Le stragi del 1992-1993: quello che sappiamo e quello che dobbiamo ancora sapere

 
Il colloquio
Ciampi: la notte del '92 con la paura del golpe
di Massimo Giannini
 
LA REPUBBLICA   -   29 maggio 2010   pag. 1 e 13
 
«NON c'è democrazia senza verità. Questo è il tempo della verità. Chi c'è dietro le stragi del '92 e '93? Chi c'è dietro le bombe contro il mio governo di allora? Il Paese ha il diritto di saperlo, per evitare che quella stagione si ripeta...». Dopo la denuncia di Piero Grasso, dopo l'appello di Walter Veltroni, ora anche Carlo Azeglio Ciampi chiede al governo e al presidente del Consiglio di rompere il muro del silenzio, di chiarire in Parlamento cosa accadde tra lo Stato e la mafia in uno dei passaggi più oscuri della nostra Repubblica.
L'ex presidente, a Santa Severa per un weekend di riposo, è rimasto molto colpito dalle parole del procuratore nazionale antimafia, amplificate dall'ex leader del Pd. E non si sottrae a una riflessione e, prima ancora, a un ricordo di quei terribili giorni di quasi vent'anni fa. «Proprio la scorsa settimana ho parlato a lungo con Veltroni, che è venuto a trovarmi, di quelle angosciose vicende. E ora mi ritrovo al 100 per cento nei contenuti dell'intervista che ha rilasciato a "Repubblica". Quelle domande inevase, quel bisogno di sapere e di capire, riflettono pienamente i miei pensieri. Tuttora noi non sappiamo nulla di quei tragici attentati. Chi armò la mano degli attentatori? Fu solo la mafia, o dietro Cosa Nostra si mossero anche pezzi deviati dell'apparato statale, anzi dell'anti-Stato annidato dentro e contro lo Stato, come dice Veltroni? E perché, soprattutto, partì questo attacco allo Stato? Tuttora io stesso non so capire ...».
Il ricordo di Ciampi è vivissimo. E il presidente emerito, all'epoca dei fatti presidente del Consiglio di un esecutivo di emergenza, che prese in mano un Paese sull'orlo del collasso politico (dopo Tangentopoli) e finanziario (dopo la maxi-svalutazione della lira) non esita ad azzardare l'ipotesi più inquietante: l'Italia, in quel frangente, rischiò il colpo di Stato, anche se è ignoto il profilo di chi ordì quella trama. «Il mio governo fu contrassegnato dalle bombe. Ricordo come fosse adesso quel 27 luglio, avevo appena terminato una giornata durissima che si era conclusa positivamente con lo sblocco della vertenza degli autotrasportatori. Ero tutto contento, e me ne andavo a Santa Severa per qualche ora di riposo. Arrivai a tarda sera, e a mezzanotte mi informarono della bomba a Milano. Chiamai subito Palazzo Chigi, per parlare con Andrea Manzella che era il mio segretario generale. Mentre parlavamo al telefono, udimmo un boato fortissimo, in diretta: era l´esplosione della bomba di San Giorgio al Velabro. Andrea mi disse "Carlo, non capisco cosa sta succedendo...", ma non fece in tempo a finire, perché cadde la linea. Io richiamai subito, ma non ci fu verso: le comunicazioni erano misteriosamente interrotte. Non esito a dirlo, oggi: ebbi paura che fossimo a un passo da un colpo di Stato. Lo pensai allora, e mi creda, lo penso ancora oggi... ».
Resta da capire per mano di chi. Su questo Ciampi allarga le braccia. «Non so dare risposte. So che allora corsi come un pazzo in macchina, e mi precipitai a Roma. Arrivai a Palazzo Chigi all'una e un quarto di notte, convocai un Consiglio supremo di difesa alle 3, perché ero convinto che lo Stato dovesse dare subito una risposta forte, immediata, visibile. Alle 4 parlai con Scalfaro al Quirinale, e gli dissi "presidente, dobbiamo reagire". Alle 8 del mattino riunii il Consiglio dei ministri, e subito dopo partii per Milano. Il golpe non ci fu, grazie a dio. Ma certo, su quella notte, sui giorni che la precedettero e la seguirono, resta un velo di mistero che è giunto il momento di squarciare, una volta per tutte». La certezza che esponeva ieri Veltroni è la stessa che ripete Ciampi: non furono solo stragi di mafia, ed anzi, sulla base delle inchieste si dovrebbe smettere di definirle così. Furono stragi di un «anti-Stato», ancora tutto da scoprire. E come Veltroni anche Ciampi aggiunge un dubbio: perché a un certo punto, poco dopo la nascita del suo governo, le stragi cominciano? E perché, a un certo punto, dopo gli eccidi di Falcone e Borsellino, le stragi finiscono? Perché la mafia comincia a mettere le bombe? Perché la mafia smette di mettere le bombe?
È lo scenario ipotizzato dal procuratore Grasso: gli attentati servirono forse a preparare il terreno alla nascita di una nuova «entità politica», che doveva irrompere sulla scena tra le macerie di Mani Pulite. Un «aggregato imprenditoriale e politico» che doveva conservare la situazione esistente. Quell'entità, quell'aggregato, secondo questo scenario, potrebbe essere Forza Italia. Nel momento in cui quel partito si prepara a nascere, e siamo al '94, Cosa Nostra interrompe la strategia stragista. È uno scenario credibile? Ciampi non si avventura in supposizioni: «Non sta a me parlare di tutto questo. Parlano gli avvenimenti di quel periodo. Parlano i fatti di allora, che sono quelli richiamati da Grasso. Il procuratore antimafia dice la verità, e io condivido pienamente le sue parole».
Per questo, in nome di quella verità troppo a lungo negata, l'ex capo dello Stato oggi rilancia l'appello: è sacrosanto che chi sa parli. Ed è sacrosanto, come chiede Veltroni, che «Berlusconi e il governo non tacciano», perché la lotta alla mafia non è questione di parte, «ma è il tema bipartisan per eccellenza». Si apra dunque una sessione parlamentare, dedicata a far luce su quegli avvenimenti. Perché il clima che si respira oggi, a tratti, sembra pericolosamente rievocare quello del '92-´93. Ciampi stesso ne parlerà, in un libro autobiografico scritto insieme ad Arrigo Levi, che uscirà per «il Mulino» tra pochi giorni. «Lì è tutto scritto, ciò che accadde e ciò che penso. Così come lo riportai, ora per ora, sulle mie agende dell'epoca ...». Deve restare memoria, di tutto questo. Ma insieme alla memoria deve venir fuori anche la verità. «Perché senza verità - conclude lex presidente della Repubblica - non c´è democrazia».
m.giannini@repubblica.it
 

