Il quadrilatero politica-affari-mafia-massoneria

 
Bertolao Meravigliao
di Marco Travaglio

IL FATTO QUOTIDIANO   -   16 febbraio 2010   pag. 1

Un nuovo genere letterario si afferma sui giornali: il dadaismo informativo. Prendete il Geniale di Feltri. Delle migliaia di carte e intercettazioni dell'inchiesta giudiziaria se ne frega: ha già deciso, ipse Littorio dixit, che "Bertolaso non c'entra".
Chi lo dice? "Una controinchiesta dei nostri eccellenti cronisti investigativi Chiocci e Malpica chiarisce ogni dubbio. Mette il cuore in pace e restituisce fiducia in un uomo diventato simbolo di efficienza e tempestività del governo". Le intercettazioni? "Ingannevoli per definizione". Ciò che conta sono Chiocci e Malpica, mica bruscolini. Ai giudici non resta che "prenderne atto riconoscendo, si spera, di aver agito con troppa disinvoltura". Tutte balle anche gli allegri festini al centro benessere sulla Salaria documentati dalle telefonate: nient'altro che "una onesta lavoratrice specialista nella rivitalizzazione di muscolature ingrippate, da molti richiesta per sistemare schiene dolenti". O meglio: "Una bonazza fu davvero messa a disposizione di Bertolaso (da un imprenditore), ma questi la respinse con perdita, acquisendo il diritto all'assegnazione di una medaglia al valore, giacché rifiutare una brasiliana nel pieno della giovinezza è prova di eroismo".
Siamo tutti più tranquilli e pazienza se le intercettazioni – "ingannevoli per definizione" – dalle quali si desumerebbe tutt'altra storia. Telefonate che immortalano la memorabile serata del 14 dicembre 2008, mentre il Tevere esondava e San Guido giungeva trafelato e superscortato allo Sporting Village chiuso al pubblico e riservato in esclusiva alla protezione civile della sua muscolatura ingrippata e della sua schiena dolente: un Grande Evento. E' a questo scopo che Simone Rossetti, il factotum di Anemone, si dava un gran daffare con Regina Profeta, già ballerina del Cacao Meravigliao arboriano, per assicurare la presenza di "due signorine di qualità, non due stelline del cazzo" da agghindare con "bikini di tipo brasiliano un po' stretto".
Già, perché ogni rivitalizzazione bertolasa si trasformava in una grande opera da far impallidire due G8, tre campionati di nuoto, tre Expò, mobilitando decine di addetti in assetto antisommossa. Uno accendeva le luci, uno le spegneva, uno chiudeva porte e finestre, uno procacciava le signorine di qualità, uno procurava il bikini, uno attivava la sauna, uno innescava "la talasso", uno si occupava dell'"aspirazione", uno attendeva con ansia di ripulire la scena del relitto da eventuali profilattici dimenticati affondando le mani nei cestini della spazzatura (un esperto di emergenza rifiuti, giunto appositamente dall'Alto commissariato di Napoli), uno aspettava fuori "al parcheggio" intrattenendo la scorta, insomma faceva da palo e comunicava in presa diretta ad Anemone lo stato di avanzamento lavori con apposite walkie-talkie da Emergenza Bikini. Dall'interno giungevano notizie frammentarie, subito commentate e diramate via telefono minuto per minuto: "E' tutto in atto… da un'oretta… l'ho messo subito a suo agio… l'appuntamento sta andando bene… ancora niente... appena esce ti chiamo…". Ore 23.04 il dado è tratto. San Guido ha finito. Monica rassicura Regina che è rimasto "contento". L'allegro squadrone addetto alla rivitalizzazione tira un sospiro di sollievo. Anemone esulta: "E' come se avessimo guadagnato 500 punti". Bingo! La famosa patente a punti. Ma c'è un ultimo problema: Bertolao Meravigliao si perde nel dedalo dei corridoi e rimane prigioniero per qualche lungo, interminabile minuto. "Come esco, Simone?". Con scattante efficientismo Rossetti organizza i soccorsi di pronto intervento: "Sì, allora, guarda, c'è direttamente sulla destra o sulla sinistra. Vicino a una delle porte. Vicino a una rotella. Hai visto? Gira quella verso sinistra. Comunque sto venendo giù con la chiave". Tutto è bene quel che finisce bene. La squadra della Prostituzione civile Spa si allontana in forze a passo di leopardo nella notte, lanciatissima verso nuove mirabolanti emergenze.


