglobljeno razpravljati…

OBLJUBLJALI SO PREGLEDNOST:
toda že nakaj tednov so na eni izmed možnih tras TAV med Krasom in Spodnjo Furlanijo na delu vrtalni stroji, ne da bili lastniki zemljišč predhodno obveščeni o njihovem prihodu…

OBLJUBLJALI SO RAZUMNOST:
toda uveljavljajo logiko gole sile, vsiljenih odločitev, nasilja nad idejami in naravo, z namenom, da bi utišali oporečnike pa celo zahtevajo imenovanje posebnega Komisarja s skoraj neomejeno oblastjo...

OBLJUBLJALI SO SPOŠTOVANJE OKOLJA:
toda vztrajajo pri uničevanju Krasa in življenja ljudi, ki na njem živijo, ga obdelujejo, ga ljubijo…

DENAR, KI GA NAMERAVAJO POTROŠITI JE NAŠ:
prepričujejo nas, da ne smemo zapraviti evropskih prispevkov, toda slednji (ki so prav tako naš denar) so le neznate delež stroškov za celotni načrt, kateri levji delež bo padel na pleča italijanskih davkoplačevalcev. Gospodarsko izčrpana Italija jih bo zato odtegnila osnovnim javnim uslugam (šolstvu, zdravstvu, krajevnim javnim prevozom)...

TRDIJO, DA TAV KORISTI ŽELEZNIŠKEMU PREVOZU, ČEŠ DA BO S CEST ODSTRANILA TOVORNJAKE:
toda TAV ni namenjena tovornemu prevozu, pač pa le potnikom, ki potujejo na velikih razdaljah. Med tem pa so v naši deželi v 21 dneh avgusta ukinili 81 krajevnih vlakov, 4 na dan, to pa zato, ker primanjkuje vagonov in lokomotiv. Vlagati je potrebno v obstoječo mrežo prevozov na pa v faraonske načrte, ki koristijo le maloštevilnim…

ČAS JE, DA JIH PREPRIČAMO, DA NAM JE TEGA DOVOLJ,
DA JE KRAS S SVOJIMI LJUDMI ŽE PLAČAL PREVISOK DAVEK
NASILJU INFRASTRUKTUR, KI MU NISO PRINESLE NIČESAR,
S TAKO IMENOVALNIMI „KOMPENZACIJAMI"
SE PREBIVALSTVO KRASA NE MORE ZADOVOLJITI

"Ko boste zrušili poslednje drevo, ko boste ujeli poslednjo ribo, ko boste onesnažili poslednjo reko boste ugotovili, da se denarja ne da jesti.
(Sitting Bull)"

Pozivamo vas, da budno spremljate dogajanje na teritoriju in da obvestite Odbor o prisotnosti sumljivih gradbišč ali vrtalnih strojev. Obrnete se lahko na telefonsko številko 340 0802508 ali na elektronski naslov: notavtriestecarso@gmail.com

 
 

Lo stile P2 non muore mai

 
IL PERSONAGGIO Secondo Futuro e Libertà c'è lui dietro i dossier
Dalle ballerine fino a Palazzo Grazioli: i casi de Lavitola
di Gianni Barbacetto

IL FATTO QUOTIDIANO   -   25 settembre 2010   pag. 2 e 3
 
"Se il documento di Saint Lucia è falso, la cosa è grave. Ma se è autentico, è ancor più inquietante". A parlare è Gioacchino Genchi, il consulente che analizzò i tabulati telefonici dell'indagine Why Not condotta nel 2007 da Luigi De Magistris. "In quell'inchiesta c'erano già tutti i personaggi oggi evocati a proposito della campagna contro il presidente della Camera Gianfranco Fini, da Luigi Bisignani fino a Valter Lavitola", spiega De Magistris. "Sì, avevamo già individuato il network eversivo che allora era all'opera su altre vicende, che è riuscito a fermare De Magistris e poi ha proseguito il suo cammino, fino all'operazione Fini", conferma Genchi. Che ripete: "Un network eversivo". E spiega: "Se il documento sulla proprietà della casa di Montecarlo è autentico, vuol dire che il network ha la capacità non di costruire una carta falsa – operazione che sarebbe smentita e diventerebbe controproducente – ma di organizzare una filiera internazionale, di raggiungere un ministro estero, di convincere il governo di uno Stato –Saint Lucia – a rilasciare un documento che poi fa un tortuoso giro, da Saint Lucia all'Honduras, dall'Honduras a Santo Domingo, per poi finalmente approdare in Italia, al sito 'Dagospia' di Roberto D'Agostino. Un'operazione internazionale per mettere sotto scacco la terza carica dello Stato: capisce perché dico che si tratta di un network eversivo?".
Italo Bocchino, capogruppo dei finiani di Futuro e libertà, di questo network ha indicato due nomi: Valter Lavitola, de "L'Avanti!", e Vittorugo Mangiavillani, del "Velino". Entrambi smentiscono. Entrambi hanno avuto un ruolo nelle vicende su cui indagavano De Magistris e Genchi. L'inchiesta Why Not era partita dall'analisi degli affari dell'imprenditore Antonio Saladino, punto di riferimento della Compagnia delle opere al Sud. Ma poi era arrivata a scoprire, secondo le ipotesi dell'accusa, una rete di potere che gestiva insieme informazioni e affari, aveva collegamenti e relazioni, era in grado di conquistare appalti, ma anche di influire sulle istituzioni. Per questo De Magistris s'arrischiò a contestare il reato previsto dalla legge Anselmi, cioè la costituzione di un gruppo segreto, una nuova P2. Lavitola è più volte intercettato nel corso dell'indagine. L'11 giugno 2005, per esempio, parla con Fabio Schettini, segretario particolare di Franco Frattini, ministro e poi commissario europeo: riferisce di imprenditori (settore "riscossione tributi") che gli si erano presentati come amici di Schettini. Non era vero: "Fabio ribadisce a Valter che il comportamento di queste persone è molto scorretto e poi gli riferisce che lui ha solo due amici imprenditori, uno è Salvatore Di Gangi e l'altro Ubaldo Livolsi, pertanto gli deve riferire al più presto chi sono queste persone".
Lavitola, 44 anni, editore e direttore de "L'Avanti!", ha trasformato la gloriosa testata socialista nel foglio dei pretoriani di Silvio Berlusconi. Non ha conquistato molti lettori, ma i finanziamenti pubblici per l'editoria. Ha interessi economici in Brasile, dove ha impiantato la Empresa Pesquera de Barra, che commercia pesce all'ingrosso.Proprio in Brasile, durante la visita ufficiale di Berlusconi del luglio scorso, avrebbe organizzato un'indimenticabile serata di lap dance per Silvio, almeno secondo quanto racconta una delle ballerine coinvolte. E ieri sera, nel bel mezzo della tempesta che lo ha coinvolto, Berlusconi lo ha ricevuto a Palazzo Grazioli.
Mangiavillani, invece, lavora al Velino, l'agenzia giornalistica nata sotto l'ala di Lino Jannuzzi. "Il Velino è stato generosamente finanziato da Antonio Saladino, il principale imputato di Why Not, e ha avuto un ruolo centrale nell'azione di disinformazione che ha poi portato all'estromissione di Luigi De Magistris dalle indagini", ricorda Genchi.
La tempistica di quell'estromissione la ricorda il protagonista, l'allora pm diventato oggi parlamentare europeo dell'Italia dei valori. "Inverno 2007: contesto la violazione della legge Anselmi al deputato Pdl Giancarlo Pittelli. Giugno: nell'indagine entrano il generale della Guardia di finanza Paolo Poletti e, tra gli altri, il costruttore della "cricca" Valerio Carducci. Luglio: perquisisco gli uffici di Luigi Bisignani. Agosto: il capo degli ispettori ministeriali Arcibaldo Miller arriva a chiudere l'ispezione alla procura di Catanzaro e due mesi dopo io sono fuori dall'indagine". C'è una curiosa circolarità nelle storie italiane degli ultimi anni. Tante vicende diverse, da Why Not alle più recenti inchieste sulla "cricca" e sulla "P3", fino alle campagne condotte contro Gianfranco Fini e, su un altro piano, contro l'ex amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo. "I nomi che troviamo sono sempre gli stessi", ribadisce Genchi. "I protagonisti sono sempre quelli di cui avevamo già nel 2007 analizzato i tabulati telefonici". Il network lavora in quell'area di confine tra apparati di sicurezza e agenzie di stampa, giornali e siti on line, mondo politico e aziende telefoniche. Mischia verità e menzogne, nella migliore tradizione delle "intossicazioni informative" dell'intelligence. "Il presidente del Consiglio dovrebbe stare attento", conclude Genchi, "si è affidato a una compagnia che può essere utile nel breve periodo, ma è così pericolosa e incontrollabile che potrebbe finire per danneggiare anche lui".
 
