Novembre 1993, i giorni del tentato golpe


Novembre '93
Nuovi partiti all'ombra di un golpe
 di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza

IL FATTO QUOTIDIANO   -   30 maggio 2010   pag. 3

Pubblichiamo un estratto del libro «L'agenda nera della seconda repubblica», che sarà in libreria per Chiarelettere dal 10 giugno.

Località segreta, 1 novembre '93
Il pentito Salvatore Cancemi racconta ai pm di Caltanissetta che a metà di maggio del '92, di ritorno da una riunione con altri soggetti di Cosa nostra, si era trovato a discutere con il boss della Noce Raffaele Ganci dell'imminente attentato a Falcone. In quell'occasione, Ganci gli spiegò che Riina aveva avuto un incontro "con persone molto importanti, insieme alle quali aveva deciso di mettere la bomba a Falcone". "Queste persone importanti – aveva aggiunto Ganci – hanno promesso allo zio Totò che devono rifare il processo nel quale lui è stato condannato all'ergastolo". Secondo Cancemi, la strage sarebbe avvenuta otto-dieci giorni dopo.

Roma, 2 novembre '93
Nel corso del programma Uno contro tutti, condotto da Maurizio Costanzo su Canale5, il direttore del Tg5 Enrico Mentana nega che Berlusconi stia creando un partito: "Si tratta di prove tecniche di fiancheggiamento elettorale" dice. Vittorio Sgarbi interrompe Mentana e sostiene che il partito di Berlusconi esiste eccome e che sia Mentana sia Costanzo lo sanno benissimo, avendo partecipato a riunioni riservate con il Cavaliere. Specifica poi Sgarbi: "Il nuovo partito non sarà rappresentato da Segni, Amato o Costa. Occorrono uomini nuovi".

Milano, 2 novembre '93
Marcello Dell'Utri, numero uno di Publitalia, incontra almeno due volte (il 2 e il 30 novembre) Vittorio Mangano a Milano, come risulta dalle sue agende. Di cosa parlano? Il senatore, impegnato in quei mesi nella costruzione del nuovo partito Forza Italia, non lo spiega. Dice solo che "di tanto in tanto" Mangano lo andava a trovare "per motivi personali". È il periodo in cui sono in corso le manovre per l'organizzazione di Forza Italia e Cosa nostra prepara il cambio di rotta verso la nascente forza politica. È in questo momento che, come rivela il pentito Antonino Giuffrè, Provenzano fa sapere agli altri capimafia di aver trovato in Dell'Utri un nuovo referente "affidabile".

Roma, 3 novembre '93
"Non ci sto!". Dopo le bombe e lo scandalo dei fondi neri del Sisde, il presidente della Repubblica Scalfaro sente il bisogno di indirizzare un messaggio alla nazione e va in onda per sette minuti in diretta televisiva sulle reti pubbliche e private. Il presidente, visibilmente indignato, parla a braccio, consultando ogni tanto alcuni fogli di appunti. Scalfaro denuncia agli italiani un tentativo di "lenta distruzione dello Stato" in atto nel paese e sostiene che occorre difendere le istituzioni. (...) Ma cosa temeva Scalfaro in quella fine del '93? «Parlerei di un intreccio di interessi sovrapposti... Esprimevo ciò che stavo vivendo in prima persona, dopo aver assistito a veri e propri atti di guerra (le bombe mafiose), e dopo aver colto da certi ambienti (contigui alla politica, ma non solo) diversi segnali di intimidazione". (...) Anche Carlo Azeglio Ciampi, in quel periodo a capo del governo, ricostruisce il clima teso di quei giorni e i timori di un attacco alle istituzioni democratiche. "Ricordo perfettamente quei giorni del '93. Ero da poco stato eletto presidente del Consiglio in un momento non facile. C'era un clima molto teso dopo le bombe di Firenze, Milano, Roma. [...] Ricordo l'entusiasmo del '93 per l'accordo sul costo del lavoro. Poi la lunga serie di attentati in nottata. Ero a Santa Severa, rientrai con urgenza a Roma, di notte. Accadevano strane cose. Io parlavo al telefono con un mio collaboratore a Roma e cadeva la linea. Poi trovarono a Palazzo Chigi il mio apparecchio manomesso, mancava una piastra. Al largo dalla mia casa di Santa Severa, a pochi chilometri da Roma, incrociavano strane imbarcazioni. Mi fu detto che erano mafiosi allarmati dalla legge che istituiva per loro il carcere duro. Chissà, forse lo volevano morbido, il carcere". Alla domanda sullo spettro di un colpo di Stato pronto a scattare in Italia, Ciampi risponde: "In quelle settimane davvero si temeva un colpo di Stato. I treni non funzionavano, i telefoni erano spesso scollegati. Lo ammetto: io temetti il peggio dopo tre o quattro ore a Palazzo Chigi col telefono isolato. Di quelle giornate, quel che ricordo ancora molto bene furono i sospetti diffusi di collegamento con la P2". Ma c'è stato davvero il rischio di un colpo di Stato piduista durante la stagione dello stragismo dei primi anni Novanta? "I piduisti ebbero a che fare con la strategia della tensione" risponde l'ex procuratore nazionale Piero Luigi Vigna. (...) Perché Ciampi pensò proprio a un colpo di Stato? "Quando il 28 luglio scoppiò l'autobomba davanti alla chiesa di San Giorgio al Velabro, avvisai Ciampi, che si trovava nella sua casa al mare. E mentre stava al telefono sentì dalla conversazione telefonica il secondo boato dell'ordigno esploso a San Giovanni in Laterano. Le comunicazioni caddero. Lui si precipitò a Roma, ma le linee del Quirinale rimasero isolate per alcune ore. Bombe e interruzioni telefoniche lo indussero a pensare che qualcosa di grave stesse succedendo, un colpo di Stato. Facemmo perizie e consulenze dalle quali risultò che non ci fu alcuna manomissione esterna. Si trattò di un accumulo di comunicazioni, che aveva determinato il blackout telefonico". (...)

Palermo, 3 novembre '93
Enzo Scarantino compare per la prima volta in un'aula di giustizia per difendersi dall'accusa di spaccio di droga. "Mi rifornivo da Scarantino negli anni '85-86" ha detto il pentito Salvatore Augello. "Compravo da lui cento-centocinquanta grammi ogni dieci-quindici giorni. Cento grammi li pagavo diciotto milioni". Intervistato dai cronisti, Scarantino ha negato ogni suo coinvolgimento nella strage di via D'Amelio. "Sono tutte falsità – ha detto l'imputato – e non è vero neanche che ho tentato di togliermi la vita in cella".
Roma, primi di novembre '93
Giuliano Urbani manda alle stampe un libretto di trentacinque pagine intitolato Alla ricerca del buon governoAppello per la costruzione di un'Italia vincente. Il volume verrà dato in omaggio e indicato come riferimento ideologico a tutti coloro che si iscriveranno ai club Forza Italia.

Roma, 5 novembre '93
La Procura di Roma, sospettando che le «dichiarazioni» destabilizzanti siano state concordate, aggrava l'accusa contro i tre dirigenti del Sisde (Malpica, Broccoletti e Galati) che avevano tirato in ballo il presidente della Repubblica: l'ipotesi di reato è ora quella di "attentato agli organi costituzionali". Intanto, voci false su imminenti dimissioni del capo dello Stato scatenano la speculazione internazionale sulla lira facendone precipitare le quotazioni; ma in giornata la moneta recupera.

Roma, 9 novembre '93
Nel dibattito in Parlamento sullo scandalo Sisde, il presidente del Consiglio Ciampi illustra le misure restrittive messe in atto dal governo sull'uso dei fondi dei servizi segreti e dice che "le bande di malfattori dentro lo Stato non mineranno la democrazia". » (...)

Milano, 10 novembre '93
In viale Isonzo, cominciano i provini televisivi per i 650 personaggi candidabili usciti dallo screening di Publitalia.(...).

Roma, 12 novembre '93
La Procura di Roma scagiona il ministero dell'Interno Mancino: non ha preso nessun fondo nero dal Sisde; gli ex ministri Antonio Gava ed Enzo Scotti vengono invece rinviati al Tribunale dei ministri con l'accusa di peculato.

Parigi, 12 novembre '93
A Parigi, in una saletta dell'Assemblea nazionale (il Parlamento francese), Angelo Codignoni riceve dalle mani di Giulia Ceriani, collaboratrice del semiologo ed esperto di marketing Jean-Marie Floch, lo Screening X. Si tratta di un rapporto di quattrocento pagine per verificare lo spazio di una nuova formazione politica di centro-destra. Floch suggerisce anche le due chiavi utili per vincere: il dovere ("Devo bere l'amaro calice") e il sapere ("Io ho la competenza").

Roma, 16 novembre '93
L'apposita commissione ministeriale accerta che i ministri dell'Interno dal 1987 al 1992 (quindi anche Gava e Scotti) non si sono appropriati di fondi segreti del Sisde.

Roma, 21 novembre '93
Primo turno delle elezioni amministrative (...) I dati generali danno vincenti tre grandi forze: la sinistra (raccolta in un'Alleanza democratica e progressista guidata dal Pds), la Lega nord e il Movimento sociale; seccamente sconfitti, invece, la Dc, il Psi e in generale i partiti di governo.