 
Il "sistema Verdini" e i summit a via dell'Umiltà
Corruzione, indagato coordinatore PDL
"Gianni Letta ha portato tutto a Guido"
di Peter Gomez

IL FATTO QUOTIDIANO   -   16 febbraio 2010   pag. 3

Pur di restare sulla poltrona chiave di presidente del Credito Cooperativo Fiorentino, nell'aprile del 2008 ha rinunciato un posto di ministro. Tutti lo volevano all'Ambiente, ma lui, Denis Verdini da Fivizzano (come Sandro Bondi), classe 1951 e coordinatore nazionale del Pdl, sapeva bene che con un dicastero del genere in mano, sarebbe stato costretto a rinunciare alla sua vera passione: gli affari.
E così eccolo qua il Verdini, come lo chiamano a Firenze, mentre in centinaia di telefonate, intercettate per caso dal Ros dei Carabinieri, organizza incontri imprenditori, parlamentari e ministri, utilizza la sede del partito di via dell'Umiltà a Roma per parlare di appalti e di soldi, e si spinge persino fino a Palazzo Chigi, dove il 12 maggio del 2009, fa entrare l'uomo che più di tutti ha nel cuore: Riccardo Fusi, patron della Baldassini Tognozzi Pontello, mega impresa toscana delle costruzioni, in quel momento interessata a entrare nel business della ricostruzione post terremoto a L'Aquila. E visto che un abruzzese nel governo c'è, e si chiama addirittura Gianni Letta, i carabinieri intercettano Fusi mentre spiega di star facendo anticamera davanti alla porta del potente sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
L'incontro, che spiega bene perchè Letta si sia precipitato ad affossare la Protezione Civile Spa, è come minimo un monumento al conflitto d'interessi. Il fratello di Verdini, Ettore, è da sempre il commercialista di fiducia di Fusi. Sul finire degli anni '80, anzi, il professionista e il patron della Baldassini sono pure finiti in manette assieme, per una storiaccia di tangenti legata al piano casa fiorentino. Ma poi la giustizia ha fatto il suo corso. E loro come tutti gli imputati, sono stati assolti. Anche per questo il legame tra le due famiglie, quella dei Fusi e quella dei Verdini, ha finito per rafforzarsi. Tanto che ora gli investigatori considerano il coordinatore del Pdl come una sorta di socio di fatto dell'impresa. E non è una bella cosa. Perchè Fusi è indagato per associazione per delinquere con l'aggravante mafiosa. Mentre Verdini deve rispondere di concorso in corruzione, un'accusa che ieri lo ha spinto a restare per due ore in procura assieme al suo avvocato.
In ogni caso quel 12 maggio Fusi è, invece, negli uffici della presidenza del Consiglio. Con lui ci sono il direttore della cassa di Risparmio de L'Aquila e altri due imprenditori abruzzesi con i quali, tre giorni dopo, il 15 maggio darà vita al consorzio "Federico Secondo". Scopo dell'associazione: aggiudicarsi gli appalti della ricostruzione. Cosa che puntualmente avviene. Fusi per telefono è al settimo cielo. "Oggi ho fatto un lavoro straordinario",esulta, "da stamani ad ora... se non ne va in porto nemmeno una allora vuol dire che che deve essere destinata. Anche quello che s'è visto ieri (riferimento all'on. Denis Verdini, ndr) oggi ... se facesse sempre come oggi … si sarebbe i primi in classifica ... (…) … operativi più che così non c'è verso".