 
 

La nuova tangentopoli nasce in Val di Susa

 
Ambientevalsusa
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ULTIME NOTIZIE sulla Torino -Lyon
 
 
25 settembre 2010:  MARCIA NO TAV RIVALTA - RIVOLI

Negli ultimi giorni qualcosa di nuovo ha cambiato gli equilibri.
L'europarlamentare Vito Bonsignore, ha dichiarato: «Così com'è oggi la proposta Tav è diversa da quella di anni fa, e quindi è un'altra cosa. Le merci saranno poche, molti di più i passeggeri. Diversamente da come sostiene Virano». Ed è scoppiato un macello. Chi si è agitato però non ha notato che già Tremonti alcuni giorni prima aveva chiesto di ridurre i costi troppo alti (1.300 euro al cm oggi), ipotizzando di utilizzare una sola galleria.
Pochi sapevano in quel momento ciò che invece preoccupava il Ministro:
1) mancano i soldi e quei 671 milioni di Euro di finanziamento UE rischiano di far accendere le luci nel buco delle finanze italiane (se lo Stato italiano ricevesse richiesta di "mettere sul piatto" la sua parte di finanziamento, scoppierebbe probabilmente il bubbone da parte della UE;
2) probabilmente Tremonti sapeva già ciò che invece è apparso sui giornali solo domenica 19 settembre, ovvero che il Portogallo aveva appena annullato le gare d'appalto per la tratta Madrid-Lisbona, a causa aumento costi e crisi economica. Si noti bene che per 50 km di una tratta i costi erano 1,9 miliardi di Euro, ovvero 38 milioni a km, non certo 130 come per la Torino-Lyon… eppure il Portogallo ha deciso di sospendere tutto!
A questo punto chi ci legge comincerà ad interrogarsi sulla stranezza di questi dati così difformi, ed allora non ci resta che indicare alcune istruttive letture.
Una scheda su chi questa opera in valle di Susa la progetta: la Tecnimont, un articolo di Gianni Barbacetto, che parla proprio della linea TAV in valle di Susa, intitolato: La nuova tangentopoli? Nasce in Valsusa.
Naturalmente ognuno si farà la sua personale idea su ciò che succede, appare però indiscutibilmente chiaro a questo punto che sono saltate tutte le regole del gioco, che manca il senso della misura come dice il giudice Imposimato.