Palermo, fine '93
Secondo Nino Giuffrè questo è il momento in cui all'interno di Cosa nostra si discute dell'imminente discesa in campo di Silvio Berlusconi. "Tutte le persone che avevano notizie di questo movimento che stava per nascere – dirà Giuffrè – trasmettevano le informazioni all'interno di Cosa nostra. Provenzano, in modo particolare, ne valutava l'affidabilità. Iniziò un lungo periodo di discussione e di indagine per vedere se era un discorso serio che poteva interessare a Cosa nostra, per poter curare quei mali che avevano provocato danni all'organizzazione. Abbiamo fatto anche delle riunioni per discutere, fino a quando lo stesso Provenzano ci disse che potevamo fidarci, che eravamo in buone mani. E nel momento in cui lui ci dà queste informazioni, e queste sicurezze, ci mettiamo in cammino per portare avanti all'interno di Cosa nostra, e poi successivamente all'esterno, il discorso di Forza Italia".

Torino, 22 novembre '93
Berlusconi rilascia un'intervista a La Stampa commentando il risultato del primo turno delle amministrative. "Li avevo previsti da tempo e centrati in pieno con proiezioni sulle elezioni di giugno". E poi: "Sono in molti a chiedere un mio impegno: gente comune, colleghi imprenditori, politici. Se dicessi di sì dovrei tirarmi da parte come editore: sarebbe per me una decisione gravosa. Anzi, se mi consente l'aggettivo, una decisione eroica. Mi auguro che quanto succederà nelle prossime settimane possa allontanare da me questa decisione, questo amaro calice". (...)

Bologna, 23 novembre '93
Al mattino un Berlusconi ancora in tuta da ginnastica sale sull'aereo che lo porta a Casalecchio di Reno, vicino a Bologna, per inaugurare un ipermercato. Dopo la cerimonia tiene una conferenza stampa al termine della quale, su specifica domanda, dice che se dovesse votare nel ballottaggio a Roma sceglierebbe "senza esitazioni Fini, esponente di quell'area moderata che si è unita e può garantire un futuro al paese". (...)

Milano, 27 novembre '93
Alle 14 su Rete4, al posto della prevista puntata della soap-opera Sentieri viene trasmessa integralmente la conferenza stampa tenuta il giorno prima da Berlusconi. Alle 22.40 anche Canale5 cancella il film Donna d'onore, con Serena Grandi, per mettere in onda l'intero faccia a faccia del Cavaliere con i giornalisti stranieri. Sono le prime prove tecniche della nascente telecrazia.


Le stragi del 1992-1993: quello che sappiamo e quello che dobbiamo ancora sapere

 
Il colloquio
Ciampi: la notte del '92 con la paura del golpe
di Massimo Giannini
 
LA REPUBBLICA   -   29 maggio 2010   pag. 1 e 13
 
«NON c'è democrazia senza verità. Questo è il tempo della verità. Chi c'è dietro le stragi del '92 e '93? Chi c'è dietro le bombe contro il mio governo di allora? Il Paese ha il diritto di saperlo, per evitare che quella stagione si ripeta...». Dopo la denuncia di Piero Grasso, dopo l'appello di Walter Veltroni, ora anche Carlo Azeglio Ciampi chiede al governo e al presidente del Consiglio di rompere il muro del silenzio, di chiarire in Parlamento cosa accadde tra lo Stato e la mafia in uno dei passaggi più oscuri della nostra Repubblica.
L'ex presidente, a Santa Severa per un weekend di riposo, è rimasto molto colpito dalle parole del procuratore nazionale antimafia, amplificate dall'ex leader del Pd. E non si sottrae a una riflessione e, prima ancora, a un ricordo di quei terribili giorni di quasi vent'anni fa. «Proprio la scorsa settimana ho parlato a lungo con Veltroni, che è venuto a trovarmi, di quelle angosciose vicende. E ora mi ritrovo al 100 per cento nei contenuti dell'intervista che ha rilasciato a "Repubblica". Quelle domande inevase, quel bisogno di sapere e di capire, riflettono pienamente i miei pensieri. Tuttora noi non sappiamo nulla di quei tragici attentati. Chi armò la mano degli attentatori? Fu solo la mafia, o dietro Cosa Nostra si mossero anche pezzi deviati dell'apparato statale, anzi dell'anti-Stato annidato dentro e contro lo Stato, come dice Veltroni? E perché, soprattutto, partì questo attacco allo Stato? Tuttora io stesso non so capire ...».
Il ricordo di Ciampi è vivissimo. E il presidente emerito, all'epoca dei fatti presidente del Consiglio di un esecutivo di emergenza, che prese in mano un Paese sull'orlo del collasso politico (dopo Tangentopoli) e finanziario (dopo la maxi-svalutazione della lira) non esita ad azzardare l'ipotesi più inquietante: l'Italia, in quel frangente, rischiò il colpo di Stato, anche se è ignoto il profilo di chi ordì quella trama. «Il mio governo fu contrassegnato dalle bombe. Ricordo come fosse adesso quel 27 luglio, avevo appena terminato una giornata durissima che si era conclusa positivamente con lo sblocco della vertenza degli autotrasportatori. Ero tutto contento, e me ne andavo a Santa Severa per qualche ora di riposo. Arrivai a tarda sera, e a mezzanotte mi informarono della bomba a Milano. Chiamai subito Palazzo Chigi, per parlare con Andrea Manzella che era il mio segretario generale. Mentre parlavamo al telefono, udimmo un boato fortissimo, in diretta: era l´esplosione della bomba di San Giorgio al Velabro. Andrea mi disse "Carlo, non capisco cosa sta succedendo...", ma non fece in tempo a finire, perché cadde la linea. Io richiamai subito, ma non ci fu verso: le comunicazioni erano misteriosamente interrotte. Non esito a dirlo, oggi: ebbi paura che fossimo a un passo da un colpo di Stato. Lo pensai allora, e mi creda, lo penso ancora oggi... ».
Resta da capire per mano di chi. Su questo Ciampi allarga le braccia. «Non so dare risposte. So che allora corsi come un pazzo in macchina, e mi precipitai a Roma. Arrivai a Palazzo Chigi all'una e un quarto di notte, convocai un Consiglio supremo di difesa alle 3, perché ero convinto che lo Stato dovesse dare subito una risposta forte, immediata, visibile. Alle 4 parlai con Scalfaro al Quirinale, e gli dissi "presidente, dobbiamo reagire". Alle 8 del mattino riunii il Consiglio dei ministri, e subito dopo partii per Milano. Il golpe non ci fu, grazie a dio. Ma certo, su quella notte, sui giorni che la precedettero e la seguirono, resta un velo di mistero che è giunto il momento di squarciare, una volta per tutte». La certezza che esponeva ieri Veltroni è la stessa che ripete Ciampi: non furono solo stragi di mafia, ed anzi, sulla base delle inchieste si dovrebbe smettere di definirle così. Furono stragi di un «anti-Stato», ancora tutto da scoprire. E come Veltroni anche Ciampi aggiunge un dubbio: perché a un certo punto, poco dopo la nascita del suo governo, le stragi cominciano? E perché, a un certo punto, dopo gli eccidi di Falcone e Borsellino, le stragi finiscono? Perché la mafia comincia a mettere le bombe? Perché la mafia smette di mettere le bombe?
È lo scenario ipotizzato dal procuratore Grasso: gli attentati servirono forse a preparare il terreno alla nascita di una nuova «entità politica», che doveva irrompere sulla scena tra le macerie di Mani Pulite. Un «aggregato imprenditoriale e politico» che doveva conservare la situazione esistente. Quell'entità, quell'aggregato, secondo questo scenario, potrebbe essere Forza Italia. Nel momento in cui quel partito si prepara a nascere, e siamo al '94, Cosa Nostra interrompe la strategia stragista. È uno scenario credibile? Ciampi non si avventura in supposizioni: «Non sta a me parlare di tutto questo. Parlano gli avvenimenti di quel periodo. Parlano i fatti di allora, che sono quelli richiamati da Grasso. Il procuratore antimafia dice la verità, e io condivido pienamente le sue parole».
Per questo, in nome di quella verità troppo a lungo negata, l'ex capo dello Stato oggi rilancia l'appello: è sacrosanto che chi sa parli. Ed è sacrosanto, come chiede Veltroni, che «Berlusconi e il governo non tacciano», perché la lotta alla mafia non è questione di parte, «ma è il tema bipartisan per eccellenza». Si apra dunque una sessione parlamentare, dedicata a far luce su quegli avvenimenti. Perché il clima che si respira oggi, a tratti, sembra pericolosamente rievocare quello del '92-´93. Ciampi stesso ne parlerà, in un libro autobiografico scritto insieme ad Arrigo Levi, che uscirà per «il Mulino» tra pochi giorni. «Lì è tutto scritto, ciò che accadde e ciò che penso. Così come lo riportai, ora per ora, sulle mie agende dell'epoca ...». Deve restare memoria, di tutto questo. Ma insieme alla memoria deve venir fuori anche la verità. «Perché senza verità - conclude lex presidente della Repubblica - non c´è democrazia».
m.giannini@repubblica.it
 