Dieci giorni dopo, il 26 maggio, Verdini e Fusi fanno il punto della situazione: "Buongiorno", gli dice il coordinatore Pdl, "Allora ho parlato con Gianni (Letta, ndr) che ha portato tutto a Bertolaso". Poi però consiglia all'amico (e forse socio) di chiedere anche ai suoi compagni di cordata imprendtori abruzzesi di "sollecitare" pure un faccia a faccia con il capo della Protezione Civile: "(Letta ndr) mi ha detto... gli ho portato tutto... sta comandando... vedrai... ti chiama... però... insomma... te sollecita poi semmai intervengo io... l'incontro dovrebbe avvenire con lui". E che per Fusi, Verdini sia disposto a fare di tutto, lo dimostrano pure altre chiacchierate. Fusi parla infatti con il governatore abruzzese (Pdl) Gianni Chiodi, in altre occasioni (non legate al terremoto) arriva ad incontrare forse, assieme ad altri imprenditori, addirittura il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Quindi si copre a sinistra. La Baldassini Tognozzi Pontello lavora da sempre in Toscana. Per questo il 16 luglio il presidente del consiglio regionale, Riccardo Nencini, lo chiama per comunicargli di essere stato all'Aquila e di aver "parlato bene di lui". Intanto dall'Abruzzo arrivano gli sms esultanti dei dipendenti della Baldassini. Roba del tipo: "Abbiamo vinto un appalto da 7,5 milioni di euro", e via dicendo.
Dell'ottimo rapporto Fusi-Verdini, hanno piena contezza pure i famigliari del politico. Più volte i figli di Verdini chiamano Fusi per farsi prenotare e pagare camere di alberghi, per loro e i loro amici, a Milano, a Venezia e in Versilia. Anche all'ultimo momento. Anche cinque persone per volta. Il legame è insomma fortissimo e diventa imbarazzante visto che con Fusi, lavora in associazione d'impresa in altri appalti con Francesco Piscitelli, uno dei due imprenditori che la notte del sisma già esultavano al pensiero di quali appalti si sarebbero aggiudicati. Del resto, quello che ruota intorno a Verdini, è un sistema. E lo si capisce quando di scopre che lui fa da fulcro per una serie di parlamentari azzurri, ciascuno dei quali è o il riferimento di un'azienda o addirittura il proprietario. Per questo la politica, letta attraverso i rapporti dei carabinieri, diventa solo un gigantesco comitato di affari. Con l'europarlamentare Vito Bonsignore che chiama per costruire strade e autostrade. Con il deputato Rocco Gilardo, ufficialmente Editore del Corriere dell'Umbria e di altre testate locali, che si occupa di forniture di calcestruzzo per conto della Barbetti spa. Con Massimo Parisi che discute di business a più non posso. E poi ancora ecco gli interventi di Guido Viceconte e Mario Pepe. Tutti piazzati su un'enorme ragnatela che se anche fosse penalmente irrilevante, spiega bene come mai la spesa per le opere pubbliche in Italia è ormai fuori controllo. Chi dovrebbe tentare di ridurla, partecipa al banchetto.