20 settembre 2010:  LA VALLE DI SUSA? COME UNA PENTOLA A PRESSIONE
La Valle oggi è una pentola a pressione, con il gas acceso al massimo. Si intervallano nei vari centri valsusini le serate informative sul progetto LTF. Gli amministratori che hanno letto i progetti, provano a spiegarli ai cittadini.
Ci sono gli esperti della Comunità Montana, di Habitat e dei vari Comitati No TAV che hanno riletto, sempre più allarmati, i dati di questo ennesimo progetto, il quinto (ufficiale) della serie.
E dopo che da Firenze e dal Mugello sono saliti in valle a spiegare cos'è successo in Toscana, i valsusini sono ancora più preoccupati.
Ci sono i giornali locali che prendono nota e trasferiscono tre volte a settimana i dati del possibile scempio a tutti i cittadini. Si susseguono iniziative di mobilitazione, incontri, marce; riunioni tra esperti, ambientalisti, comitati. Presidi No Tav nascono come funghi, dopo quello di Maddalena, l'ultimo è quello di Vaie.
Poi ci sono i partiti regionali e nazionali affaccendati a garantire agli industriali che gli appalti si faranno. Il PD torinese si dice imbarazzato da una semplice marcia tra le vigne. Mentre il PD in modo puerile prova a pensare di isolare il presidente della Comunità Montana Plano, l'immagine del PD all'estero è ai minimi storici se perfino il quotidiano spagnolo El Pais scrive: PD? En coma y sin respirador… solo in Valle di Susa c'è un po' d'aria?
La situazione si può ben inquadrare riassumendo alcune frasi apparse sui giornali:
Plano, presidente Comunità Montana: "No Tav e amministratori di nuovo uniti: «E' solo l'inizio».
«Restiamo uniti. Ora e sempre resistenza». Ezio Paini, sindaco di Giaglione.
Davide Bono (Movimento Cinque stelle) la «Valsusa è un esempio di responsabilità e libertà».
Chiamparino, sindaco di Torino e possibile candidato alla leadership del PD: "vincere i congressi per isolare Plano", e non sarà un caso se La Stampa titolava in questi giorni: "Blitz nelle sezioni contro i No Tav del Pd".
Le "prove tecniche di resistenza" a Chiomonte sono stae un successo: siamo alle pendici del Rocciamelone e altri luoghi storici per la Lotta di Liberazione, siamo in un imbuto, un territorio di montagna, stremato dalla disoccupazione come gran parte del Paese, ma che ha sempre rifiutato compensazioni ed accordi sottobanco di svendita del territorio. I pochi amministratori che hanno provato a fare il "salto della quaglia" o che si vantano di aver fatto spostare dai loro paesi il tracciato della linea vengono pubblicamente contestati e non c'è da stupirsi, visto che cinque anni fa sulle barricate rifiutavano l'appellativo di "Nimby".
Decine di persone sono al lavoro in ogni paese, amministrazione, Comitato e associazione ambientalista. Leggono i 12 scatoloni di carte dei progetti, fanno osservazioni, cercano di capire quale sarebbe il loro futuro se un progetto del genere si realizzasse. Più leggono, più sentono il bisogno di organizzarsi per opporsi con tutti i metodi legali e non violenti conosciuti.
La pentola è bollente, c'è bisogno di tanto buon senso da parte di tutti. C'è bisogno che ognuno faccia bene il proprio lavoro, nel rispetto delle leggi, delle proprie dirette responsabilità, per il bene, non tanto della Valle di Susa ma di tutto il Paese.

A SARA' DURA! (ma per loro)

 
 

E' morto in cantiere in Svizzera Pietro Mirabelli, alfiere dei diritti del lavoro

 
Medicina Democratica onlus
Sede di Firenze, Piazza Baldinucci 8 r, 50129 Firenze

Associazione di volontariato Idra
 
 
COMUNICATO STAMPA   -   Firenze, 22.9.'10
 
 
PIETRO MIRABELLI, ALFIERE DEI DIRITTI DEL LAVORO, È MORTO IN CANTIERE, IN SVIZZERA.

Una spinta naturale e irresistibile alla giustizia sociale, alla dignità della persona, ai diritti del lavoratore: questo e tanta calda umanità nel DNA di quest'uomo, Pietro Mirabelli, uomo intero, bandiera di un Sud che dopo 150 anni di cosiddetta unità d'Italia l'emigrazione ancora dissangua.
Il 29 marzo 2001 "Pietro il minatore", delegato sindacale CGIL, volle scrivere al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il 29 marzo 2001, dal cantiere TAV del Carlone, una lettera aperta.
"Le ho stretto la mano quando, un mese fa, è venuto a "festeggiare" nella galleria di Vaglia dell'Alta Velocità ferroviaria l'abbattimento di un diaframma. L'ho chiamata con rispetto, Le ho stretto la mano e Le ho sussurrato: "Ci salvi Lei, Presidente!". Ricorda? Mi ha guardato, ha avuto un moto di sorpresa forse: ero proprio io, quel rappresentante sindacale delegato alla sicurezza che Le aveva scritto poche ore prima per chiedere di poterLe parlare in occasione della sua visita. Avrei voluto raccontarLe i problemi che assillano ancora oggi la vita, e umiliano la dignità, di centinaia e centinaia di lavoratori aggiogati al ciclo continuo e a condizioni ambientali abbrutenti, qui nella civilissima Toscana, nelle viscere dell'Appennino, in mezzo all'acqua e al fumo, a mille chilometri da casa. Ma la Prefettura di Firenze mi informò che quel giorno Lei avrebbe avuto troppo poco tempo. E che tuttavia avrei potuto scriverLe, certo che Ella mi avrebbe letto.
Ecco dunque ciò che un delegato sindacale eletto dai minatori della TAV Le chiede con un ultimo (creda: ultimo) lumicino di speranza. Dopo che tutte le altre strade si sono mostrate sbarrate. E' un appello con le valigie in mano, signor Presidente. E' un appello a intervenire. A chi le scrive è rimasta solo la scelta di lasciare il proprio lavoro, la propria rappresentanza, le proprie speranze. Il proprio stesso Paese".
E così si chiudeva, quella lettera che non passò certo inosservata, dopo che anche il cardinale di Firenze mons. Silvano Piovanelli aveva perorato in una omelia pasquale nella cattedrale di Santa Maria del Fiore la causa dei moderni ultimi:
"Le scrivo, Presidente, con un piede dentro e uno fuori da quel cantiere di Vaglia, in provincia di Firenze, in cui lavoro da due anni e che anche Lei ha visitato in un giorno molto, molto particolare. Non credo che potrò resistere a lungo nel clima di ostilità che si è costruito intorno a questa lotta giusta e condivisa. Temo proprio di dover gettare la spugna. Di dovermene andare.
Oso aspettarmi da Lei, Presidente, una risposta a questo ultimo grido di speranza, che Le indirizzo prima di essere costretto a cercare lavoro e dignità all'estero. Dove spero di trovare quel rispetto, quella civiltà, che la nostra Repubblica non sta dimostrando di saper garantire né a chi ha voce per protestare né ai mille protagonisti muti della costruzione di questa opera "pubblica" insieme alla quale si stanno distruggendo in realtà le loro vite, la loro dignità, le loro speranze. Ma in fondo anche i diritti di tutti.
Tutte le volte che ripasserò dalla Toscana, signor Presidente, mi farà male al cuore pensare che cosa c'è dietro l'immagine di questa regione, fino a ieri così positiva e progressiva, per tutti noi nel nostro povero Sud! Cosa c'è dietro questa mitica "terra delle libertà e dei diritti"!
Se non interverrà Lei, chi si potrà dire che la sta vincendo questa battaglia, signor Presidente? Lo Stato o la Prepotenza? Il Diritto o la Sopraffazione?".
Da allora, è cambiato qualcosa?
Molti segni indicano che no, che in certi luoghi le condizioni di lavoro sono diventate addirittura peggiori.
Qualche mese fa, dopo aver perso l'impiego nei cantieri TAV, dopo mesi di inutile ricerca di un lavoro, l'alfiere dei diritti e della sicurezza ha dovuto abbandonare un nuovo impiego nei cantieri della Variante di valico, troppo umilianti per lui. Pietro è davvero partito, ha davvero lasciato non solo la Calabria e il suo paese di minatori da generazioni, ma anche l'Italia. Ed è andato a morire in Svizzera. Solo.
Di noi, era per molti versi il migliore. Di sicuro il più esposto, il più coraggioso. Ma alla fine non siamo stati in grado di trattenerlo. Non abbiamo saputo difendere fino in fondo chi difendeva l'umanità del lavoro. Un uomo che dalle autorità pubbliche avrebbe meritato attenzione, plauso e tutela, è morto solo, in terra straniera. Insieme a quei massi di galleria è precipitata su di lui la storia di un Sud che non cessa di soffrire e di emigrare, la storia di un Nord che non cessa di coltivare un'idea distorta ed egoistica di progresso, una storia che non sembra voler cambiare marcia e direzione. Ma noi non dimentichiamo, e anzi continuano a darci forza, il suo sorriso fraterno, il suo acuto intuito, il suo impegno intelligente, generoso e determinato.


