QUEL NASTRO, UN GUAIO PER B
Nell'inchiesta di Milano sul furto informatico si sta aggravando la posizione del premier per gli audio di D'Alema, Fassino e Consorte
di Eleonora Lavaggi
IL FATTO QUOTIDIANO - 11 maggio 2010 pag. 3
Questa volta Silvio Berlusconi rischia grosso. Sta prendendo una brutta piega l'indagine della procura di Milano sul furto informatico del file-audio contenente l'ormai celebre intercettazione in cui l'ex segretario dei Ds, Piero Fassino, nell'estate del 2005 diceva all'ex numero uno di Unipol, Giovanni Consorte, "allora siamo padroni di una banca...".
Gli elementi in base ai quali gli investigatori pensano che davvero quel nastro (ma non solo quello) sia transitato per Arcore prima di venir consegnato a Paolo Berlusconi e pubblicato da Il Giornale il 31 dicembre del 2005, aumentano. E tra di essi vi sono pure una serie di dichiarazioni pubbliche del presidente del Consiglio che, come vedremo, nel gennaio del 2006 si dimostrava a conoscenza di molti particolari sul ruolo dei vertici dei Ds nella scalata Bnl, in quel momento segreti per tutti i comuni mortali. Ma andiamo con ordine.
La scorsa settimana Fabrizio Favata, un ex socio (occulto) di Berlusconi junior nell'azienda di software Ip time, si è presentato al pm Massimo Meroni per confessare di essere davvero stato lui a far ascoltare al premier e a suo fratello non solo la voce di Fassino, ma anche quella di una lunga serie di politici intercettati durante l'inchiesta sulle scalate bancarie (i furbetti del quartierino) di 5 anni fa. Favata ha aggiunto che con lui, in quella strana visita ai Berlusconi avvenuta nel tardo pomeriggio del 24 dicembre 2005, c'era pure Roberto Raffaelli, l'ex patron di Rcs, l'azienda di intercettazioni telefoniche utilizzata dai magistrati nell'inchiesta sui furbetti. E per corroborare la sua tesi ha consegnato un registratore in cui è presente anche il file di un colloquio (della primavera 2009) in cui lui e Raffaeli riepilogano l'intera storia.
Adesso il pallino è in mano a Raffaelli che, già ascoltato mesi fa, si era fin qui limitato ad ammettere la singolare visita natalizia, ma aveva negato il resto. Di fronte alle prove prodotte da Favata cambierà versione? La risposta è importante, ma a questo punto forse non fondamentale. La partita che si sta giocando a Milano è infatti più che altro politica. I pm hanno iscritto sul registro degli indagati i protagonisti della vicenda per una lunga sfilza di reati che vanno, a seconda delle posizioni, dalla corruzione, al millantato credito, dalla tentata estorsione (ai danni del premier) fino al furto informatico e alle fatture false. Ma la questione, come ha ricordato l'ex leader del Pd, Walter Veltroni è in fondo un'altra: davvero Berlusconi, il politico che vuole mettere il bavaglio alla stampa e rendere quasi impossibili gli ascolti telefonici, ha utilizzato un'intercettazione segreta e non ancora trascritta per danneggiare mediaticamente gli avversari?
Per capirlo conviene partire da due fatti. Incontestabili. Il primo è un particolare tecnico: nell'autunno del 2005, quando imperversavano le polemiche sul ruolo della politica nelle scalate bancarie, ma ancora i giornali non conoscevano i contenuti dei colloqui tra Consorte e i vertici dei Ds, di tutti quei file audio vennero fatte più copie. Ai magistrati furono forniti dei computer contenenti le intercettazioni in modo le potessero ascoltare per poi decidere quali fossero realmente rilevanti (e quindi da trascrivere) e quali no. Insomma da quel momento in poi, per i tecnici fare una copia dei file, sarebbe stato facilissimo.
Il secondo fatto è invece l'atteggiamento pubblico di Berlusconi nel gennaio del 2006. Quando Il Giornale (facendo il suo dovere) pubblica la trascrizione della telefonata Fassino-Consorte, i Ds in imbarazzo si difendono sostenendo che il loro segretario non ha commesso alcun illecito, ma si è limitato a fare il tifo per Unipol. Berlusconi però attacca a tutto campo. E comincia la rimonta che in primavera lo porterà a perdere per 24mila voti le politiche contro Prodi (allora i sondaggi lo davano indietro di 10 punti). Mentre i suoi collaboratori spiegano ai giornali (Corriere 10 gennaio '06) che su il dossier su Unipol e la Quercia "è cresciuto durante le vacanze", l'11 gennaio il premier va il premier da Bruno Vespa, e dice: "I Ds mentono. Non si sono limitati a fare il tifo, ma hanno avuto incontri affinché alcuni detentori di azioni Bnl le vendessero a Unipol". Vespa gli chiede se per caso sia a conoscenza di informazioni non di pubblico dominio. Lui risponde: "Ne ho ulteriore conoscenza". Il caso monta. Il centrodestra dice che con le scalate "è finito il mito della diversità morale della sinistra". I sondaggi invertono la tendenza. Due giorni dopo, visto che è stato sfidato a riferire quel che sa ai pm, Berlusconi si presenta alla procura di Roma (che si occupa di Bnl), per una deposizione di mezzora. Il risultato è però deludente. Il Cavaliere cita come testimone il suo vecchio amico Tarak Ben Ammar (che già nel '96 lo aveva difeso sui finanziamenti a Craxi) e sostiene di aver saputo da lui di un incontro tra Massimo D'Alema e i vertici delle Assicurazioni Generali, azioniste di Bnl. La smentita delle Generali è immediata. La domanda diventa allora: perché Berlusconi si è esposto in quel modo? Un risposta c'è, se si crede a Favata. L'ex socio di Paolo Berlusconi sostiene di aver fatto ascoltare al premier ve pure un'intercettazione di D'Alema, che pare fare il paio con le denuncie pubbliche del premier da Vespa. Un colloquio con Consorte del 14 luglio 2005 da cui emerge come davvero il leader Maximo non si limitò, come Fassino, a fare il tifo per Unipol, ma che invece incontrò l'eurodeputato Udc, Vito Bonsignore, azionista Bnl, per discutere con lui "cosa doveva fare" (vendere o meno a Unipol) in cambio di una contropartita politica. Il dubbio che prende sempre più corpo a Milano è insomma uno solo: Berlusconi a dicembre sapeva tutto, in tv ha detto troppo, e quando si è trovato di fronte ai magistrati è stato costretto a volare basso parlando solo delle Generali e di Tarak. Se avesse detto tutto, già allora, le imbarazzanti intercettazioni delle scalate si sarebbero infatti rivoltate contro di lui.