 
Scusate il ritardo
di Marco Travaglio
 
IL FATTO QUOTIDIANO   -   29 maggio 2010   pag. 1
 
Con la dovuta calma, una decina d'anni di ritardo non di più, il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso e l'on. Walter Veltroni, membro dell'Antimafia, scoprono che le stragi del 1992-'93 furono "subappaltate a Cosa Nostra" per spianare la strada a "una nuova forza politica" (Grasso), a una "entità esterna" (Uòlter): una roba talmente misteriosa che l'ha intuita persino Cicchitto. E tutti a meravigliarsi, a scandalizzarsi, ad accapigliarsi sulla sconvolgente novità.
Chi scrive lo disse in tv a "Satyricon" nel 2001 e lo scrisse con Elio Veltri ne "L'odore dei soldi", mentre decine di altri libri, in Italia e all'estero, giungevano alle stesse conclusioni. Per avermi consentito di dirlo, da 9 anni Daniele Luttazzi non può più lavorare in tv, né sotto la destra né sotto la sinistra. Intanto Grasso, da procuratore di Palermo, assieme al Csm estrometteva dal pool antimafia tutti i pm che indagavano su quella pista. E Veltroni, segretario Pd nel 2007-2009, elogiava Berlusconi "interlocutore indispensabile sulle riforme", rivendicava il dovere di "non attaccarlo più" e poneva fine all'"éra dell'antiberlusconismo" (peraltro mai iniziata).
Si dirà: oggi ci sono novità, parlano Ciancimino jr e Spatuzza. Nulla, però, al confronto delle sentenze che da anni immortalano i moventi delle stragi e della nascita di Forza Italia. Nel 1998, archiviando B. e Dell'Utri indagati a Firenze per concorso nelle stragi del 1993, il gip Soresina scrive che i due hanno "intrattenuto rapporti non meramente episodici con i soggetti criminali cui è riferibile il programma stragista"; esiste "un'obiettiva convergenza degli interessi politici di Cosa Nostra rispetto ad alcune qualificate linee programmatiche della nuova formazione (Forza Italia, ndr): 41 bis, legislazione sui collaboratori di giustizia, recupero del garantismo processuale asseritamente trascurato dalla legislazione dei primi anni '90". Al punto che "l'ipotesi iniziale (il coinvolgimento di B. e Dell'Utri nelle stragi, ndr) ha mantenuto e semmai incrementato la sua plausibilità". Nel 2001 la Corte d'Assise d'appello di Caltanissetta condanna 37 boss per la strage di Capaci e, nel capitolo "I contatti tra Riina e gli on. Dell'Utri e Berlusconi", scrive che nel 1992 "il progetto politico di Cosa Nostra mirava a realizzare nuovi equilibri e nuove alleanze con nuovi referenti della politica e dell'economia". Cioè a "indurre alla trattativa lo Stato ovvero a consentire un ricambio politico che, attraverso nuovi rapporti, assicurasse come nel passato le complicità di cui Cosa Nostra aveva beneficiato". Nel 2004 il Tribunale di Palermo condanna Marcello Dell'Utri a 9 anni per concorso esterno in mafia e scrive che nel '93 Provenzano "ottenne garanzie" che l'indussero a "votare e far votare per Forza Italia", con cui aveva "agganci" pure il boss stragista Bagarella. Garanzie fornite da Dell'Utri, che ha avuto "per un trentennio contatti diretti e personali" con Cosa Nostra svolgendo una "attività di costante mediazione tra il sodalizio criminoso più pericoloso e sanguinario del mondo e gli ambienti imprenditoriali e finanziari milanesi, in particolare la Fininvest", nonché una "funzione di 'garanzia' nei confronti di Berlusconi". Nei "momenti di crisi tra Cosa Nostra e la Fininvest", Dell'Utri media "ottenendo favori" dalla mafia e "promettendo appoggio politico e giudiziario".
Rapporti che "sopravvivono alle stragi del 1992-93, quando i tradizionali referenti, non più affidabili, venivano raggiunti dalla 'vendetta' di Cosa Nostra". Forza Italia nasce nel '93 da un'idea di Dell'Utri, il quale "non ha potuto negare" che ancora nel novembre '93 incontrava Mangano a Milano, come risulta dalle sue agende, mentre era "in corso l'organizzazione del partito Forza Italia e Cosa Nostra preparava il cambio di rotta verso la nascente forza politica". Infatti Dell'Utri prometteva "alla mafia precisi vantaggi politici e la mafia si era vieppiù orientata a votare Forza Italia".
Ora lo scoprono pure Grasso e Uòlter. Non è mai troppo tardi. Ma che riflessi, ragazzi.

 
 

Firenze, la TAV fa già danni: fermiamola !


Comitato contro il sottoattraversamento AV di Firenze

 
COMUNICATO STAMPA   -   Firenze, 27 maggio 2010

 
Il Comitato contro il sottoattraversamento AV di Firenze ha organizzato il 26 maggio una assemblea nei locali della parrocchia di Santa Maria Mater Dei al Lippi per informare i cittadini dei problemi Tav in città e delle iniziative messe in campo dal comitato stesso. La partecipazione è stata alta e appassionata ed è nato un comitato locale.
Sono molto inquietanti le notizie che i cittadini stessi hanno fornito agli organizzatori ed è stato molto lungo l'elenco dei problemi esistenti:


  • In diversi condomini di via Pescetti stanno apparendo crepe che, a detta dei tecnici chiamati dai residenti, sono dovuti ai movimenti della falda. Fin'ora si sapeva solo di un paio di edifici in via Fanfani prospicienti la ferrovia, adesso si verificano danni a centinaia di metri dagli scavi. Era prevedibile la cosa, visti anche gli elaborati fatti dalle FS stesse stimano un pericoloso abbassamento della falda in quella zona. I danni dovuti all'abbassamento delle acque sotterranee sono insidiosi e imprevedibili: si possono manifestare in tempi e a distanze anche molto grandi dai luoghi dove si crea la barriera sotterranea.


  • Nonostante le abbondanti piogge degli ultimi periodi la falda che esisteva a 3 metri di profondità è completamente sparita, quella più profonda si sta abbassando: questo lo stanno verificando i cittadini della zona che hanno pozzi.


  • Nella piazzetta antistante il sottopassaggio delle Tre Pietre, dove è il capolinea del 5, il manto stradale ha avuto improvvisamente delle deformazioni.


  • Il sottopassaggio alle Tre Pietre continua ad essere interessato da inquietanti perdite di acqua dal soffitto e dalle pareti.


  • I residenti hanno lamentato polveri e rumori nella zona, il fatto che le barriere poste lungo i binari non sono fonoassorbenti, ma addirittura producono un effetto di rimbombo al passaggio dei treni.


  • I lavori rumorosi dello "scavalco" dovrebbero iniziare al mattino dopo le ore 8.30, ma in realtà fin dalle 6 del mattino i rumori non lasciano requie.


  • I cittadini hanno riportato della visita effettuata qualche tempo fa dal sindaco Matteo Renzi; questi ha dato informazioni sbagliate sui testimoniali di stato: i residenti sono stati invitati ad attendere ad effettuare i testimoniali che vanno fatti nell'imminenza dell'inizio dei lavori; questo è vero per i residenti di altre zone, ma al Lippi e al Sodo i lavori sono iniziati un paio di anni fa! Che senso ha invitare le persone a ritardare nel difendersi e a stare tranquilli?

I residenti hanno deciso di organizzare, con il Comitato contro il sottoattraversamento, una assemblea (in data da definire) in cui invitare esperti di geotecnica e lo studio legale che sta preparando l'azione legale collettiva per difendere i cittadini da questo progetto sbagliato e pericoloso.
Intanto il Comitato contro il Sottoattraversamento invita i cittadini ad una "biciclettata nei luoghi del disastro e dell'alternativa" sabato 29 maggio alle ore 15.30: si parte da piazza Signoria (accanto al Biancone), si passa da via Cavour davanti alla Regione, al cavalcaferrovia delle Cure, Ponte del Pino (davanti ai cantieri TAV), viale Don Minzoni, stazione di Statuto, Fortezza da Basso, viale Corsica avanti ai cantieri dei Macelli. Saranno illustrati i rischi nelle varie zone e mostrata la evidente possibilità di mettere due binari in superficie.

 

No al bavaglio


Lasciatelo lavorare
di Marco Travaglio

IL FATTO QUOTIDIANO   -   23 maggio 2010   pag. 1

La legge-bavaglio deve passare al più presto, e nella sua versione peggiore. Prima passa, prima verrà cancellata dalla Corte costituzionale o dalla Corte di giustizia europea o da un referendum abrogativo che rischia seriamente di raggiungere il quorum. Ogni tentativo di emendarla per "migliorarla" è destinato a peggiorare le cose. Ed è davvero mortificante vedere giornalisti e presunti oppositori mendicare uno sconto di pena o di multa dai delinquenti che ci sgovernano per rendere un po' meno inaccettabile la porcheria. Le porcherie sono inaccettabili e basta. Ma che cosa siamo diventati? Un branco di accattoni che pietisce un pò di pietà da un regime putinian-criminale, quasi che la libertà di stampa si misurasse a centimetri come la verginità delle demi-vièrges? È soprattutto una questione di principio, oltreché di orgoglio e di dignità professionale: il governo e il Parlamento non possono vietare ai giornalisti di fare il proprio mestiere di informare i cittadini con notizie pubbliche e vere, punto. I politici non si devono permettere di decidere al posto nostro cosa si pubblica e cosa no, stop. Se lo fanno, verranno respinti dalla Costituzione e dalla Convenzione europea sui diritti dell'uomo, che tutelano come sacra e inviolabile la libertà di espressione e il diritto dei cittadini a essere informati. Se il capo dello Stato, impegnato nella solita felpata pantomima degli "alti moniti" e della "moral suasion" per rendere meno porca la porcata, la firmerà, sarà un'altra volta complice di chi l'ha ideata ed esporrà l'istituzione Presidenza della Repubblica a una figuraccia, l'ennesima, non solo dinanzi alla Consulta, ma dinanzi al mondo intero. Perché questa legge vergogna, più delle altre cento e passa approvate in questi 15 anni di democrazia privatizzata, sta facendo il giro del mondo, visto che non ha eguali nel pianeta. Ha già suscitato le reazioni indignate dell'Amministrazione americana, degli organismi internazionali da Reporters Sans Frontières a Freedom House. Ha persino costretto il Pd ad annunciare l'ostruzionismo, pratica abbandonata nel lontano 2003 con la Cirami, a parlare di "regime" (meglio tardi che mai) e a evocare la Spagna franchista (naturalmente il programma elettorale del Pd del 2008 prevedeva lo stesso bavaglio alla stampa della legge Al Fano, infatti nell'aprile 2007 destra e sinistra avevano votato unanimi la legge Mastella che, quanto a bavaglio, era pure peggio della Al Fano). Ha aperto nuove crepe nel Pdl fra berlusconiani e finiani. Sta suscitando la rabbia dei cittadini, di sinistra e anche di una parte della destra, quella che si era bevuta la frottola della sicurezza e ora capisce di chi era quella sicurezza: di Berlusconi e della sua banda. Ha fatto riscoprire un minimo di orgoglio professionale alla scalcinata categoria dei giornalisti, almeno di quelli veri (persino Feltri e Sallusti sono anti-bavaglio; Belpietro, Polito El Drito e Filippo Mèches invece sono pro, infatti fanno un altro mestiere, molto antico fra l'altro). Ha destato dal letargo Anm, Csm e persino il procuratore antimafia, l'equilibrista Grasso. Ha addirittura stanato gli editori più paraculi del mondo e financo il Corriere, che una volta tanto ha affidato i commenti non ai soliti pompieri incompetenti, ma a gente che ci capisce come Ferrarella, Sarzanini e Grevi. Appena gli atti d'indagine saranno merce proibita, susciteranno un interesse spasmodico nell'opinione pubblica, tanto più se i magistrati convocheranno una conferenza stampa al giorno per spiegare alla gente di non poter più scoprire l'autore di questo o quel crimine a causa della nuova legge. A noi giornalisti non mancheranno i canali per la disobbedienza civile: se la gente sarà davvero interessata a informarsi, riempirà le piazze e i teatri dove, consapevoli di violare una legge criminale e criminogena, useremo la tradizione orale per raccontare ciò che non potremo più fare sui giornali, salvo condannarli al fallimento. Per una volta che Berlusconi lavora per noi e si scava la fossa, lasciamolo lavorare.