 

Sulla morte di Pietro Mirabelli, lavoratore delle gallerie

 
Comitato contro il Sottoattraversamento AV di Firenze

COMUNICATO STAMPA   -   Firenze, 22 settembre 2010

Cittadine e cittadini del Comitato contro il sottoattraversamento AV di Firenze esprimono tutto il loro dolore alla notizia della morte di Pietro Mirabelli, avvenuta la notte scorsa in un incidente sul lavoro, in una galleria in Svizzera. Un masso si è staccato dal fronte di scavo e gli ha provocato ferite mortali.
Sono tanti, troppi i lutti che ogni giorno si verificano per le pessime condizioni di lavoro, ma la morte di Pietro Mirabelli non possiamo tacerla.
Chi si è occupato dei tanti problemi che il progetto TAV ha provocato in Italia non può non aver conosciuto Pietro Mirabelli: in origine minatore - figlio d'arte si definiva - famiglia di minatori, arrivava da un paese della Calabria, Pagliarelle, dove l'unica speranza di sopravvivenza era l'emigrazione. Praticamente tutti in paese erano minatori, poi lavoratori nella realizzazione di gallerie che nascevano dall'ipertrofia delle grandi opere sotterranee in Italia.
Molti lo hanno conosciuto come RSL (responsabile della sicurezza sul lavoro), funzione che aveva svolto con grande competenza, ma soprattutto serietà e passione tali che lo avevano portato a denunciare le anomalie che si verificavano nei cantieri dell'alta velocità in Mugello: i turni massacranti cui erano sottoposti i lavoratori, le squadre di lavoro anomalamente ridotte, la condizione di esclusione, segregazione cui erano sottoposti questi lavoratori lanciati in un tessuto sociale che non li sapeva nemmeno riconoscere; il tutto, troppo volte, nell'ndifferenza del sindacato. Pietro ha raccontato, con la propria esperienza e con la testimonianza vivente dei suoi colleghi, come lo scandalo dell'enorme quantità di risorse economiche prelevate dai costruttori delle linee TAV sia andato tutta nel susseguirsi di appalti e subappalti, nello spreco di risorse e materiali, facendo ricadere sugli ultimi – i minatori della TAV – tutti i costi più amari e dannosi di un progetto anomalo.
Chi ha conosciuto Pietro sa della lotta difficile di questo lavoratore coraggioso che ha saputo rapportarsi con chi denunciava l'assurdità delle grandi opere; è stato davvero profetico nel proporre un circolo virtuoso in cui lotta per il lavoro, difesa dell'ambiente, difesa delle condizioni di vita devono essere esempio per questa Italia devastata dalla crisi economica e dalla speculazione del cemento.
E' con profonda commozione che le persone del Comitato salutano un uomo che non potranno dimenticare. Agli amministratori potremmo suggerire di dedicare una via a Pietro Mirabelli, lavoratore delle gallerie, le cui azioni hanno suggerito a tutti un mondo migliore.
 
 
 