Milioni e grembiuli
Sulla "cupola di Firenze" l'ombra della massoneria
di Rita Di Giovacchino

IL FATTO QUOTIDIANO   -   16 febbraio 2010   pag. 3

Il 5 marzo 2008 il commercialista palermitano Pietro Di Miceli telefona all'imprenditore toscano Riccardo Fusi. Non lo trova, ma appena il professionista torna allo studio si precipita a richiamarlo. "Professore... sono Fusi, la disturbo? Mi dica". Non si conoscono, a suggerire il nome di Fusi al commercialista è stato un imprenditore milanese, Mauro Mancini, amministratore unico della Multi Development. Ma poco importa perché i due, lontani per età, ambiente, geografia cominciano a discutere di appalti, progetti, incontri politici come vecchi amici o almeno soci in affari. Fanno parte di uno stesso mondo, per Fusi non c'è necessità di chiedere al "professore" chi sia e perché mai si fosse rivolto a lui per proporgli la costruzione dell'aeroporto di Frosinone e un mega Centro di accoglienza a Roma o di appalti in Turchia e agganci a Bruxelles. Da quel momento, per almeno un anno, non si perdono di vista e "poco importa che nessuno dei tanti progetti vedrà mai la luce", scrivono i carabinieri della sezione anticrimine di Firenze, perché il rapporto tra l'imprenditore toscano e il commercialista siciliano scava in profondità nella Cupola fiorentina degli appalti, di cui Fusi è protagonista, e ne rivela i legami obliqui.
Come emerge anche da altri capitoli delle 20 mila pagine delle informative del Ros che accompagnano l'ordinanza. Indagini ancora in atto che rischiano di coinvolgere altri funzionari e altri politici. Per quel che riguarda Miceli, più di 90 pagine, si va dal presidente della Provincia Lazio Francesco Scalia all'ex governatore Marrazzo. Nessuno lo conosce, eppure il commercialista ha una storia che merita di essere raccontata. Il suo nome fu tirato in ballo da pentiti come Siino, Galliano, Anzelmo, motivo per il quale è stato più volte indagato per mafia, anche se poi è stato assolto. Un nome legato al periodo delle stragi e a quel "tavolino" dove si incontravano mafiosi e imprenditori per discutere di appalti. Secondo Siino, Di Miceli era in rapporti d'affari con Raffaele Ganci, capo mandamento della Noce ed era stato quest'ultimo a chiedergli di presentare al commercialista tutti gli imprenditori del Nord "perché era in grado di intromettersi nell'assegnazione degli appalti e garantiva la messa a posto". Ganci è uno dei boss condannati per la strage di Capaci. Lo scontro tra Siino e Di Miceli finì per innervosire Totò Riina che alla fine si schierò con Di Miceli. È sempre Siino a raccontarlo. Ma c'è di più. Nella lettera dell'"anonimo istituzionale" che dopo la morte di Falcone illustrò la strategia stragista della mafia, annunciando anche l'eliminazione di Borsellino e Ignazio Salvo, Di Miceli veniva descritto come tramite tra mafia, massoneria, ambienti politici ed imprenditoriali nella sua qualità di componente del Cesme e cavaliere dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro.
La massoneria. Ecco potrebbe essere questo il canale che lega il siciliano ai toscani. A quello strano consorzio che vede insieme l'imprenditore Fusi, il socio Bartolomei, il portavoce Leonardo Benvenuti, Denis Verdini ma anche i napoletani con il loro seguito di imprese in odor di camorra. Capofila Antonio Di Nardo, funzionario della Ferratella, legato a filo doppio con quel Rocco Lamino del prestito da 100mila euro a Francesco De Vito Piscicelli (quello che rideva la notte del terremoto). Uno che se la faceva sotto solo a pensarci a Lamino, soprattutto da quando il tasso di interesse era salito dal 5 al 10%. Ebbene tutti costoro, manovrando protezioni politiche e promesse economiche, erano riusciti a far nominare Fabio De Sanctis Provveditore delle opere pubbliche in Toscana. Un miracolo. Il primo ad esserne stupito fu lui come si evince dalla telefonata alla moglie. "Silvia è fatta, fatta... fatta. Non era mai successo che un semplice funzionario fosse nominato Provveditore. Mai".



E al telefono spunta la guerra degli architetti
L'appalto per l'auditorium di Firenze e le "sponsorizzazioni di Rutelli e Veltroni"
di Antonio Massari