LEZIONI AMERICANE
Il sottosegretario al Dipartimento di Giustizia Usa difende le intercettazioni. Goffa replica di Alfano: non cambierà nulla
di Giampiero Gramaglia

IL FATTO QUOTIDIANO   -   22 maggio 2010   pag. 2

"Non vorremmo mai che accadesse qualcosa che impedisse ai magistrati italiani di continuare a fare l'ottimo lavoro finora svolto: le intercettazioni sono uno strumento essenziale per le indagini", specie nella lotta alla mafia. Forse, Lenny A. Brauer, sottosegretario alla Giustizia dell'Amministrazione Obama, con delega alla Criminalità organizzata internazionale, non si rende neppure conto d'intervenire a gamba tesa, con queste dichiarazioni, nelle polemiche italiane e ormai internazionali sulla 'legge bavaglio'. E, infatti, Brauer, in Italia per colloqui sulla lotta al crimine, insiste: "La legislazione italiana finora è stata molto efficace".
Il sottosegretario Usa sottolinea "l'eccellente cooperazione" tra autorità e inquirenti dei due Paesi nella lotta al crimine: "L'Italia ha fatto grandi progressi nel condurre le indagini e nel perseguire i gruppi mafiosi operanti entro i suoi confini", anche se, insieme, "possiamo e dobbiamo fare di più". Brauer non solleva il problema della libertà di stampa. E, quando s'accorge di essersi spinto lontano, precisa: "Non spetta a me entrare nel merito di decisioni che riguardano l'Italia. E non conosco i provvedimenti in discussione". Una parziale marcia indietro che dà lo spunto al ministro Alfano per una goffa replica: "Non è stata prevista alcuna restrizione per i reati di mafia e terrorismo. L'esponente Usa non ha inteso in alcun modo entrare in valutazioni di merito sulla legislazione italiana in materia di intercettazioni". Ma polemiche e critiche su questo aspetto del provvedimento sulle intercettazioni hanno ormai una dimensione mondiale. La stampa se ne occupa con toni duri. In Francia, Nouvel Obs scrive che "media e magistrati italiani sono contrari alle limitazioni sulle intercettazioni"; in Spagna, El Paìs e Abc fanno muro contro il disegno di legge; in Gran Bretagna, il Financial Times dà rilievo alla sfida di Sky Italia, la tv italiana dell'editore australiano Rupert Murdoch, contro "la legge Berlusconi". Il passo di Sky presso la Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha sede a Strasburgo, deve ancora concretizzarsi: ci vorrà tempo perché esso possa essere avviato, bisognerà prima attendere l'esaurimento delle possibilità di ricorso nazionali. Da Bruxelles, la Commissione europea ricorda che non ha l'abitudine di commentare "disegni di legge in corso di elaborazione" e dice che "non farà un'eccezione in questo caso". Il portavoce Olivier Bailly afferma: "Non abbiamo ricevuto nessuna protesta e non facciamo nessun commento". Del resto, sulle violazioni dei diritti dell'uomo, la competenza è della Corte di Strasburgo e non degli organi dell'Ue.
A rispondere alle sollecitazioni dei giornalisti è la Freedom House, l'associazione no profit Usa che ogni anno pubblica una classifica mondiale della libertà di stampa: nell'ultima, l'Italia figura al 72esimo posto, in barba alle dichiarazioni di Mr B. che qui da noi c'è troppa libertà di stampa. Una posizione destinata a peggiorare, se la 'norma bavaglio' dovesse passare. Karin Karkekar, di Freedom House, dà un'intervista alla Bloomberg: il disegno di legge italiano "penalizza la stampa ed è contrario agli standard internazionali, perché "potrebbe punire i giornalisti per avere riportato un'informazione pubblicamente disponibile o notizie che sono di pubblico interesse". Per la Karlekar, "le misure con sanzioni così dure per i giornalisti sono fuori linea con le norme predominanti, che tendono a depenalizzare le pratiche illegali della stampa". Le dichiarazioni di Brauer rischiano di tradursi in uno screzio tra Italia e Stati Uniti, anche perché il ministro degli Esteri, Franco Frattini, si schiera, invece, in prima linea nella difesa del disegno 'anti-intercettazioni': "Tanti italiani – afferma – hanno sofferto la barbarie di vedere notizie private apparire sulla prima pagina dei giornali senza nessun filtro, una barbarie che deve finire". Dopo di che, Frattini (esattamente come Alfano) tira fuori una frase che dovrebbe rassicurare gli Stati Uniti: "Tutto quello che servirà per combattere le mafie, intercettazioni incluse, non sarà né toccato né ridotto". La questione non è emersa, ieri, nell'incontro che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha avuto al Quirinale, con il presidente della Commissione europea José Manuel Durao Barroso, presente il ministro delle Politiche comunitarie Stefano Ronca. Ma potrebbe, invece, avere un'eco nella missione che Napolitano sta per intraprendere a Washington, dove, martedì, accompagnato proprio dal ministro Frattini, sarà ricevuto alla Casa Bianca dal presidente statunitense. Barack Obama pare avere una considerazione particolare per quel vecchio comunista italiano che, l'estate scorsa, a Roma per il Vertice del G8, salutò come "un leader mondiale", ringraziandolo "per la sua leadership". Primo dirigente del Pci a sbarcare negli Usa 32 anni or sono, Napolitano continua a interessare gli americani e a goderne la fiducia. La visita a Washington era prevista dopo l'estate, ma è stata anticipata su richiesta di Obama, e in tempi stretti: il presidente Usa vuole capire che cosa accade nell'Europa dei leader pavidi nella difesa della propria moneta. E, magari, vuole anche capire che cosa succede in Italia, tra scandali, corruzioni e 'leggi bavaglio'.







Santoro: 'E' il momento di fare da soli'


Santoro: 'E' il momento di fare da soli'
I nemici, gli amici, i conti in tasca e la tv: il conduttore a tutto campo
di Marco Travaglio