Le città del mondo con strade tutte uguali

 
Le città del mondo con strade tutte uguali
di Franco La Cecla

LA REPUBBLICA   -   20 settembre 2010   pag. 1 e 29

Modena, Mantova, Vittorio Veneto, ma anche Saint Emilion, o Koln, Granada o Stoccolma o Utrecht, ma anche Milano, Bordeaux o Lisbona, la sera dopo l'ora di chiusura, lungo l'asse – pedonale o no – che nel centro storico antico o rifatto ospita le boutique e le catene, H&M, Benetton, Zara, Sephora.
Una solitudine desolata, vetrine che la cantano solo a se stesse avendo perso il riflesso imbarazzato dei consumatori giornalieri. Il destino di questi centri sembra dappertutto lo stesso. Una apparente vitalità, che dura fin quando dura l'auspicato leccar vetrine, ma poi a sera - altro che sabato del villaggio - un abbandono al guardiano notturno e ai suoi fogliettini, qualche ubriaco, qualche depresso a passeggio. Perché ha vinto questo modello che è il contrario dell´abitare un luogo? Per abitare non bisogna solo transitare, fruire, passare, bisogna stare. Cosa ha fatto sì che il modello piccolo borghese dei saldi pomeridiani e della tv serale abbia schiacciato sotto il suo peso la bellezza magnifica dell´annottar per strada? Oggi le main streets boutiquizzate d'Europa offrono lo squallido spettacolo di città fantasma, di città morte, come se la vita di una città dipendesse davvero dalla presenza delle luci false e dei manichini muti, delle commesse impupate e sottopagate, delle telecamere onnipresenti.
Sembra che proprio quegli assi pedonali pensati per sconfiggere le automobili diventino autostrade di cittadini da controllare con videoguardiani e da spolpare. La vita di strada, questa magnifica costellazione che ha creato l'urbanità, valore inventato in Italia ed in Europa, invidiato da tutto il mondo è fatta di bar, caffè, terrazze, bistrò, di locali di ritrovo, ma anche altre attività, cinema, teatri, barbieri, fiorai, lavanderie, librerie, negozi di vecchie cose, gradini, sedili, panchine, spazi antistanti chiese e palazzi, crocicchi di gente e ciacolii. É come se le città, ridotte a teatro di ombre private avessero dimenticato la libertà che crea quella democrazia che è stare tra conosciuti e sconosciuti nello spazio pubblico.
Hanno dimenticato ad esempio la bellezza dei mercati. A Junagadh, in India, una cittadina povera e magnifica del Gujarat, per i vicoli la sera ci si sente molto più ricchi che a Parma e a Modena, perché non c'è niente di più incredibile che passare per il vicolo degli orefici, per quello dei venditori di farina, per quello delle spezie, dei tessuti, della frutta e dei fiori, un mercato di voci, sguardi, gente a contrattare e a osservare, perdigiorno.
Perché abbiamo tradito la vocazione delle nostre città, che erano nate in questo senso, dei centri che una volta erano davvero luoghi di vita? C'è un terribile errore di fondo, quel credere che il consumismo sia l'unica attività pubblica concessa. Senza togliere nulla al consumismo che puo essere divertente la vita dei cittadini è qualcosa di molto più ricco e interessante, non solo l'illusione di vetrine che da sole non creano socialità. Non erano così nemmeno i passages parigini, che pullulavano di vita a qualunque ora, per quanto siano stati gli antesignani dei nostri luoghi di vetrine. Lì si vedevano poeti, scrittori, puttane, agenti di commercio e flaneurs, ma era l'idea di città che vi stava intorno a dare al tutto un senso. Oggi nemmeno gli urbanisti, per non parlare degli architetti, sanno in cosa consista una città. Glielo cantava già Shakespeare: «che cosa sono le città se non gente».
 
 
 
Stessi negozi, stessi bar e caffè , stessi supermercati: le vie del mondo sono sempre più uguali. Ecco un viaggio nelle città clonate
LA STRADA GLOBALE
dal nostro corrispondente Enrico Franceschini

