Watergate all'italiana / 2

 
IO INTERCETTO, VOI NO
di Marco Travaglio

IL FATTO QUOTIDIANO   -   12 maggio 2010   pag. 1

Le ultime rivelazioni sulle intercettazioni di D'Alema e Fassino illegalmente e gentilmente offerte a Berlusconi, riportano alla mente un altro episodio della sua luminosa carriera, ovviamente dimenticato: quando era lo stesso Cavaliere a intercettare di nascosto i suoi ospiti per carpire loro false accuse contro Di Pietro. È l'autunno '95 e Di Pietro, uscito da un anno dalla magistratura, è nel mirino della Procura di Brescia. Ma le inchieste languono e rischiano di finire archiviate. Si avvicina l'entrata in politica del pm più popolare d'Italia e Berlusconi ne è terrorizzato. Così invita ad Arcore un suo vecchio dipendente e amico, il costruttore Antonio D'Adamo, che era amico pure di Di Pietro e nuota in pessime acque, con 40 miliardi di debiti con le banche. Berlusconi s'impegna ad aiutarlo finanziariamente, ma in cambio vuole una sola cosa: la testa di Tonino. Quando, alle 12:55 del 7 settembre, D'Adamo esce dalla villa di Arcore, chiama la figlia che gli domanda: "Papà, ma tu sei riuscito a fare qualcosa per lui?". E D'Adamo: "Certo, Patrizia, c'è tutta una contropartita…". L'amico Silvio gli ha appena promesso un po' di respiro dalle banche creditrici e un intervento per sbloccare certi affari edilizi in Libia. Passano due anni e il 13 maggio 1997 Cesare Previti produce a Brescia un memoriale scritto da D'Adamo che rievoca creativamente il famoso prestito di 100 milioni fatto dal costruttore all'ex pm e poi restituito, e altri particolari opportunamente ritoccati per accreditare l'ipotesi accusatoria dei pm bresciani: che Di Pietro abbia concusso il banchiere Pacini Battaglia per salvarlo da   Mani Pulite in cambio di una tangente parcheggiata sui conti di D'Adamo. Berlusconi va a testimoniare: "D'Adamo mi ha riferito di aver ricevuto da Pacini un finanziamento di 9 miliardi. A fronte di tale finanziamento D'Adamo avrebbe dovuto restituire a Pacini 4 miliardi e mezzo, mentre la restante somma avrebbe dovuto essere destinata al dottor Di Pietro, pienamente consapevole e consenziente". Dice che, per puro caso, è stata registrata dal suo collaboratore Roberto Gasparotti la conversazione in cui D'Adamo gli confida il peccato mortale di Tonino. Gasparotti presenta ai pm un "taglia e cuci" delle confidenze di D'Adamo. Ma il contenuto non è cosí chiaro come garantisce il Cavaliere. È quest'ultimo che tenta di far dire a D'Adamo che Di Pietro è un corrotto. Ma D'Adamo, finito in un gioco più grande di lui che potrebbe condurre entrambi a una condanna per calunnia, si schermisce: "Dottore, lei sa quanto le voglio bene e quindi non ho paura di questa cosa qui, ma se dice una cosa di questo tipo si incasina… lei queste cose le lasci dire a me… lei deve stare fuori…".   Nel nastro "taglia e cuci" D'Adamo spiega, mentendo, di avere ancora un credito di "100 milioni, 150, 130, non so" con l'ex pm (che invece ha estinto il debito già nel 1994). Ma quando finalmente va a deporre a Brescia, balbetta, si contraddice e non conferma ciò che non può confermare: e cioè che Di Pietro fosse un corrotto. Alla fine l'ex pm verrà prosciolto dal gup Anna Di Martino, che scriverà: "La genesi delle accuse di D'Adamo rinviene dai sedimentati risentimenti nutriti da Silvio Berlusconi nei confronti dell'ex magistrato, risultando poi per tabulas che proprio Berlusconi (e Previti) sospinse D'Adamo alla Procura di Brescia, utilizzando ogni mezzo e facendo leva sull'antico rapporto di lavoro subordinato e sullo stato di dipendenza finanziaria e psicologica di D'Adamo". I nastri evidenziano un'"inquietante soggettiva interpretazione dei fatti da parte del Berlusconi, ma anche un abbandono strumentale del D'Adamo a rivelazioni forzatamente alterate dei suoi rapporti con Di Pietro, nella prospettiva di soddisfare l'ansia accusatoria del suo interlocutore (Berlusconi) nei confronti dell'ex pm e ottenere urgenti soccorsi". Ecco, signore e signori: questo è l'uomo che oggi sventola il vessillo della privacy e vuole abrogare le intercettazioni. Quelle legali. Quindi, non le sue.