IL FATTO QUOTIDIANO   -   22 maggio 2010   pag. 1 e 7

"Scusa, Marco, ma tu pensi davvero che, se la Rai mi offriva di dirigere una rete o un tg, o se soltanto mi chiedeva di continuare Annozero senza più guerre, io me ne sarei andato a fare un salto nel buio?".
Michele, è un'ipotetica del terzo tipo: alla Rai comanda Berlusconi.
Certo, ma il Pd ha tre consiglieri, tra cui il presidente. A me sarebbe bastato che un pezzo del Cda facesse una battaglia per noi. Invece, appena ricevuta la proposta di Masi sulla transazione per farmi uscire dall'azienda, anche i consiglieri del Pd si sono affrettati a votarla. La prova che non considerano Annozero una risorsa strategica per la Rai.
Secondo te perché?
Prima del 2002,a ogni tornata di nomine Rai, si faceva il mio nome per dirigere tg e reti. Nel '94 la presidente Letizia Moratti (Forza Italia) mi voleva direttore del Tg3. Dall'editto bulgaro in poi, il mio nome è scomparso anche dalle rose di nomi, anche del centrosinistra. La verità è che l'editto bulgaro vige tutt'oggi, per giunta condiviso dal centrosinistra. La pregiudiziale contro di noi è unanime, anche molto in alto...
Quanto in alto?
Lasciamo perdere, per carità di patria.
La gente ti chiede perché non sei rimasto a difendere la trincea di Annozero: pensavi che comunque, a settembre, il programma non sarebbe ripartito
Naufragata – grazie alle intercettazioni di Trani – la maxi-multa dell'authority che doveva fornire il pretesto per chiuderci, a settembre saremmo entrati in una diversa sfera di scontro: nuove trappole e altri ostacoli per impedirci di ripetere questa stagione straordinaria. Avremmo passato il tempo a schivare le pallottole, anziché studiare nuovi linguaggi per raccontare al meglio la realtà italiana. Innovare è impossibile in un'azienda che ti fa la guerra. Io per esempio non ne posso più di questo contraddittorio spacciato per pluralismo: il pluralismo è una regola democratica che dà voce a tutte le opinioni, il contraddittorio è un format spettacolare. Non sta scritto da nessuna parte che tutte le opinioni debbano esprimersi nello stesso posto contemporaneamente, magari l'una sull'altra, magari per coprire o per calunniare te mentre stai raccontando un fatto. Ma come si fa? Nella gabbia di questa Rai non avremmo potuto cambiare una virgola: ogni novità diventa un pretesto per bloccarci.
E quindi?
O garantiscono di smetterla, oppure è ora di raccogliere il messaggio di Raiperunanotte: ce ne andiamo fuori dalla Rai a sperimentare forme narrative nuove e più efficaci. A farla fuori dal vaso, liberandoci dal cappio dei partiti, ora che al Paladozza abbiamo sperimentato con successo nuovi canali di trasmissione. Perché il conflitto di interessi non è solo di Berlusconi, ma di tutti i partiti che occupano la Rai, le Authority e tutto il resto.
Davvero non c'erano speranze per Annozero quinta edizione?
Chi non vive in redazione non sa quante armi sfoderano per bloccarti: niente cachet per questo o quell'ospite, niente docufiction, no a questa o quella troupe, e poi le diffide dell'ufficio legale, i contratti dei collaboratori, le convocazioni dei ministri, la commissione di Vigilanza, le multe, i divieti di parlare di processi e inchieste, oltreché naturalmente di Berlusconi... Devi chiedere autorizzazioni su tutto e per tutto, anche per usare al meglio il tuo budget. Non a caso i prodotti più forti della Rai sono ormai fatti in outsourcing, vedi Che tempo che fa: molto meglio che sia la Endemol a invitare questo o quell'ospite... Poi c'è la strategia giudiziaria: cause civili abnormi come quella da 40 milioni di euro degli Angelucci e, alle spalle, un'azienda che invece di sostenerti ti fa causa a sua volta. Stare lì a parare i colpi significherebbe dare gioco facile ai censori e alla censura. Non potevamo continuare a pagare noi il biglietto per andare in onda.
Ma Annozero sotto assedio non è comunque meglio che niente Annozero?
Non è detto. Oggi l'intero sistema politico è in crisi, ma Annozero da solo non può ribaltare il sottostante sistema dell'informazione. Rischierebbe di diventare un rito consolatorio, con una gigantesca platea che si ritrova il giovedì a celebrare il giorno del marinaio: stasera si parla male di tizio o di caio. Io speravo, tornando nel 2006, di contribuire a cambiare il sistema verso la libertà: lo dissi subito, invocando il ritorno di Biagi, di Luttazzi e della Guzzanti. Invece Annozero non si è propagato nel resto del sistema, che anzi espelle altre voci meno "eversive" della tua, di quelle di Sabina, di Daniele: ora tocca a Morgan, a Busi... Che faccio, li chiamo tutti io nell'accampamento recintato? Arroccarsi sulla difensiva è sbagliato. A volte siamo riusciti a intaccare l'Agenda Unica, ma solo quando qualche grande giornale ci veniva dietro e trattava i nostri temi, o viceversa. Per il resto siamo rimasti soli nella gabbia.
Te la sei presa con Curzio Maltese che ha parlato di resa, ma non ha ragione lui quando osserva che oggettivamente Berlusconi e Masi hanno coronato il sogno di chiudere Annozero?
Diversamente da Aldo Grasso, che è prevenuto e prevedibile, al parere di Curzio tengo molto. Gli chiedo di aspettare qualche mese prima di giudicarmi: io non alzo bandiera bianca e non vado in pensione, non oserei più guardarmi allo specchio. L'avventura che voglio intraprendere è rischiosa, ma appassionante. Spero che possa essere valutata già tra qualche mese. So bene che il pubblico, quando viene privato di un programma libero, uno dei pochi, reagisce male. È una reazione che non puoi cancellare, a meno di stare lì a lottare fino all'ultimo sangue, in attesa che ti neutralizzino. Ma, ora che posso, voglio fare quello che avete fatto voi con il Fatto Quotidiano: è il momento di liberarsi dei grandi gruppi editoriali e di fare da soli, cercando soluzioni più agili per far arrivare le notizie alla gente tramite altri canali. Se poi non ci riesco, vorrà dire che avrà vinto Berlusconi. Anzi i partiti. Ma non posso restare a queste condizioni in una Rai che – lo dice il suo presidente – potrebbe morire. Sarei complice dell'omicidio e l'alibi per l'assassino.
Che cosa vuoi fare da grande, oltre alle docufiction per la Rai?
È il capitolo più importante della mia nuova ricerca. Raiperunanotte insegna che, se il contenuto è forte, i contenitori si trovano, e con ascolti da grande tv generalista. Senza che nessuno ti possa bloccare o condizionare. La sfida è trasferire l'esperienza di quella serata unica nelle forme più efficaci, per fare di Raiperunanotte qualcosa di non episodico, di stabile.
Sogni ancora di fare un telegiornale?
Odio questa parola. L'obiettivo più scomodo per il potere, da raggiungere anche per gradi, è comunque qualcosa di nuovo che incida sul flusso quotidiano delle notizie. Ora che torno libero, mi guarderò intorno...
Parliamo di soldi. Da uomo di comunicazione, riconoscerai che certe cifre impressionano molto.
L'importante è che siano esatte e non inventate. Io non sono san Francesco né voglio apparire tale: sono un professionista che si occupa di questioni sociali e non vuole rinunciarvi per il ricattuccio volgare dei compensi. Se volevo far soldi, sarei rimasto a Mediaset, dove prendevo il doppio che alla Rai. Se volevo vendermi a Berlusconi, mi ero già venduto, come insinuava qualcuno. Ma è possibile che, per i cantori del libero mercato di casa Berlusconi o del Corriere della Sera, le regole della concorrenza valgano per tutti tranne che per me o per Grillo? Prima o poi farò un museo open air della mia vita, farò entrare la gente in casa mia, appenderò i miei stipendi e le mie dichiarazioni dei redditi, così si vedrà che non sono un nababbo: vivo bene, sono un privilegiato rispetto a milioni di persone in difficoltà, ma non rispetto ai miei colleghi. Sono disposti i miei colleghi a fare altrettanto?
Insisto sui soldi: che sono quei 10, quei 17 milioni di cui leggiamo?
Io guadagno 700 mila euro lordi, 370 mila netti, all'anno: stesso stipendio del 1999. L'azienda incentiva i dipendenti a uscire, me compreso, con uno scivolo di tre annualità. E siamo a due milioni, fine. Così me ne vado da un'azienda che dovrebbe pagarmi, anche se non facessi più Annozero, fino al 2016.
Vespa lamenta di essersene andato con soli 150 mila euro di liquidazione nel 2001.
Sì, ma poi gli hanno fatto un contratto di collaborazione di circa due milioni all'anno per molti anni in esclusiva. Io non avrò nulla del genere.
E i milioni per le docufiction?
Creerò una società per realizzare e fornire alla Rai "chiavi in mano" quattordici serate in due anni con prodotti prevalentemente cinematografici. Ovviamente è previsto un largo uso di attori. Costo medio: meno di quello che spende RaiDue per le sue prime serate. Quei soldi non sono mica per me, ma per tutta la squadra e soprattutto per il prodotto. Se poi prendo i soldi e scappo, mi arresteranno. Capirei se qualcuno dicesse: facciamole dentro l'azienda, queste serate. Ma è quel che dico da quattro anni e non trovo nessuno con cui parlarne.
Hai evocato Bersani e lui ti ha paragonato a Balotelli.
Ringrazio per la battuta, ma io attendo di sapere se il Pd vuole Annozero oppure no.
È vero che hai incontrato Bersani prima di decidere?
No, e perché mai? Io ai partiti non ho mai chiesto niente per il mio lavoro. Ma ho buone ragioni per sapere che Bersani era bene informato di quel che succedeva.
Van Straten e Rizzo Nervo dicono di aver approvato la transazione per farti un favore.
Nemmeno a loro ho chiesto niente, se non che dicessero la verità su cosa vogliono che la Rai faccia di me. Li ho informati della situazione due mesi fa, avevano tutto il tempo per farsi un'idea. Così come il presidente Garimberti: è impensabile che non conoscesse i termini della mia transazione con Masi. Se non erano d'accordo, potevano fare qualche obiezione.
Ricapitoliamo: tu prima hai parlato con Masi?
Certo, è il direttore generale. Gli ho chiesto che cosa voleva la Rai da me: mi date un canale satellitare, avete una proposta da farmi per il futuro? Risposta: proponga lei. Ho fatto una serie di proposte per il mio futuro da dipendente della Rai. Risultato: mi hanno trascinato in Cassazione per far annullare la sentenza d'appello che mi reintegrava in onda in base al mio contratto con la Rai. Ho chiesto a Masi: come si esce da una vertenza che potrebbe durare altri tre anni? Mi ha risposto che la soluzione era che uscissi dall'azienda con una transazione. Una condizione senza alternative. Allora ne ho parlato col presidente Garimberti e gli ho esposto il "paradosso Santoro": la Rai tratta come un clandestino, come un criminale, l'autore di un programma di punta che porta ascolti, pubblicità e guadagni all'azienda. Possibile che io sia un ingombro sopportato, anzi imposto dai giudici? Lui mi ha assicurato di non sapere nulla del ricorso della Rai in Cassazione. A te pare possibile? Gli ho detto ciò che avevo appena detto agli altri due consiglieri Pd: che intendevo riprendere il mio percorso creativo per la televisione che ho in mente, attendevo proposte dagli amministratori e le avrei considerate. Nessuna suggestione nemmeno da loro.
Ma non avevi chiesto l'unanimità del Cda sulla tua transazione?
Avevo chiesto che la Rai prendesse una decisione condivisa. Sono i consiglieri che dovevano analizzare l'accordo: se non li convinceva, non l'avrei firmato neanch'io. Se pensavano che dovessi andare avanti, anche rifacendo Annozero e basta, ne avrei tenuto conto. Invece hanno firmato tutti e ora dicono che l'hanno fatto per me: è la bugia del secolo. Hanno preferito accreditare la tesi che ero stanco e volevo arrendermi.
Ci sono spazi per rivedere tutto?
Gli amministratori sono loro, io sono un conduttore televisivo. Se hanno detto sì, vuol dire che erano tutti d'accordo con la linea di Masi per la mia uscita dall'azienda concordata con me. Ora si assumano la loro parte di responsabilità. Dicano che questa è l'unica soluzione possibile, per la destra e per la sinistra, oppure dicano che hanno cambiato idea. Se il Cda approva la delibera, io ne deduco che sono tutti d'accordo che io me ne vada. Se non lo fossero stati, io non me ne sarei andato. Ci hanno ripensato? Hanno deciso, finalmente, di costruire un progetto editoriale intorno a me e alla mia squadra? Se me lo dice qualcuno, io resto, anche per rifare Annozero. Ma se pensano che è meglio liberarsi di noi, allora voglio far rivivere lo spirito di Annozero fuori dal sistema dei partiti. È tutto molto chiaro, tutte le carte sono in tavola, troppo facile scaricare ogni cosa su di me. Del resto, Marco, ragioniamo: ma da quando in qua gli amministratori di questa Rai fanno quel che gli dice Michele Santoro?