LA REPUBBLICA   -   20 settembre 2010   pag. 28 e 29

Londra
Un caffè, un bar, un paio di ristoranti, un supermercato, una farmacia, una libreria, un´edicola, qualche negozio di abbigliamento. Questo è quello che troviamo più o meno in tutte le strade di tutte le città del mondo, perlomeno nel nostro mondo, nell´Occidente globalizzato. Ma provate a immaginare che quel caffè, quel bar, quel supermercato, siano ovunque gli stessi. Provate a immaginare che un marziano, sbarcato a Londra o a Parigi, a Chicago o a Milano, in una cittadina di provincia inglese, americana o italiana, veda intorno a sé le medesime insegne, le medesime vetrine, i medesimi prodotti. Tutto uguale. Tutto identico. Tutto indistinguibile. Al punto da non poter riconoscere il luogo in cui si trova. Un incubo? No, la realtà odierna. Quel marziano, secondo il rapporto di un think tank britannico, siamo noi. E se ancora non lo siamo, presto lo diventeremo, perché le città occidentali stanno subendo un processo di clonazione che ne cancella gradualmente ogni segno di diversità, originalità, autenticità.
Non si possono clonare soltanto le pecore, o magari, un giorno, gli esseri umani. Si può fare anche con le strade. L´espressione "città clonate" è stata usata per prima dalla New Economics Foundation (Nef), una fondazione di studi del Regno Unito che cinque anni fa ha dato l´allarme. In realtà il fenomeno, senza che nessuno gli avesse dato un nome, esisteva già da tempo. É partito, come quasi tutto, dagli Stati Uniti, cioè da un paese in cui le città hanno una storia assai meno lunga di quelle europee, in cui i centri storici, al posto delle piazze, hanno la "main street", la strada principale, una via soprannonimata così in tutte le città americane. Come i villaggi del Far-West descritti dal cinema, la "main street" aveva il barbiere, l'emporio, il saloon, e da questa trinità si è sviluppata una crescita uniforme, massificata, priva di fantasia. Le catene di ristorazione, di alimentari, di ogni genere commerciale, sono nate e si sono moltiplicate negli Usa perché in una nazione così grande, i cui abitanti erano abituati a muoversi molto più di quelli della vecchia Europa, l'uniformità era considerata un pregio, non un difetto: trovare lo stesso ristorante, lo stesso hotel, lo stesso bar, lo stesso supermarket, a Dallas come ad Atlanta, a Los Angeles come a Boston, era ed è tuttora un motivo di conforto, di rassicurazione, per il viaggiatore.
Senonchè, a un certo punto, la McDonaldizzazione dell'America ha attraversato l'oceano ed è arrivata in Europa. La si può individuare dappertutto, perché le grandi catene di ristorazione e distribuzione sono ormai multinazionali, ma è in Gran Bretagna, il paese culturalmente più simile agli Usa, che la tendenza si è manifestata fino in fondo. Un nuovo rapporto della Nef, il think tank che coniò il termine, afferma che oggi il 41 per cento dei centri urbani del Regno Unito sono "città clonate" e un ulteriore 23 per cento è in procinto di diventarlo: in pratica, due terzi delle città britanniche hanno la stessa, identica "high street", come si chiama qui la strada principale, la via dello shopping e del passeggio, equivalente della "main street" americana. Il caffè è uno Starbucks o un Costa. Il pub è un Wheterspoons o un All Bar One. Il ristorante è un McDonald per il fast food, un Wagamama per il cinese, Domino´s per la pizza, Nando´s per il pollo, T. G. F. (Thanks God is Friday - grazie a Dio è venerdì) per le uscite del week-end e così via. Il supermercato è un Tesco, un Sainsbury o un Waitrose. La farmacia è Boot, la libreria è Waterstone, l'edicola è W. H. Smith. E il negozio di abbigliamento è Gap o Top Shop. Aggiungeteci un negozio di telefonini Vodafone, uno di elettronica ed elettrodomestici Curry, uno di arredamento Conran, e la strada è completa. La città è fatta. Anzi, clonata. Il rapporto 2010 della Nef indica in Cambridge la città più clonata di Gran Bretagna: proprio Cambridge, con la sua università ottocentenaria, le sue stradine medievali ornate di guglie, torri e pinnacoli. Eppure sulla sua "high street" convivono soltanto nove varietà di negozi, nove "brand" differenti. Richmond, un quartiere di Londra, è ancora più in basso nella classifica della clonazione urbana: nel suo intero territorio sopravvivono solamente cinque botteghe indipendenti. Soltanto un terzo delle città britanniche resiste all´avanzata costante dei "chain stores", le catene di negozi tutti uguali; e per trovarne una veramente sgombra di insegne clonate bisogna andare a Whitstable, un porticciolo del Kent, dove il 92 per cento dei negozi sono indipendenti.La clonazione non riguarda solo l'Inghilterra. Un negozio alla volta, sono anni che anche le altre città di Europa diventano più simili fra loro. É la filosofia dei centri commerciali, che eliminano la concorrenza dei negozietti a gestione familiare e tolgono originalità al panorama urbano del vecchio continente, per cui la Spagna comincia a somigliare alla Svezia e una strada di Copenaghen a una di Dusseldorf o di Atene. «Ma non è solo una questione estetica», osserva Paul Squires, co-autore del rapporto sulle città clonate per la New Economics Foundation. «I nostri dati dimostrano che le città più dipendenti dalle grandi catene di ristorazione e distribuzione sono le più vulnerabili in tempi di recessione. Le catene sono le prime ad andarsene quando l´economia va male, perché non hanno alcun legame reale con il territorio». Non tutti concordano. Altri studi sostengono che le catene di negozi, disponendo di maggiori fondi, possono permettersi più forti investimenti nella realtà locale. E se le catene hanno successo, è perché i prodotti che offrono costano meno e piacciono di più ai consumatori.
Come che sia, una cosa è certa: l'espansione delle città clonate ha devastato i piccoli esercenti. Tra il 1997 e il 2002, i negozi indipendenti di alimentari in Gran Bretagna hanno chiuso al ritmo di uno al giorno e quelli di prodotti specializzati al ritmo di 50 alla settimana. Tra il 2002 e il 2010, secondo una stima, il ritmo è raddoppiato. Nell'ultimo anno in Inghilterra hanno chiuso 700 pub nei villaggi, ed è scesa la saracinesca su quasi altrettanti negozi indipendenti. La scelta è sempre di più tra il nulla e il commercio clonato. «É la clonazione della nostra esistenza quotidiana», dice Elizabeth Cox, anche lei autrice del rapporto della Nef. «Vuol dire che ci sono meno prodotti tra cui scegliere, meno concorrenza tra produttori, meno convenienza per il pubblico. É anche un rischio per la democrazia, perché quando avremo una sola catena di edicole o una sola catena di librerie in tutto il paese, queste diventeranno gli arbitri dei giornali e dei libri che leggiamo. Così come i supermercati sono gli arbitri di quello che mangiamo». Le città clonate non sono, tuttavia, un'esclusiva del capitalismo globalizzato. Esistevano anche nell´Unione Sovietica comunista. Dove ogni anno, a Capodanno, la tivù trasmetteva (e lo trasmette ancora, anche nella Russia post-comunista) un delizioso filmetto su un tale che il 31 dicembre si ubriaca con gli amici in una sauna di Mosca, sale per sbaglio su un aereo invece che sul bus, finisce a Leningrado, all'arrivo dà il suo indirizzo di casa a un tassista e viene portato in una strada identica alla sua di Mosca, davanti a un palazzone uguale al suo, dove c´è un appartamento come il suo, che lui può aprire con la sua chiave. Dentro, trova la donna dei suoi sogni. Ma se fosse bello vivere così, l'Urss sarebbe ancora al suo posto.
 
 
 

Auditorium della Musica di Firenze, una gara pasticcio

 
Auditorium, gara-pasticcio sotto la scure dei giudici
Il Consiglio di Stato: la commissione Nastasi ha violato le regole
di Franca Selvatici

LA REPUBBLICA  Edizione FIRENZE   -   16 settembre 2010   pag. V

Dopo il Tar, anche il Consiglio di Stato ha pronunciato una severa sentenza (stavolta definitiva) sulla gara per l'assegnazione dei lavori del Nuovo Parco della Musica di Firenze. Nelle 76 pagine della motivazione, è drastico il giudizio sull'operato della commissione di concorso presieduta da Salvatore Nastasi (oggi capo di gabinetto del ministro Bondi), che il 28 dicembre 2007 decretò la vittoria del progetto dell'architetto Paolo Desideri presentato dalla Sac, impresa romana degli imprenditori Claudio ed Emiliano Cerasi. Il Consiglio di Stato afferma che la commissione ha disapplicato le regole fissate nel bando di gara il quale, «unitamente alla lettera di invito, costituisce la lex specialis della gara», che «non può essere disapplicata nel corso del procedimento». Era stata la stessa struttura di missione della presidenza del Consiglio, in qualità di stazione appaltante, a inquadrare la gara nello schema normativo dell'appalto integrato, sulla base di un progetto preliminare predisposto dalla amministrazione, «con indicazione specifica di talune caratteristiche fondamentali - o comunque significative – dell'opera e delle relative dimensioni». Dunque - sostengono i giudici amministrativi - la commissione di gara manifestò grave imperizia e negligenza decidendo di considerare le indicazioni del progetto preliminare semplici «parametri generali da ritenersi indicativi e non strettamente prescrittivi», cioè non veramente vincolanti, e non motivando in alcun modo il massimo del punteggio assegnato al progetto Sac, che si discostava fortemente dalle prescrizioni, in particolare abbassando la torre scenica indicata nel progetto preliminare come elemento di «forte riconoscibilità visiva esterna».
Dopo aver escluso che alla gara potessero essere applicate le deroghe introdotte dal decreto legislativo 343 del 2001, sul quale esprime peraltro forti riserve («ha affidato al Dipartimento della Protezione Civile competenze incoerenti con le sue istituzionali funzioni emergenziali connesse a rischi ed eventi calamitosi»), il Consiglio di Stato ha confermato il giudizio del Tar sull´esistenza di un «vizio logico insanabile» che ha pregiudicato la gara. In più, «a fronte delle manifeste imperizie e negligenze poste in essere dall´amministrazione attraverso i suoi funzionari, con le conseguenti condanne al risarcimento dei danni... e a fronte dei non chiari meccanismi di lievitazione dei costi» (passati da 80 a oltre 236 milioni), ha trasmesso gli atti alla Corte dei Conti.