IL FATTO QUOTIDIANO   -   16 febbraio 2010   pag. 4

Le pressioni di Walter Veltroni e Francesco Rutelli, le gare aggiudicate prima dell'apertura delle buste, il ruolo devastante della politica che domina gli appalti. Presunzioni. Sospetti. Veleni. Accuse spiattellate al telefono, a partire dal novembre 2007, quando il governo pianifica il 150° anniversario dell'Unità d'Italia. Conversazioni che illuminano la pista investigativa e, passo dopo passo, portano agli uomini chiave della Protezione civile, come Angelo Balducci e Fabio De Santis, entrambi "soggetti attuatori" per il G8 de La Maddalena pochi mesi fa, entrambi arrestati.
Tutto nasce nel 2007: un decreto della presidenza del Consiglio istituisce il "Comitato dei ministri" per organizzare le celebrazioni e pianificare le opere del 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia. Il 20 ottobre 2007 arriva la pubblicazione dei bandi di gara per l'aggiudicazione di 11 lavori. Tra questi, la realizzazione del Nuovo Parco della Musica e della Cultura a Firenze (appalto da 80 milioni di euro) e il Nuovo Palazzo del Cinema di Venezia Lido (72 milioni). La parola chiave, nell'inchiesta della Procura di Firenze sulla Protezione civile, è "sistema gelatinoso". Una definizione data al telefono, dall'architetto Paolo Desideri, parlando con il suo rivale Marco Casamonti. È il momento centrale dell'indagine.
Su Desideri pende il sospetto, da parte dei colleghi, d'aver vinto la gara di Firenze grazie alle pressioni di Veltroni. Casamonti arriva secondo, nonostante lavori con l'imprenditore Valerio Carducci, vicino a Rutelli, arrestato cinque giorni fa. L'impresa Baldassini Tognozzi Pontello (BTP) giunge terza. E il suo amministratore delegato, Vincenzo Di Nardo, inizia a lamentarsi telefonicamente: dal "liquido gelatinoso" iniziano a emergere gli altri protagonisti dell'inchiesta fiorentina. Il bando di gara è firmato da Angelo Balducci, il commissario delegato è Fabio De Santis. Il bando di gara prevede tre criteri di valutazione: il merito tecnico dell'offerta vale 55 punti, tempo e modalità di esecuzione 10 punti, prezzo 35 punti. Il Palazzo del Cinema di Venezia viene aggiudicato all'impresa Sacaim. Un ingegnere della BTP commenta: "...guarda è fatta a tavolino... è troppo evidente... cioè la Sacaim avendo preso il massimo sulla parte tecnica... non era battibile da nessuno… è fatta ad arte". Il trucco, secondo i concorrenti, è semplice: il valore più alto, quello da 55 punti, è ampiamente discrezionale, e viene attribuito alla ditta prescelta con un margine tale da annullare la competizione. Tre ore dopo si sa chi ha vinto la gara fiorentina: la Sac-Igit. L'ingegnere della BTP riferisce ai colleghi che la Sac-Igit, per il progetto, ha avuto 55 punti. Un architetto chiede all'ad di BTP, Di Nardo, chi decide "in questa banda". Gli inquirenti ascoltano la risposta di Di Nardo: "...questo Balducci, che è l'ex provveditore alle Opere pubbliche di Roma, che è l'uomo di Rutelli dentro il ministero... capito?... e sono tutti uomini suoi... De Santis, che ha firmato il progetto è un dipendente sottostante a Balducci, capito?".
Di Nardo chiama Casamonti che, rispetto alla gara di Firenze, dice: "...io so com'è andata e quindi sono sereno… quell'architetto è di Veltroni... e il sindaco Domenici ha preso gli ordini da Veltroni… è una vergogna... ma che vuoi fare? …detto fra me e te doveva vincere la Giafi... senonché è arrivato l'ordine di Veltroni e quindi... senti Venezia ha vinto perché c'era l'architetto di Rutelli... Lo sai te? … a Venezia ... io lo sapevo da due mesi... non c'era verso". Di Nardo conclude: "O diventi amico di Rutelli o Veltroni o puoi tornare a casa".
Pochi giorni dopo parte l'aggancio tra Di Nardo e De Santis. Il tramite è un altro imprenditore: Francesco Piscicelli. Il sistema sembra svilupparsi sotto gli occhi degli inquirenti. Che ascoltano un'altra conversazione: Casamonti avrebbe scoperto che, per uno dei progetti in questione, l'impresa vincitrice, avrebbe iniziato a lavorare prima che vi fosse il bando. E avrebbe le prove: "Ho il progetto loro… uno è marcato 3 maggio". Risponde Di Nardo: "Se c'hanno un file datato 3 maggio vuol dire è una gara supertruccata". Quattro mesi dopo, è lo stesso Carducci, l'uomo vicino a Rutelli, che conferma a Casamonti la versione su Veltroni. "Era tutto... a nostro favore... è arrivata proprio tassativamente la telefonata da Veltroni eh! Capito?". E quando Casamonti chiama "l'architetto di Veltroni", Paolo Desideri, quest'ultimo gli parla di un "sistema gelatinoso": "Le imprese fanno riferimento ad un… un incubatore… stanno immersi in un liquido gelatinoso che – dici giustamente te – è al limite dello scandalo".
"È una totale follia - la risposta che arriva da fonti vicine a Veltroni - non sappiamo assolutamente nulla di ciò di cui si parla in quelle intercettazioni".
 