No al TG1 di 'Scodinzolini'


Mi urlavano 'Scodinzolini'. Non condurrò più questo Tg1
La lettera con cui Maria Luisa Busi rinuncia ad andare in video
di Maria Luisa Busi

IL FATTO QUOTIDIANO   -   22 maggio 2010   pag. 8

Ti chiedo di essere sollevata dalla mansione di conduttrice dell'edizione delle 20 del Tg1, essendosi determinata una situazione che non mi consente di svolgere questo compito senza pregiudizio per le mie convinzioni professionali. Questa è per me una scelta difficile, ma obbligata. Considero la linea editoriale che hai voluto imprimere al giornale una sorta di dirottamento, a causa del quale il Tg1 rischia di schiantarsi contro una definitiva perdita di credibilità nei confronti dei telespettatori. Come ha detto il presidente della Commissione di Vigilanza Rai Sergio Zavoli: "La più grande testata italiana, rinunciando alla sua tradizionale struttura ha visto trasformare insieme con la sua identità, parte dell'ascolto tradizionale".
UNA VOCE SOLA. Amo questo giornale, dove lavoro da 21 anni. Perché è un grande giornale. È stato il giornale di Vespa, Frajese, Longhi, Morrione, Fava, Giuntella. Il giornale delle culture diverse, delle idee diverse. Le conteneva tutte, era questa la sua ricchezza. Era il loro giornale, il nostro giornale. Anche dei colleghi che hai rimosso dai loro incarichi e di molti altri qui dentro che sono stati emarginati. Questo è il giornale che ha sempre parlato a tutto il Paese. Il giornale degli italiani. Il giornale che ha dato voce a tutte le voci. Non è mai stato il giornale di una voce sola. Oggi l'informazione del Tg1 è un'informazione parziale e di parte. Dov'è il paese reale? Dove sono le donne della vita reale? Quelle che devono aspettare mesi per una mammografia, se non possono pagarla? Quelle coi salari peggiori d'Europa, quelle che fanno fatica ogni giorno ad andare avanti perché negli asili nido non c'è posto per tutti i nostri figli? Devono farsi levare il sangue e morire per avere l'onore di un nostro titolo. E dove sono le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro? Un milione di persone, dietro alle quali ci sono le loro famiglie. Dove sono i giovani, per la prima volta con un futuro peggiore dei padri? E i quarantenni ancora precari, a 800 euro al mese, che non possono comprare neanche un divano, figuriamoci mettere al mondo un figlio? E dove sono i cassintegrati dell'Alitalia? Che fine hanno fatto? E le centinaia di aziende che chiudono e gli imprenditori del nord-est che si tolgono la vita perché falliti? Dov'è questa Italia che abbiamo il dovere di raccontare? Quell'Italia esiste. Ma il Tg1 l'ha eliminata. Anche io compro la carta igienica per mia figlia che frequenta la prima elementare in una scuola pubblica. Ma la sera, nel Tg1 delle 20, diamo spazio solo ai ministri Gelmini e Brunetta che presentano il nuovo grande progetto per la digitalizzazione della scuola, compreso di lavagna interattiva multimediale.
DOV'É L'ITALIA? L'Italia che vive una drammatica crisi sociale è finita nel binario morto della nostra indifferenza. Schiacciata tra un'informazione di parte – un editoriale sulla giustizia, uno contro i pentiti di mafia, un altro sull'inchiesta di Trani nel quale hai affermato di non essere indagato, smentito dai fatti il giorno dopo e l'infotainment quotidiano: da quante volte occorre lavarsi le mani ogni giorno, alla caccia al coccodrillo nel lago, alle mutande antiscippo. Una scelta editoriale con la quale stiamo arricchendo le sceneggiature dei programmi di satira e impoverendo la nostra reputazione di primo giornale del servizio pubblico della più importante azienda culturale del Paese. Oltre che i cittadini, ne fanno le spese tanti bravi colleghi che potrebbero dedicarsi con maggiore soddisfazione a ben altre inchieste di più alto profilo e interesse generale. Un giornalista ha un unico strumento per difendere le proprie convinzioni professionali: levare al pezzo la propria firma. Un conduttore può soltanto levare la propria faccia, a questo punto. Nell'affidamento dei telespettatori è al conduttore che viene ricollegata la notizia. È lui che ricopre primariamente il ruolo di garante del rapporto di fiducia che sussiste con i telespettatori.
"SCODINZOLINI". I fatti de L'Aquila ne sono stata la prova. Quando centinaia di persone hanno inveito contro la troupe che guidavo al grido di vergogna "scodinzolini", ho capito che quel rapporto di fiducia che ci ha sempre legato al nostro pubblico era davvero compromesso. È quello che accade quando si privilegia la comunicazione all'informazione, la propaganda alla verifica. Un'ultima annotazione più personale. Ho fatto dell'onestà e della lealtà lo stile della mia vita e della mia professione. Dissentire non è tradire. Non rammento chi lo ha detto recentemente.
Pertanto:
1) Respingo l'accusa di avere avuto un comportamento scorretto. Le critiche che ho espresso pubblicamente – ricordo che si tratta di un mio diritto oltre che di un dovere essendo una consigliera della Fnsi – le avevo già mosse anche nelle riunioni di sommario e a te, personalmente. Con spirito di leale collaborazione, pensando che in un lavoro come il nostro la circolazione delle idee e la pluralità delle opinioni costituisca un arricchimento. Per questo ho continuato a condurre in questi mesi. Ma è palese che non c'è più alcuno spazio per la dialettica democratica al Tg1. Sono i tempi del pensiero unico. Chi non ci sta è fuori, prima o dopo.
2) Respingo l'accusa che mi è stata mossa di sputare nel piatto in cui mangio. Ricordo che la pietanza è quella di un semplice inviato, che chiede semplicemente che quel piatto contenga gli ingredienti giusti. Tutti e onesti. E tengo a precisare di avere sempre rifiutato compensi fuori dalla Rai, lautamente offerti dalle grandi aziende per i volti chiamati a presentare le loro convention, ritenendo che un giornalista del servizio pubblico non debba trarre profitto dal proprio ruolo.
3) Respingo come offensive le affermazioni contenute nella tua lettera dopo l'intervista rilasciata a Repubblica, lettera nella quale hai sollecitato all'azienda un provvedimento disciplinare nei miei confronti: mi hai accusato di "danneggiare il giornale per cui lavoro", con le mie dichiarazioni sui dati d'ascolto. I dati resi pubblici hanno confermato quelle dichiarazioni.
RISPETTO. Trovo inoltre paradossale la tua considerazione seguente: "Il Tg1 darà conto delle posizioni delle minoranze ma non stravolgerà i fatti in ossequio a campagne ideologiche". Posso dirti che l'unica campagna a cui mi dedico è quella dove trascorro i weekend con la famiglia. Spero tu possa dire altrettanto. Viceversa ho notato come non si sia levata una tua parola contro la violenta campagna diffamatoria che i quotidiani Il Giornale, Libero e il settimanale Panorama – anche utilizzando impropriamente corrispondenza aziendale a me diretta – hanno scatenato nei miei confronti in seguito alle mie critiche alla tua linea editoriale. Un attacco a orologeria: screditare subito chi dissente per indebolire la valenza delle sue affermazioni. Sono stata definita "tosa ciacolante – ragazza chiacchierona – cronista senza cronaca, editorialista senza editoriali" e via di questo passo. Non è ciò che mi disse il presidente Ciampi consegnandomi il Premio Saint Vincent di giornalismo. A queste vigliaccate risponderà il mio legale. Ma sappi che non è certo per questo che lascio la conduzione delle 20. Thomas Bernhard in "Antichi Maestri" scrive decine di volte una parola che amo molto: rispetto. Non di ammirazione viviamo, dice, ma è di rispetto che abbiamo bisogno. Caro direttore, credo che occorra maggiore rispetto. Per le notizie, per il pubblico, per la verità. Quello che nutro per la storia del Tg1, per la mia azienda, mi porta a questa decisione. Il rispetto per i telespettatori, nostri unici referenti. Dovremmo ricordarlo sempre. Anche tu ne avresti il dovere.