 
Scusate il ritardo
di Marco Travaglio
 
IL FATTO QUOTIDIANO   -   29 maggio 2010   pag. 1
 
Con la dovuta calma, una decina d'anni di ritardo non di più, il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso e l'on. Walter Veltroni, membro dell'Antimafia, scoprono che le stragi del 1992-'93 furono "subappaltate a Cosa Nostra" per spianare la strada a "una nuova forza politica" (Grasso), a una "entità esterna" (Uòlter): una roba talmente misteriosa che l'ha intuita persino Cicchitto. E tutti a meravigliarsi, a scandalizzarsi, ad accapigliarsi sulla sconvolgente novità.
Chi scrive lo disse in tv a "Satyricon" nel 2001 e lo scrisse con Elio Veltri ne "L'odore dei soldi", mentre decine di altri libri, in Italia e all'estero, giungevano alle stesse conclusioni. Per avermi consentito di dirlo, da 9 anni Daniele Luttazzi non può più lavorare in tv, né sotto la destra né sotto la sinistra. Intanto Grasso, da procuratore di Palermo, assieme al Csm estrometteva dal pool antimafia tutti i pm che indagavano su quella pista. E Veltroni, segretario Pd nel 2007-2009, elogiava Berlusconi "interlocutore indispensabile sulle riforme", rivendicava il dovere di "non attaccarlo più" e poneva fine all'"éra dell'antiberlusconismo" (peraltro mai iniziata).
Si dirà: oggi ci sono novità, parlano Ciancimino jr e Spatuzza. Nulla, però, al confronto delle sentenze che da anni immortalano i moventi delle stragi e della nascita di Forza Italia. Nel 1998, archiviando B. e Dell'Utri indagati a Firenze per concorso nelle stragi del 1993, il gip Soresina scrive che i due hanno "intrattenuto rapporti non meramente episodici con i soggetti criminali cui è riferibile il programma stragista"; esiste "un'obiettiva convergenza degli interessi politici di Cosa Nostra rispetto ad alcune qualificate linee programmatiche della nuova formazione (Forza Italia, ndr): 41 bis, legislazione sui collaboratori di giustizia, recupero del garantismo processuale asseritamente trascurato dalla legislazione dei primi anni '90". Al punto che "l'ipotesi iniziale (il coinvolgimento di B. e Dell'Utri nelle stragi, ndr) ha mantenuto e semmai incrementato la sua plausibilità". Nel 2001 la Corte d'Assise d'appello di Caltanissetta condanna 37 boss per la strage di Capaci e, nel capitolo "I contatti tra Riina e gli on. Dell'Utri e Berlusconi", scrive che nel 1992 "il progetto politico di Cosa Nostra mirava a realizzare nuovi equilibri e nuove alleanze con nuovi referenti della politica e dell'economia". Cioè a "indurre alla trattativa lo Stato ovvero a consentire un ricambio politico che, attraverso nuovi rapporti, assicurasse come nel passato le complicità di cui Cosa Nostra aveva beneficiato". Nel 2004 il Tribunale di Palermo condanna Marcello Dell'Utri a 9 anni per concorso esterno in mafia e scrive che nel '93 Provenzano "ottenne garanzie" che l'indussero a "votare e far votare per Forza Italia", con cui aveva "agganci" pure il boss stragista Bagarella. Garanzie fornite da Dell'Utri, che ha avuto "per un trentennio contatti diretti e personali" con Cosa Nostra svolgendo una "attività di costante mediazione tra il sodalizio criminoso più pericoloso e sanguinario del mondo e gli ambienti imprenditoriali e finanziari milanesi, in particolare la Fininvest", nonché una "funzione di 'garanzia' nei confronti di Berlusconi". Nei "momenti di crisi tra Cosa Nostra e la Fininvest", Dell'Utri media "ottenendo favori" dalla mafia e "promettendo appoggio politico e giudiziario".
Rapporti che "sopravvivono alle stragi del 1992-93, quando i tradizionali referenti, non più affidabili, venivano raggiunti dalla 'vendetta' di Cosa Nostra". Forza Italia nasce nel '93 da un'idea di Dell'Utri, il quale "non ha potuto negare" che ancora nel novembre '93 incontrava Mangano a Milano, come risulta dalle sue agende, mentre era "in corso l'organizzazione del partito Forza Italia e Cosa Nostra preparava il cambio di rotta verso la nascente forza politica". Infatti Dell'Utri prometteva "alla mafia precisi vantaggi politici e la mafia si era vieppiù orientata a votare Forza Italia".
Ora lo scoprono pure Grasso e Uòlter. Non è mai troppo tardi. Ma che riflessi, ragazzi.