 
 
Il capo di BTP
"Tutto il sistema ruota intorno a Rutelli e Veltroni"
di Michele Bocci
 
LA REPUBBLICA  Edizione FIRENZE   -   16 febbraio 2010   pag. I e III
 
PRIMA le manovre per riuscire ad aggiudicarsi l'appalto da 80 milioni di euro, poi la delusione per la sconfitta e infine la rabbia che non risparmia nessuno.
L'Auditorium di Firenze è la grande opera che dà il via all'inchiesta che sta facendo tremare Guido Bertolaso, e non solo. Sono le parole dell'amministratore delegato della Baldassini, Tognozzi e Pontello, Vincenzo Di Nardo, ascoltate dai carabinieri del Ros, ad aprire involontariamente uno squarcio nel sistema. «I romani arrivano sempre davanti», si lamenta il 28 dicembre 2007 l'imprenditore, dopo aver saputo di essere stato sconfitto. Nelle sue telefonate a parla di un "sistema Pd-centrico" che ruota attorno agli ex sindaci della capitale Rutelli e Veltroni.
Ma Di Nardo ne ha anche per l'amministrazione comunale fiorentina. Ecco cosa dice il 2 gennaio 2008. L'interlocutore è un altro fiorentino che ha perso la gara per l'Auditorium, l'architetto Marco Casamonti. « ... senti io ho fatto questi lavori in 30 anni... mi devi credere non ho mai... mai... mi sono piegato alla regola delle tangenti... mai... in Palazzo Vecchio... in Urbanistica... prendono soldi a palate e mio fratello c'ha tutti i lavori bloccati... non ha mai accettato di mandare... di dare... lo sai come fanno?... "ah! me ne dimentico sempre di portarla in commissione"... capito?.. e la gente prende e paga».
Di Nardo cerca di coinvolgere nella gara per l'Auditorium Impregilo. L'11 dicembre 2007, ad un interlocutore spiega: «E' bene che la gente capisca che Impregilo vuol dire Ligresti... Ligresti vuol dire Castello!.. quindi l'opportunità è... un'opportunità grande... certo che probabilmente è un carrozzone di difficile gestione per queste cose a lungo termine...».
Alla fine non se ne fa di nulla, Baldassini e Tognozzi resta con un alleato, Francesco Maria De Vito Piscicelli, con grandi agganci a Roma. Uno degli imprenditori centrali dell'inchiesta. L'ad della Btp chiama decine di persone per capire come andrà la gara. Anche un architetto di un gruppo concorrente come Casamonti. Il 20 dicembre si fa dire che ribasso ha presentato la sua impresa. Casamonti: «E' un'impresa che si è fatta un bel progetto e loro giustamente hanno detto che il progetto nostro... so che han fatto poco ribasso anche il Consorzio Etruria... poi se l'hanno detto e come al solito la gente dice una roba e poi ne fa un'altra...». Di Nardo: «Lo so... lo so... non ce l'avete messe davanti i decimi... le due cifre». Casamonti: «Di che cosa?». Di Nardo: «Di ribasso... è a una cifra sola... non a due cifre... quando dici poco... è da zero a dieci». Casamonti: «Una cifra sola».
Il 28 dicembre Di Nardo cerca di sondare l'assessore all'urbanistica Gianni Biagi. Di Nardo: «Allora come va, c'è bel tempo a Roma?». Biagi: «Sapete tutti che sto a Roma?.. uno non può farsi i cazzi suoi.. un giorno... ma chi te l'ha detto che sto a Roma? … Ho capito … Son venuto a vedere i progetti… ora che sono finite la valutazioni tecniche e cominciano quelle economiche... no... non lo so ancora come va». Tra le tante persone interpellate da Di Nardo c'è anche il sovrintendente del Maggio, Francesco Giambrone, a cui chiede, sempre il 22 dicembre, di parlare con il presidente della commissione che giudicai progetti per l'Auditorium, Salvo Nastasi. Di Nardo: «Se hai modo di parlare con Salvo...». Giambrone: «Salvo… si... ma lo sento ogni giorno... lo sento ogni giorno... lo sento ogni giorno». Il sovrintendente chiede all'imprenditore informazioni su un nuovo membro da far entrare nella Fondazione del Maggio, i fratelli Bassilichi. Di Nardo tira di fuori di nuovo Nastasi. Giambrone sembra rispondere più per cortesia che per altro: «Mi ricordo... certo... glielo dico... glielo dico… incrociamo le dita... un abbraccio».