Il corruttore anticorruzione


"PASSAPAROLA" del 17 maggio 2010, di Marco Travaglio

IL CORRUTTORE ANTICORRUZIONE

Tratto dal sito   www.beppegrillo.it 


Firenze, la società "Quadra" come Anemone?

 
Quadra, il giallo delle fatture fantasma
Lavori eseguiti per politici e funzionari, non si trovano tracce dei pagamenti
di Franca Selvatici

LA REPUBBLICA  Edizione FIRENZE   -   15 maggio 2010   pag. V

Dai computer della Quadra Progetti è uscito un elenco che assomiglia, in sedicesimo, alla lista Anemone: vi sono annotati lavori svolti per esponenti politici e funzionari pubblici, mentre alla voce «compenso» sono riportati soltanto degli asterischi.
L'hanno trovato gli investigatori della polizia stradale che indagano sulla società di progettazione fondata nel 2000 da Riccardo Bartoloni, già presidente dell'Ordine degli architetti, Alberto Formigli, ex capogruppo del Pd in Palazzo Vecchio, e Alberto Vinattieri, già dipendente part time dell'Ufficio sport del Comune, tutti indagati per corruzione nell'inchiesta coordinata dai pm Leopoldo De Gregorio e Giuseppina Mione.
La tabella si riferisce ai lavori dell'anno 2006 e fra le persone per le quali la Quadra ha eseguito progetti di variante o di sanatoria, aggiornamenti catastali o lavori di ampliamento figurano non solo Giovanni Benedetti, geometra dell'Urbanistica arrestato per corruzione, ma anche Pietro Rubellini, dirigente del servizio attività geologiche e valutazione di impatto ambientale del Comune di Firenze, ora alla guida dell'intera direzione ambiente, Alberto Tirelli, ex assessore alla casa, all'epoca esponente del Pd, oggi del Pdl, Alessandro Dreoni, responsabile della progettazione e costruzione di nuovi impianti sportivi, capo-ufficio di Vinattieri, e Morrocchi (che gli investigatori ritengono di identificare con Michele Morrocchi, esponente del Pd). Per tutti questi casi non è stata trovata traccia di fatture per i lavori eseguiti.
Dagli archivi Quadra escono anche altri due nomi di rilievo: quello di Alberto Brasca, esponente del Pd, già vicesindaco di Firenze, poi difensore civico, e quello di Maurizio Talocchini, ex dirigente dell'edilizia privata, poi dell'urbanistica, ora della cultura. In questi due casi le prestazioni risultano pagate ma - secondo gli investigatori - con consistenti sconti.
Resta da chiarire se i professionisti della Quadra abbiano agito per pura amicizia o in cambio di vantaggi per la loro attività. Se, insomma, anche a Firenze si fosse instaurato un «sistema gelatinoso di interscambio di favori e utilità». Stando ai documenti sequestrati, la prestazione in favore di Pietro Rubellini sarebbe consistita nell'aggiornamento catastale di una abitazione. Il referente risulta Vinattieri, l'impegno sarebbe stato di 19 ore lavorative. Secondo i prezzi di mercato, il compenso si sarebbe dovuto aggirare intorno ai mille euro. Nessuna traccia di fattura, almeno fino al 22 aprile 2008, data di acquisizione dei documenti al fascicolo di indagine. Gli investigatori rilevano che il servizio attività geologiche, di cui Rubellini era dirigente, ha fornito pareri per almeno tre pratiche edilizie che interessavano la Quadra: il progetto di via Ponte di Mezzo 27, a pochi metri da Terzolle, la ristrutturazione del ristorante La Greppia in riva all'Arno (per la quale il parere del servizio guidato da Rubellini sembra ineccepibile) e il progetto del centro di rottamazione del Ferrale.
Per quanto riguarda l'ex dirigente dell'urbanistica Maurizio Talocchini, gli investigatori hanno trovato una fattura di 300 euro più Iva emessa dall'architetto Riccardo Bartoloni il 3 aprile 2002 per il progetto e la direzione dei lavori di manutenzione straordinaria di un appartamento in via Romana. In base alle tariffe dell'Ordine degli architetti, il compenso non appare proporzionato al tipo di intervento eseguito. Lo affermano gli investigatori, rilevando anche la coincidenza temporale fra i lavori svolti da Bartoloni per l'architetto Talocchini e il rilascio della concessione edilizia per il complesso Dalmazia, progettato dallo stesso Bartoloni.
 
 
POSTILLA
 
Occorre aggiungere che il dott. Pietro Rubellini è anche il responsabile dell'Osservatorio Ambientale, la struttura che deve vigilare sui lavori dei tunnel e la stazione TAV a Firenze.
 
 
 

Tangentopoli esiste ancora


Appalti
Tangentopoli esiste ancora
di Giusi Marcante

IL MANIFESTO   -   14 maggio 2010   pag. 2

BOLOGNA - Parla Ivan Cicconi, presidente dell'Istituto per la trasparenza degli appalti pubblici: «La spartizione dei finanziamenti è stata legalizzata. Imprenditori e politici si spartiscono la torta delle commesse di stato. Che ci costano due o tre volte di più del loro prezzo di mercato»
Le inchieste di questi giorni sono un «cascame» della vecchia Tangentopoli, una trasformazione di un animale che tende sempre a risorgere. Ivan Cicconi, direttore dell'Istituto «Itaca» per l'innovazione e trasparenza degli appalti e la compatibilità ambientale, finanziato dalle regioni. Si occupa di tangenti e corruzione nella pubblica amministrazione dai tempi della prima tangentopoli. E' un attento analista delle tematiche legate agli appalti. «Quello che accade oggi è molto peggio del sistema scoperchiato dalle inchieste di mani pulite» ripete più volte, mentre prepara l'intervento che terrà questa mattina a Milano ad un convegno di Libera dedicato, appunto, al rapporto tra Mafia e appalti.
Perché dice che questo momento è peggiore di Tangentopoli?
Tangentopoli era un sistema occulto che aveva delle regole. Si celebrava fuori dal funzionamento economico delle imprese e dell'amministrazione pubblica, era palesemente parallelo. C'era una cupola forte di partiti con tesorieri che avevano il controllo puntuale di tutto quello che avveniva e una cupola altrettanto forte di imprenditori, le maggiori imprese nazionali, che per far funzionare il sistema passavano soldi dalle imprese ai partiti. La situazione è peggiorata perchè il sistema di relazione fra politici, boiardi di stato e imprese ha inquinato il rapporto fra pubblico e privato; è entrato nei meccanismi, nella gestione della spesa pubblica e nella gestione delle stesse imprese attraverso un fenomeno poco indagato e poco analizzato dalla stampa nazionale che è la privatizzazione della spesa pubblica attraverso società di diritto privato controllate da comuni, regione, province e stato.
E' un riferimento a modalità per realizzare le opere come il project financing?
Esatto. Mentre la spesa pubblica durante tangentopoli aveva un carico dal 5 al 10% della tangente occulta ma che doveva essere contabilizzata, oggi il sistema è entrato nei meccanismi strutturali e il totale della spesa pubblica è diventata una sorta di tangente. La spartizione si celebra in maniera quasi palese, alla luce del sole, con opere che non sopportano il peso del 5% in più ma diventano il doppio o il triplo del costo reale che hanno. Un esempio tipico è quello dell'alta velocità: la Corte dei Conti in una relazione del 2008 e la stessa Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici in una relazione del 2009 attesta che i costi sono stati quattro, cinque volte superiori delle infrastrutture fatte con le stesse tecnologie realizzate in Spagna e Francia.
Nelle notizie di questi giorni sulle inchieste grandi appalti c'è un esempio di questa nuova tangentopoli?
Le vicende che emergono sono un fatto residuale, è il cascame di tangentopoli senza più le cupole forti dei partiti e degli imprenditori. Chi celebra queste cerimonie dei favori? Boiardi di stato che hanno pezzi di potere, Balducci piuttosto che Bertolaso, che approfittano della loro situazione di potere per avere favori e il politico di turno. Gli imprenditori gestiscono scatole vuote: Anemone o Tarantini fanno affari gestendo favori. E' il cascame perché Balducci o Bertolaso con la cupola dei partiti e i tesorieri che controllavano i flussi non si sarebbero mai permessi di fare queste operazioni. Il sistema vero della nuova tangentopoli è il keinesismo alla rovescia che si celebra nelle istituzioni e nella spesa pubblica privatizzata. Nelle migliaia di società miste costituite da comuni, provincie e regioni che consentono di spendere denaro pubblico senza nessun controllo e con sistemi di nomina delle società e dei cda gestiti da questo sistema partitocratico senza nessun partito.
Quali sono, se ci sono, sistemi di contrasto a questo nuovo sistema?
Ci sono due strade: adeguarci seriamente alle norme europee sugli appalti pubblici. Sul piano delle procedure in Italia ci sono le stesse procedure che ci sono in Europa. Il problema è la definizione degli istituti contrattuali del rapporto pubblico-privato, degli oggetti che si affidano tramite le procedure: le gare e le opere pubbliche regolate dalle direttive europee. Abbiamo modificato profondamente gli istituti contrattuali definiti dall'Europa e li abbiamo adattati consentendo di fatto il trasferimento di un potere enorme alle imprese. L'altro elemento di contrasto è la trasparenza, ovvero rendere evidente il tutto, con norme che non sono applicate.
Un esempio di una norma non applicata sulla trasparenza?
Le vicende di cronaca degli ultimi giorni riguardano affidamenti secretati. Rendere segreto l'affidamento per il G8 o per la ricostruzione de L'Aquila è semplicemente una follia, una forzatura della normativa. Questi hanno potuto fare quello che hanno fatto anche per questo motivo: erano liberi di fare quello che volevano. Esistono norme sul sistema delle nomine delle società: nella finanziaria 2007 si obbligano i comuni e gli enti loclai a pubblicare sui siti le nomine delle società partecipate, con le rispettive restribuzioni. Viene applicata dal 10% dei soggetti obbligati.