EX CARCERATI, MAFIOSI, TRUFFATORI: CHI GIRA INTORNO AL "REGALO" A B.?
Una "corte dei miracoli" per i nastri Fassino-Consorte
di Eleonora Lavaggi

IL FATTO QUOTIDIANO   -   12 maggio 2010   pag. 6

Se non è un Arcorgate, poco ci manca. Settimana dopo settimana prende sempre più corpo l'ipotesi che davvero il presidente del Consiglio abbia utilizzato intercettazioni telefoniche, trafugate illegalmente dai server della Procura di Milano per mettere nell'angolo gli avversari politici. In questa replica all'italiana dello scandalo che costrinse nel 1974 il presidente Usa Richard Nixon alle dimissioni, finora dal Pdl piovono solo smentite. L'onorevole avvocato Niccolò Ghedini e il sottosegretario Paolo Bonaiuti sostengono che Silvio Berlusconi è assolutamente estraneo alla pubblicazione, da parte de Il Giornale, dell'ormai celebre colloquio telefonico tra l'ex segretario dei Ds, Piero Fassino, e l'ex numero uno di Unipol, Giovanni Consorte, intorno al quale ruotò buona parte della campagna elettorale per le Politiche 2006. Dal 15 dicembre scorso però giace senza risposta un'interrogazione parlamentare presentata dal responsabile Giustizia del Pd, Andrea Orlando. Il governo, insomma, ufficialmente non vuole dire niente. E se si va a guardare quel poco che trapela a Milano dalle maglie di un segreto istruttorio mai così ferreo è facile intuire il perché.
Comunque la si prenda la situazione è più che imbarazzante per Berlusconi, il suo partito e i suoi familiari. La storia che è stata fin qui messa a fuoco dagli investigatori è complessa e ha origini lontane. Comincia quando Fabrizio Favata, un imprenditore milanese che nei primi anni '90 è stato più volte in carcere, conosce Alessia Berlusconi, figlia di Paolo e della ex moglie Mariella Bocciardo, attuale deputato del Pdl. L'incontro avviene ai margini delle riunioni per le polizze assicurative della Bayerische di cui Alessia si occupa. In breve tempo Favata diventa un amico di famiglia. Lega con Paolo col quale esce spesso la sera. Poi passa agli affari. Berlusconi Junior tramite la Solari (quella dei decoder tv) commercializza prodotti di elettronica al consumo importati, ma si vuole espandere all'informatica. Nasce per questo l'Ip time, una società specializzata in telefonate attraverso il Web, in cui Favata entra con una piccola quota detenuta, dice lui, da un'amica. Visti i suoi precedenti penali, non è il caso che compaia direttamente in un'azienda del fratello del premier.
Favata è pure amico di Roberto Raffaelli, uno dei proprietari di Rcs, una delle più grandi società che lavorano con le procure nel campo delle intercettazioni. Ascoltare le telefonate altrui è un affare da molte decine di milioni di euro. Ma Rcs vuole crescere ancora. Punta ai mercati esteri (la Romania) e così Favata pensa di chiedere una mano al fratello del presidente del Consiglio. Paolo si mette a disposizione. A Roma fa fare agli uomini della Rcs degli incontri importanti. Poi, secondo Favata, spiega che è necessario ungere qualche ruota. Per questo nel 2005 si fa portare ogni mese nei suoi uffici milanesi di via Negri al Giornale delle buste contenenti anche 50 mila euro per volta. Per la Procura di Milano, se la storia è vera (c'è un altro testimone che la conferma) non si tratta però di corruzione. Il più giovane dei fratelli Berlusconi è infatti accusato di millantato credito: in sostanza potrebbe aver intascato i soldi facendo intendere (falsamente) che erano destinati al segretario particolare del premier, Valentino Valentini, oggi deputato. Del resto Paolo, al di là delle apparenze, navigava in cattive acque. Nonostante il fatturato record di quegli anni (più di 150 milioni di euro) nella Solari aveva problemi con il suo socio al 49 per cento, Giovanni Cottone, un palermitano nipote di un boss di Cosa Nostra (Antonio), e in affari con altri uomini d'onore. Un legame pericoloso la cui portata emergerà nel 2007, quando il Gico della Guardia di Finanza, sventa all'ultimo momento il sequestro di Cottone da parte dell'ex moglie. La donna, convinta che il marito abbia truffato Paolo Berlusconi nascondendo all'estero circa 40 milioni di euro, ha infatti pianificato il suo rapimento (con successivo omicidio).
In questo scenario non proprio da educande Favata sembra trovarsi a suo agio. Quando nell'estate del 2005 la procura inizia l'inchiesta sulle scalate bancarie da parte di Stefano Ricucci e Gianpiero Fiorani, viene dopo poco avvertito dell'esistenza di intercettazioni rilevanti dal punto di vista politico. Stando ai suoi racconti a dirgli come stanno le cose sarebbe stato Raffaelli (che però nega). A quel punto nasce l'idea di fare una sorta di regalo ai Berlusconi (i nastri riguardanti la sinistra) in modo da avere un aiuto maggiore nel tentativo di espansione di Rcs in Romania. Il via libera alla consegna del dono arriva però solo quando si è certi che dei file audio (non ancora trascritti e depositati) ne sono state fatte più copie. Intorno a Natale, dopo una visita ad Arcore, una chiavetta usb con gli audio arriva così nelle mani di Paolo e poi il 31 dicembre ll Giornale pubblica la trascrizione (diversa da quella ufficiale) del colloquio Fassino-Consorte. Favata sostiene che per tutto questo gli fu promessa "eterna gratitudine". Ma aggiunge che una volta saltata per aria la Solari e le società ad essa collegate, Paolo si è tirato indietro. Tanto da dire no a una richiesta di un milione di euro in prestito. Dal quel giorno per Favata trovare il modo di farsi ripagare il favore diventa una sorta di ossessione. L'uomo prima minaccia di rivelare come il gruppo Solari accumulava presunti fondi neri, poi utilizza la vicenda del nastro di Fassino come un'arma di ricatto. Ma questa è un'altra storia. Ancora più oscura e complicata della prima. La leggeremo domani.