Toscana, coop rosse? No, Verdini!

 
COOP ROSSE? NO, VERDINI
Le cooperative vicine al Pd e il Monte dei Paschi fanno affari col coordinatore Pdl in Toscana
di Daniele Martini

IL FATTO QUOTIDIANO  -   16 settembre 2010   pag. 7

Domande retoriche: fareste affari con un avversario? Entrereste in società con lui? Nella politica in Toscana la risposta non è scontata. Prendete i giornali e l'informazione, per esempio, strumenti fondamentali per la formazione del consenso. Sapete chi c'è tra i soci del Giornale della Toscana di Denis Verdini, il coordinatore nazionale Pdl, il dirigente appena un gradino sotto Silvio Berlusconi, il politico ritenuto il tessitore delle trame P3, il proprietario del Credito cooperativo fiorentino, la "banchina" sospettata di aver elargito a fiumi e per anni crediti facili agli amici degli amici? Nella Ste (Società toscana di edizioni), l'azienda editrice del Giornale, ci sono il Monte dei Paschi di Siena e la Coop Centro Italia. Cioè la terza banca italiana dopo Intesa e Unicredit, quella a più alto tasso di influenza e presenza Pd, per non dire a quasi totale influenza pidiessina, e una delle coop di consumo tra le più grandi di tutto il sistema cooperativo rosso. E sapete anche chi sta per comprare Radio Dimensione Firenze e Lady Radio, emittenti che fanno riferimento a Verdini? La Cna di Firenze, sigla storica dell'associazionismo di sinistra.

Coincidenze del potere
CASI? Coincidenze fortuite? Forse, anche se è difficile crederlo. Nelle dichiarazioni ufficiali, nella propaganda, sulla carta, Pd e Pdl non si possono vedere, stanno fieramente su fronti opposti, si contendono il consenso centimetro per centimetro. Il primo amministra quasi ovunque dal dopoguerra anche se con sigle di volta in volta diverse, dal Pci al Pd. Il secondo dovrebbe dare fiato e sostanza all'opposizione e proporsi come alternativa credibile di governo. Ma basta grattare un pò la superficie per scoprire una realtà diversa, per accorgersi che non sempre è così e non dappertutto. Se si parla di affari, appalti, costruzioni, giornali e informazione, i due schieramenti mostrano inaspettati punti di contatto, affinità, intrecci e contiguità, tanto da apparire sorprendentemente più vicini che lontani.
In Toscana, tra gente che ci gode a levar la pelle con una battuta, si sente dire spesso che Pd e Pdl somigliano ai ladri di Pisa, tutti intenti a litigare a sangue di giorno per spartirsi il bottino arraffato insieme di notte. Che Monte dei Paschi, Coop e Cna siano contigui al Pd è risaputo. La Cna è la più grande associazione di artigiani del capoluogo fiorentino, con 11 mila imprese associate e siappresta a puntare 1 milione di euro circa per entrare con quote di minoranza nel capitale delle due radio toscane, due emittenti molto ascoltate e storiche (Rdf è stata fondata 34 anni fa, l'altra 6 anni dopo), entrambe partecipate da Verdini e controllate da Pierluigi Picerno, legale rappresentante della Ste e amministratore del Giornale della Toscana dello stesso Verdini a sua volta collegato al Giornale diretto da Vittorio Feltri e di proprietà di Paolo Berlusconi. Il nome di Picerno ricorre spesso nelle indagini su Verdini e la P3, indicato come il professionista che accompagnò una certa Antonella Pau, legata al faccendiere piduista Flavio Carboni, nella sede della banca di Verdini per trattare gli aspetti finanziari del lancio di un'edizione sarda del Giornale toscano. Imbarazzi nella Cna a trattare con Verdini & company? Non traspaiono. Spiega il direttore dell'associazione, Luigi Nenci: "Non trattiamo direttamente con lui, a noi interessa portare i temi del lavoro al centro dei programmi di quelle emittenti".
Carissimi nemici
LA COOP Centro Italia è una grande realtà della distribuzione alimentare e anche del non food, nata dalla fusione tra Coop Umbria e Unicoop senese, con quasi mezzo milione di soci, 2.600 dipendenti, un utile netto nel 2009 di 6,3 milioni di euro e una rete di vendita diffusa tra Toscana, Umbria, Lazio e Abruzzo, ma concentrata soprattutto nelle province di Siena e Perugia. Per capire quanto il Pd pesi sul Monte dei Paschi, invece, basta passare in rassegna l'organico del vertice dell'istituto. Nella Deputazione generale sono Pd o scelti dal Pd 10 su 16 e in più hanno un rappresentante ciascuno Sinistra e libertà e Rifondazione comunista. Nella Deputazione amministratrice sono del Pd 5 rappresentanti su 7, più un esponente dei Riformisti, raggruppamento vicino al Pd. La Deputazione amministratrice ha diritto di nomina di 6 su 12 del vertice operativo dell'istituto, 5 di questi sono Pd, a cominciare dal presidente, Giuseppe Mussari, che è anche presidente dell'Associazione delle banche (Abi); gli altri sono Fabio Borghi, Alfredo Monaci, Ernesto Rabizzi, Graziano Costantini. L'unico del gruppo non di area Pd è Andrea Pisaneschi, professore di Diritto costituzionale a Siena, molto legato a Verdini e presente con un altro dirigente del Monte, Leonardo Pizzichi, anche nel consiglio di amministrazione di Eutelia, la società di telecomunicazioni occupata nell'autunno di un anno fa dai dipendenti stufi di non ricevere lo stipendio da mesi e assaltata da uno dei proprietari della famiglia Landi assieme a un manipolo di violenti a colpi di bastone e spranghe di ferro. Pizzichi è presidente del collegio sindacaledi Monte dei Paschi Leasing & Factoring ed era anche presidente di Eutelia ed è tuttora in carcere proprio per le vicende della società di telecomunicazioni. Pizzichi è anche esponente dei Riformisti e con il suo gruppo si appresta a sostenere Franco Ceccuzzi, deputato Pd, nella sua corsa alla carica di sindaco di Siena alle elezioni della prossima primavera.