La banca-feudo di Verdini (con postilla)


LA BANCA-FEUDO DI VERDINI
L'uomo di Berlusconi è il presidente dell'istituto fiorentino dal 1990: un piccolo "sportello" al centro di grandi relazioni
di Ferruccio Sansa

IL FATTO QUOTIDIANO   -   14 maggio 2010   pag. 5

È cominciato tutto qui, a Campi Bisenzio. L'inchiesta sul G8 ha radici nelle intercettazioni della Procura di Firenze sul progetto di Castello. A loro volta partite da un fascicolo su operazioni immobiliari, che fece tremare il piccolo comune dell'hinterland fiorentino, dove l'odore dei campi appena tagliati si confonde con quello della città. Non solo: il potere di Denis Verdini ha le basi nel Credito Cooperativo Fiorentino di Campi, di cui il coordinatore Pdl è presidente dal 1990. La banca che Denis in vent'anni ha fatto crescere dieci volte, portandola al centro del potere finanziario – ma anche politico – di Firenze e di mezza Italia. Ancora: a Campi Bisenzio si scorgono le tracce di quel legame tra il Pdl di Verdini e il Pd di cui a Firenze parlano tutti, ma nessuno ha le prove.
Per capire la parabola di Verdini è giusto partire da questo palazzo squadrato che sembra un condominio qualunque, non una banca. Sono le dieci di mattina, ecco i correntisti: gente comune, come Aldo con quelle mani grosse che tradiscono le giornate in cascina. Se entri ti ritrovi in uno stanzone, un po' banca, un po' caffè di paese: da una parte gli sportelli, dall'altra il bar dove i correntisti fanno colazione gratis. "Abbiamo paura per la nostra banchina", la chiamano così i clienti, con affetto. Tutta gente del paese, come la maggior parte degli ottomila correntisti. Già, perché il Credito Cooperativo Fiorentino ha una tradizione: nato un secolo fa per iniziativa del parroco, per dare credito ai contadini cui le grandi banche sbattevano la porta in faccia. Una via di mezzo tra banca e confessionale.
Poi, nel 1990, arrivò il ciclone Verdini. "Da quando è diventato presidente il Credito ha cambiato faccia", raccontano i dirigenti. Basta leggere i dati: prima c'era uno sportello, oggi sette, sparsi per la provincia. I clienti sono passati da mille a più di ottomila. I depositi sono volati a 519 milioni, il capitale sociale supera i 56 milioni. "Merito di Verdini", non ha dubbi Marco Rocchi, vicepresidente della banca e avvocato di Denis. Un boom, ma qualcuno teme che la situazione possa sfuggire di mano. Fa un certo effetto aprire il giornale e trovare la tua banca in prima pagina: all'inizio sono stati i dieci milioni che l'istituto ha erogato alla Holding Brm di Riccardo Fusi (il grande amico di Verdini, accusato con lui di corruzione) e alla Edil-Invest della famiglia Bartolomei, che detenevano il 50 per cento ognuna del gruppo Btp (Baldassini-Tognozzi-Pontello), il colosso toscano del mattone. Era il 14 ottobre 2008, le banche di mezzo mondo tremavano e il piccolo Credito Cooperativo offriva una somma pari a un quinto del suo patrimonio netto: "Un prestito normale, garantito da ipoteca. Il nostro patrimonio è molto maggiore", garantisce Rocchi. Gli ispettori della Banca d'Italia che sono piombati nella sede del Credito Cooperativo si stanno occupando anche di questo. "Una visita prevista da tempo", per Rocchi. Chissà, la domanda echeggia davanti al bancone del bar, vicino ai quadri di campi e vacche che tirano l'aratro. Un mondo che sta scomparendo.
Certo, la banca non punta più solo su coltivatori e artigiani. E i correntisti del paese sfogliano la cronaca con Marcello Dell'Utri avrebbe "consigliato" a Flavio Carboni di dirottare verso il Credito Cooperativo Fiorentino capitali degli imprenditori alla ricerca di "contatti" con i politici. Aldo il contadino e Carboni, difficile immaginare due mondi più distanti. Ma il Credito timonato da Verdini sa avvicinare gli opposti. Basta leggere la composizione del consiglio di amministrazione: accanto a Verdini e a Rocchi ecco il nome di Fabrizio Nucci. Lo stesso Nucci che secondo le visure camerali risulta essere stato socio di Verdini nelle sue società editrici e che è direttore del giornale locale Metropoli (con loro c'era anche Massimo Parisi, braccio destro di Verdini e oggi parlamentare del Pdl). Lo stesso Nucci, confermano i dirigenti locali del Partito Democratico, che faceva parte del direttivo dei Ds locali e poi dell'assemblea Pd. Che ha diretto "Il ponte", la pubblicazione del Pd locale. Niente di illecito, ma la conferma delle capacità di aggregazione di Denis e della sua banca. Bisogna venire a Campi Bisenzio per capire Verdini. Che tanti, anche tra questa gente con il cuore a sinistra, apprezzano. Ma qualcuno, come l'ex segretario dei Verdi Paolo Della Giovampaola (solo un'omonimia con il dirigente del ministero delle Infrastrutture arrestato), storce il naso: "La banca di Verdini ha sempre avuto rapporti stretti con le amministrazioni di centrosinistra. Dal 2000 al 2006 il Comune ha impegnato e in parte dato circa 90.000 euro a Nuova Toscana Editrice spa, di cui Fabrizio Nucci è socio con Verdini". E in paese c'è chi ricorda: "Alle ultime elezioni il candidato del Pd, Adriano Chini, ha preso più voti della sua coalizione, lo hanno votato anche da destra". Le stesse cose che si sentono dire a Firenze dove il sistema Verdini collaudato a Campi è poi sbarcato.
Ma oggi è giorno di consiglio di amministrazione. Denis dimentica gli impegni romani e torna sempre qui. Per la riunione e per ascoltare il paese che gli chiede udienza. Una bella soddisfazione, essere ricevuti dal braccio destro del Cavaliere.



POSTILLA

Poco più di un anno fa, esattamente il 5 maggio 2009, il nostro Comitato inviava alla stampa locale il seguente comunicato.

COMUNICATO STAMPA - Calenzano, 5 maggio 2009.

UN FATTO STORICO PER CALENZANO: IL PRIMO CANDIDATO - IMPUTATO. MA NESSUNO NE PARLA ...

Dunque da ieri abbiamo la lista completa dei candidati alla carica di sindaco di Calenzano. Sono cinque in tutto e tra di essi c'è una novità assoluta per il nostro Comune, un fatto storico: il primo candidato - imputato.
E' infatti accaduto che il Partito Democratico ha deciso di candidare alla carica di sindaco l'attuale assessore all'ambiente, che è sotto processo al Tribunale di Firenze insieme ad altri amministratori locali: il presidente della Regione Toscana, l'assessore all'ambiente della stessa Regione (non l'attuale, ma quello in carica nel 2006), nonché i sindaci e gli assessori all'ambiente di Firenze, Sesto Fiorentino, Scandicci, Signa, Campi Bisenzio (non gli attuali, ma quelli in carica nel 2006) e appunto Calenzano.
L'accusa di cui devono rispondere in sostanza è di non aver fatto tutto ciò che dovevano per contrastare l'inquinamento atmosferico e per tutelare la salute delle persone.
Non si tratta qui di anticipare giudizi di colpevolezza o innocenza, che ovviamente spettano alla Magistratura, ma di sottolineare la gravità dei fatti che sono alla base del processo.
Tanto per dare un'idea, ricordiamo che all'udienza del 24 aprile scorso il consulente tecnico della Procura ha esposto ai Giudici del Tribunale dei dati allarmanti: nell'area fiorentina, solo dal 2003 al 2006, le polveri sottili hanno provocato in media la morte di 25 persone all'anno. Il consulente ha poi stimato che a lungo termine i decessi da inquinamento potrebbero raggiungere le centinaia.
Stiamo quindi parlando di fatti di estrema gravità, che incidono pesantemente sulla salute e sulla vita delle persone e che già da soli dovrebbero indurre a delle riflessioni.
Oltre a questo vogliamo aggiungere un'altra considerazione.
Se un cittadino vuole partecipare ad un qualsiasi concorso pubblico deve dichiarare di non non avere riportato condanne penali e di non avere procedimenti penali in corso. Com'è possibile che chi aspira alla carica di sindaco di un Comune non abbia almeno gli stessi requisiti di chi concorre per un posto di semplice impiegato in quello stesso Comune?
Come dicevamo all'inizio, siamo di fronte ad un fatto storico per la nostra comunità: è la prima volta che si presenta un candidato - imputato. Eppure incredibilmente a Calenzano nessuno ne parla, almeno per ora: né i candidati, né i partiti, né le associazioni e nemmeno i giornali.
Non sarebbe il caso di cominciare a discuterne?

Alcuni giornali pubblicarono parti di questo comunicato. Il settimanale "Metropoli" no. Aspettammo la settimana successiva, e quella dopo, e quella dopo ancora, ma niente: "Metropoli" continuava a tacere. Allora il 12 giugno 2009 scrivemmo al direttore, il signor Fabrizio Nucci di cui parla l'articolo qui sopra, per sapere perché non avessero fatto nemmeno un accenno alla questione del candidato-imputato, nel frattempo diventato sindaco. Risultato: nessuna risposta.