Il 28 dicembre Di Nardo viene a sapere di essere arrivato terzo. E si scatena la sua rabbia. Nelle telefonate a vari personaggi fiorentini ipotizza l'esistenza di un vero e proprio "sistema Pd-centrico" che ruota intorno alle figure dei due leader ex sindaci di Roma Rutelli e Veltroni. Di Nardo: «Angelo Balducci... che è l'ex provveditore alle Opere pubbliche di Roma che è l'uomo di Rutelli dentro il ministero... capito?... e sono tutti uomini suoi.... De Santis (Fabio, ndr) che ha firmato il progetto è un dipendente sottostante a Balducci... capito?... (...) ... la Forleo che ha aperto le buste... è una dipendente sottostante a Balducci... erano tutti con lui al Provveditorato alle Opere pubbliche di Roma...». Di Nardo è perplesso sulle valutazioni per la gara dell'Auditorium ma riflette sulla difficoltà di poter fare ricorso: «costì non finiscono in galera perché il criterio discrezionale è discrezionale... capito?». Piscicelli cerca di tirare su Di Nardo, sempre il 28: «Quando c'hai tempo che vieni a Roma... purtroppo ho dovuto prendere un secondo posto... non abbiamo buttato tempo... non ti preoccupare...». Di Nardo: «no, ma tempo non se ne butta mai... nella vita sempre per imparare...».
Piscicelli in effetti cerca di mettere a frutto comunque la sconfitta, e il 18 gennaio organizzerà un incontro con Fabio De Santis, funzionario della "Ferratella", a cui introduce così l'appuntamento: «...allora ti volevo dire... mi sta tampinando le palle Vincenzo... Di Nardo... che abbiamo bruciato l'altro giorno... e vabbé». Di Nardo parla anche con il patron di Btp, Riccardo Fusi, che gli dice: «... ma è una porcata enorme... io sono a Roma... lo sapevano tutti chi vinceva...». Secondo gli investigatori, a parere di Di Nardo «non ci sarebbe da meravigliarsi se in tutta questa vicenda fosse scoperto un giro di tangenti».
E ancora più amareggiato di lui appare l'architetto di Firenze Marco Casamonti, autore del progetto-offerta che si è classificato al secondo posto. Parlando con Di Nardo la mattina del 29 dicembre 2007 dice: «...eh il primo e il secondo degli ultimi ci vuole pazienza… io so com'è andata e quindi sono sereno lo stesso... (...) ... eh certo!... è Veltroni ... quell'architetto è di Veltroni... l'impresa è di Veltroni e il sindaco Domenici ha preso gli ordini da Veltroni... è una vergogna... ma che vuoi fare?... (....)... ma sì ha vinto la Sacaim... si sapeva un mese fa... allora...» Il 31 Di Nardo dice a Casamonti: «... chi ha vinto è un amico intimo di Della Valle». E ancora, più avanti nella stessa telefonata. Casamonti: « ... guarda, io ti posso dire una cosa... la Giafi (per cui ha lavorato l'architetto fiorentino, ndr) è molto conosciuta a Roma e lavora da anni per i ministeri... da anni. Loro m'han detto... "Marco questi hanno fatto pacco e contropacco"». Di Nardo: «...sicuro». Casamonti: «...qui è arrivato l'ordine da Veltroni diretto a Domenici... Domenici a Biagi...». L'architetto Gaetano Di Benedetto, già dirigente dell'Urbanistica di Palazzo Vecchio spiega anche così la sconfitta a Di Nardo: «... sai chi si è dato da fare, vero?.. c'è una persona emergente... vedrai... te lo troverai nel futuro... Nardella... è lui in contatto quotidiano con Rutelli e Chiti...».