La Edib e i quotidiani
MONTE PASCHI e Coop sono presenti nel capitale della editrice del Giornale di Verdini attraverso partecipazioni importanti nella Edib, società editoriale controllata dai Barbetti, gruppo umbro di cementieri. La partecipazione del Monte dei Paschi avviene attraverso MpsInvestmentsconquoteper un valore di oltre 2 milioni e mezzo di euro; la Coop partecipa, invece, con circa 705 mila euro, più del 10 per cento dei suoi utili. La Edib è diretta da Rocco Girlanda, deputato umbro del Pdl e sodale di Verdini, così come risulta da numerose intercettazioni, e a sua volta è proprietaria di una catena di quotidiani assai diffusi ed influenti tra l'Umbria, la Toscana meridionale e il senese: il Corriere dell'Umbria, il Corriere di Siena, il Corriere di Arezzo, il Corriere di Grosseto etc… Tra questi, Il Corriere di Siena sta lanciando da settimane la candidatura del Pd Ceccuzzi alla carica di sindaco della città.


 

Fusi salva Ligresti

 
FUSI IL SALVATORE
L'imprenditore della "cricca" si accolla gli alberghi di Ligresti nonostante i bilanci in rosso
di Vittorio Malagutti

IL FATTO QUOTIDIANO   -   5 settembre 2010   pag. 6

Milano
Aiuto, mi si sono ristretti gli alberghi, si lamenta Salvatore Ligresti alle prese con i guai grossi della sua catena Atahotels. Perdite, debiti, clienti in calo anche per colpa della recessione. E allora che si fa? Per salvare il salvabile Ligresti si allea con Riccardo Fusi. Proprio lui, uno dei protagonisti della cricca degli appalti, il grande amico e sodale del coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini, lo stesso Fusi che è indagato nell'inchiesta giudiziaria fiorentina sugli appalti per la caserma dei marescialli.
A dire il vero anche Ligresti a Firenze non se la passa granché bene. I magistrati lo vogliono mandare a processo per corruzione nella vicenda delle concessioni edilizie per l'area Castello. Una storiaccia che ha travolto anche gli ex assessori del capoluogo toscano Gianni Biagi e Graziano Cioni.
Poco male. In attesa di risolvere i loro problemi sul fronte penale, Ligresti e Fusi progettano le nozze. In sostanza Atahotels dovrebbe presto fondersi con Una, la catena alberghiera, tra le più importanti in Italia, di proprietà della famiglia Fusi. Il progetto, di cui si parlava da tempo negli ambienti finanziari, è stato confermato con un'intervista a un quotidiano economico da Ernesto Albanese, l'amministratore delegato della società di Ligresti. "Potrebbe essere una buona operazione", si sbilancia (ma neppure troppo) Albanese nell'intervista spiegando che le due catene sono complementari per "distribuzione geografica" e "mercati di riferimento". Sarà. Ma le affinità elettive tra i promessi sposi non si fermano qui. E per scoprirlo basta sfogliare i bilanci delle due società. Ormai da un paio di anni Atahotels naviga a vista, costretta di volta in volta ad aggiornare (al ribasso) i piani di rilancio.
Ma anche la società di Fusi, giusto l'anno scorso, è stata costretta a chiedere aiuto alle banche per evitare il naufragio. Gli ultimi dati ufficiali disponibili segnalano che nel 2008 Una è andata in perdita per 23 milioni su 55 milioni di ricavi. L'accordo con gli istituti di credito, tra cui Popolare di Milano, Monte dei Paschi e Intesa ha dato un po' di respiro alla catena alberghiera. Giusto il tempo di guardarsi attorno e mettere in cantiere il rilancio. Impresa difficile, anche perché la recessione globale continua ad avere un impatto pesantissimo sul business degli hotel. Come se non bastasse la famiglia Fusi, azionista anche dell'impresa di costruzioni Baldassini Tognozzi Pontello è stata investita in pieno dalla tempesta giudiziaria delle inchieste sulla cricca. Ad aprile Riccardo Fusi è stato tra l'altro costretto a dare le dimissioni dalla presidenza di Una. E così le nozze con Atahotels finiscono per assomigliare tanto a un'ultima spiaggia, un tentativo estremo di salvataggio studiato e sponsorizzato dalle banche creditrici.
E Ligresti? In mancanza di meglio, almeno per il momento, il costruttore di Paternò non può fare a meno di presentarsi al tavolo delle trattative. Il suo gruppo Premafin, che ha come principale attività la compagnia di assicurazioni Fondiaria, l'anno scorso ha perso oltre 400 milioni di euro. Ed entrambe le società, sia Premafin sia Fondiaria, sono ormai da mesi in ribasso costante in Borsa. D'altra parte Ligresti è una pedina fondamentale negli equilibri dell'alta finanza nazionale, a cominciare dal Corriere della sera e Mediobanca. E questa sua posizione certo aiuta a raccogliere consensi e appoggi tra le grandi banche creditrici, in prima fila Unicredit. Atahotels però resta una spina nel fianco, una zavorra che costa ogni anno perdite per decine di milioni. Nei primi sei mesi del 2010 il conto economico si è chiuso con un passivo di 18 milioni. All'orizzonte c'è l'alleanza con Fusi, ma in attesa che l'operazione vada in porto Ligresti è già corso ai ripari. A modo suo. E così, l'anno scorso, ha ceduto la compagnia di gestione alberghiera alla Fondiaria quotata in Borsa. Una parte delle perdite di Atahotels è stata così scaricata sui piccoli azionisti della compagnia di assicurazioni. Saranno loro a pagare il conto. In attesa, chissà quando, dell'arrivo Fusi, il salvatore con i bilanci in profondo rosso.