No al bavaglio


Lasciatelo lavorare
di Marco Travaglio

IL FATTO QUOTIDIANO   -   23 maggio 2010   pag. 1

La legge-bavaglio deve passare al più presto, e nella sua versione peggiore. Prima passa, prima verrà cancellata dalla Corte costituzionale o dalla Corte di giustizia europea o da un referendum abrogativo che rischia seriamente di raggiungere il quorum. Ogni tentativo di emendarla per "migliorarla" è destinato a peggiorare le cose. Ed è davvero mortificante vedere giornalisti e presunti oppositori mendicare uno sconto di pena o di multa dai delinquenti che ci sgovernano per rendere un po' meno inaccettabile la porcheria. Le porcherie sono inaccettabili e basta. Ma che cosa siamo diventati? Un branco di accattoni che pietisce un pò di pietà da un regime putinian-criminale, quasi che la libertà di stampa si misurasse a centimetri come la verginità delle demi-vièrges? È soprattutto una questione di principio, oltreché di orgoglio e di dignità professionale: il governo e il Parlamento non possono vietare ai giornalisti di fare il proprio mestiere di informare i cittadini con notizie pubbliche e vere, punto. I politici non si devono permettere di decidere al posto nostro cosa si pubblica e cosa no, stop. Se lo fanno, verranno respinti dalla Costituzione e dalla Convenzione europea sui diritti dell'uomo, che tutelano come sacra e inviolabile la libertà di espressione e il diritto dei cittadini a essere informati. Se il capo dello Stato, impegnato nella solita felpata pantomima degli "alti moniti" e della "moral suasion" per rendere meno porca la porcata, la firmerà, sarà un'altra volta complice di chi l'ha ideata ed esporrà l'istituzione Presidenza della Repubblica a una figuraccia, l'ennesima, non solo dinanzi alla Consulta, ma dinanzi al mondo intero. Perché questa legge vergogna, più delle altre cento e passa approvate in questi 15 anni di democrazia privatizzata, sta facendo il giro del mondo, visto che non ha eguali nel pianeta. Ha già suscitato le reazioni indignate dell'Amministrazione americana, degli organismi internazionali da Reporters Sans Frontières a Freedom House. Ha persino costretto il Pd ad annunciare l'ostruzionismo, pratica abbandonata nel lontano 2003 con la Cirami, a parlare di "regime" (meglio tardi che mai) e a evocare la Spagna franchista (naturalmente il programma elettorale del Pd del 2008 prevedeva lo stesso bavaglio alla stampa della legge Al Fano, infatti nell'aprile 2007 destra e sinistra avevano votato unanimi la legge Mastella che, quanto a bavaglio, era pure peggio della Al Fano). Ha aperto nuove crepe nel Pdl fra berlusconiani e finiani. Sta suscitando la rabbia dei cittadini, di sinistra e anche di una parte della destra, quella che si era bevuta la frottola della sicurezza e ora capisce di chi era quella sicurezza: di Berlusconi e della sua banda. Ha fatto riscoprire un minimo di orgoglio professionale alla scalcinata categoria dei giornalisti, almeno di quelli veri (persino Feltri e Sallusti sono anti-bavaglio; Belpietro, Polito El Drito e Filippo Mèches invece sono pro, infatti fanno un altro mestiere, molto antico fra l'altro). Ha destato dal letargo Anm, Csm e persino il procuratore antimafia, l'equilibrista Grasso. Ha addirittura stanato gli editori più paraculi del mondo e financo il Corriere, che una volta tanto ha affidato i commenti non ai soliti pompieri incompetenti, ma a gente che ci capisce come Ferrarella, Sarzanini e Grevi. Appena gli atti d'indagine saranno merce proibita, susciteranno un interesse spasmodico nell'opinione pubblica, tanto più se i magistrati convocheranno una conferenza stampa al giorno per spiegare alla gente di non poter più scoprire l'autore di questo o quel crimine a causa della nuova legge. A noi giornalisti non mancheranno i canali per la disobbedienza civile: se la gente sarà davvero interessata a informarsi, riempirà le piazze e i teatri dove, consapevoli di violare una legge criminale e criminogena, useremo la tradizione orale per raccontare ciò che non potremo più fare sui giornali, salvo condannarli al fallimento. Per una volta che Berlusconi lavora per noi e si scava la fossa, lasciamolo lavorare.



LEZIONI AMERICANE
Il sottosegretario al Dipartimento di Giustizia Usa difende le intercettazioni. Goffa replica di Alfano: non cambierà nulla
di Giampiero Gramaglia

IL FATTO QUOTIDIANO   -   22 maggio 2010   pag. 2

"Non vorremmo mai che accadesse qualcosa che impedisse ai magistrati italiani di continuare a fare l'ottimo lavoro finora svolto: le intercettazioni sono uno strumento essenziale per le indagini", specie nella lotta alla mafia. Forse, Lenny A. Brauer, sottosegretario alla Giustizia dell'Amministrazione Obama, con delega alla Criminalità organizzata internazionale, non si rende neppure conto d'intervenire a gamba tesa, con queste dichiarazioni, nelle polemiche italiane e ormai internazionali sulla 'legge bavaglio'. E, infatti, Brauer, in Italia per colloqui sulla lotta al crimine, insiste: "La legislazione italiana finora è stata molto efficace".
Il sottosegretario Usa sottolinea "l'eccellente cooperazione" tra autorità e inquirenti dei due Paesi nella lotta al crimine: "L'Italia ha fatto grandi progressi nel condurre le indagini e nel perseguire i gruppi mafiosi operanti entro i suoi confini", anche se, insieme, "possiamo e dobbiamo fare di più". Brauer non solleva il problema della libertà di stampa. E, quando s'accorge di essersi spinto lontano, precisa: "Non spetta a me entrare nel merito di decisioni che riguardano l'Italia. E non conosco i provvedimenti in discussione". Una parziale marcia indietro che dà lo spunto al ministro Alfano per una goffa replica: "Non è stata prevista alcuna restrizione per i reati di mafia e terrorismo. L'esponente Usa non ha inteso in alcun modo entrare in valutazioni di merito sulla legislazione italiana in materia di intercettazioni". Ma polemiche e critiche su questo aspetto del provvedimento sulle intercettazioni hanno ormai una dimensione mondiale. La stampa se ne occupa con toni duri. In Francia, Nouvel Obs scrive che "media e magistrati italiani sono contrari alle limitazioni sulle intercettazioni"; in Spagna, El Paìs e Abc fanno muro contro il disegno di legge; in Gran Bretagna, il Financial Times dà rilievo alla sfida di Sky Italia, la tv italiana dell'editore australiano Rupert Murdoch, contro "la legge Berlusconi". Il passo di Sky presso la Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha sede a Strasburgo, deve ancora concretizzarsi: ci vorrà tempo perché esso possa essere avviato, bisognerà prima attendere l'esaurimento delle possibilità di ricorso nazionali. Da Bruxelles, la Commissione europea ricorda che non ha l'abitudine di commentare "disegni di legge in corso di elaborazione" e dice che "non farà un'eccezione in questo caso". Il portavoce Olivier Bailly afferma: "Non abbiamo ricevuto nessuna protesta e non facciamo nessun commento". Del resto, sulle violazioni dei diritti dell'uomo, la competenza è della Corte di Strasburgo e non degli organi dell'Ue.
A rispondere alle sollecitazioni dei giornalisti è la Freedom House, l'associazione no profit Usa che ogni anno pubblica una classifica mondiale della libertà di stampa: nell'ultima, l'Italia figura al 72esimo posto, in barba alle dichiarazioni di Mr B. che qui da noi c'è troppa libertà di stampa. Una posizione destinata a peggiorare, se la 'norma bavaglio' dovesse passare. Karin Karkekar, di Freedom House, dà un'intervista alla Bloomberg: il disegno di legge italiano "penalizza la stampa ed è contrario agli standard internazionali, perché "potrebbe punire i giornalisti per avere riportato un'informazione pubblicamente disponibile o notizie che sono di pubblico interesse". Per la Karlekar, "le misure con sanzioni così dure per i giornalisti sono fuori linea con le norme predominanti, che tendono a depenalizzare le pratiche illegali della stampa". Le dichiarazioni di Brauer rischiano di tradursi in uno screzio tra Italia e Stati Uniti, anche perché il ministro degli Esteri, Franco Frattini, si schiera, invece, in prima linea nella difesa del disegno 'anti-intercettazioni': "Tanti italiani – afferma – hanno sofferto la barbarie di vedere notizie private apparire sulla prima pagina dei giornali senza nessun filtro, una barbarie che deve finire". Dopo di che, Frattini (esattamente come Alfano) tira fuori una frase che dovrebbe rassicurare gli Stati Uniti: "Tutto quello che servirà per combattere le mafie, intercettazioni incluse, non sarà né toccato né ridotto". La questione non è emersa, ieri, nell'incontro che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha avuto al Quirinale, con il presidente della Commissione europea José Manuel Durao Barroso, presente il ministro delle Politiche comunitarie Stefano Ronca. Ma potrebbe, invece, avere un'eco nella missione che Napolitano sta per intraprendere a Washington, dove, martedì, accompagnato proprio dal ministro Frattini, sarà ricevuto alla Casa Bianca dal presidente statunitense. Barack Obama pare avere una considerazione particolare per quel vecchio comunista italiano che, l'estate scorsa, a Roma per il Vertice del G8, salutò come "un leader mondiale", ringraziandolo "per la sua leadership". Primo dirigente del Pci a sbarcare negli Usa 32 anni or sono, Napolitano continua a interessare gli americani e a goderne la fiducia. La visita a Washington era prevista dopo l'estate, ma è stata anticipata su richiesta di Obama, e in tempi stretti: il presidente Usa vuole capire che cosa accade nell'Europa dei leader pavidi nella difesa della propria moneta. E, magari, vuole anche capire che cosa succede in Italia, tra scandali, corruzioni e 'leggi bavaglio'.