Il "porto delle nebbie" colpisce ancora

 
Il tappo e la toga
di Marco Travaglio

IL FATTO QUOTIDIANO   -   26 febbraio 2010   pag. 1
 
Un tempo al porto delle nebbie di Roma giravano soldi in cambio di sentenze. Dunque, in questo senso, la Procura di Roma non è più il porto delle nebbie, almeno fino a prova contraria. Ma forse è anche peggio: perchè le cose che un tempo si facevano a pagamento oggi si fanno gratis.
Nonostante la buona volontà e la professionalità di molti magistrati, il pesce puzza dalla testa, anzi nella testa: perchè il guaio è nella testa di chi è alla testa della Procura. L'altro giorno Carlo Bonini ha raccontato su Repubblica come l'inchiesta romana sulla Protezione civile fu ibernata per mesi e mesi dal procuratore aggiunto Achille Toro, in piena sintonia col capo Giovanni Ferrara, nonostante le insistenze del pm titolare del fascicolo e della Guardia di Finanza che chiedevano invano l'autorizzazione a intercettare i Bertolaso Boys.
Era già successo quando i carabinieri volevano intercettare gli spioni dello staff Storace durante le regionali 2006. Allora provvide la Procura di Milano a scoprire quel che Roma non voleva sentire. Stavolta ci ha pensato Firenze. Roma, mai. In base ai verbali dei pm e dello stesso Ferrara, ascoltati a Perugia, Bonini ricostruisce due frasi pronunciate da Ferrara nella primavera 2009 per motivare il no alle intercettazioni su Anemone e Balducci: "mancano i gravi indizi di reato per la corruzione" (si è poi visto che gli indizi abbondavano) e c'è pure una questione "di opportunità" nell'imminenza del G8 per evitare un danno all'immagine dell'Italia.
Si spera che il procuratore smentisca soprattutto la seconda frase, perchè tradisce una concezione della Giustizia che non è prevista dalla Costituzione repubblicana. Anzi, ne è esclusa. In Italia i pm hanno l'obbligo di indagare su ogni notizia di reato senza preoccuparsi dell'opportunità politica e dell'immagine del Paese. L'aggiunto Toro, potentissimo crocevia di interessi alla Procura di Roma (basta leggere il libro di Gioacchino Genchi), se l'è data a gambe quando ha capito che, diversamente dal caso Unipol, rischiava di bruciarsi le penne.
Se Ferrara, come pare desumersi da quella frase, condivideva quel concetto protettivo, castale, tutto politico e per nulla giurisdizionale della Giustizia, dovrebbe andarsene anche lui. Mentre Toro e Ferrara ibernavano il caso Bertolaso e neutralizzavano gravissimi scandali berlusconiani come i voli di Stato e il caso Saccà, partivano in quarta contro Genchi, senza competenza e senza reati, in piena sintonia col Copasir di destra e di sinistra. Qualcuno dovrà pure spiegare perchè la Procura più importante d'Italia, sotto la cui competenza ricade la stragrande maggioranza dei delitti del Potere, in 15 anni non sia riuscita a portare a termine un processo degno di questo nome a carico di colletti bianchi di un certo peso.
Perchè, avendo sotto gli occhi un Potere con percentuali di devianza da Chicago anni 30, non ha quasi prodotto altro che archiviazioni. Perchè procure marginali come Potenza o remote come Napoli (caso Saccà), Milano (caso Storace), Firenze (Bertolaso & C) scoprono più reati commessi a Roma di quanti ne scopra la Procura di Roma. Lamentarsi dopo per i presunti furti di competenza lascia il tempo che trova, quando prima si fa poco per indagare e molto per sopire e troncare. Sono vent'anni che sentiamo accusare di "politicizzazione" i pm più attivi d'Italia. Tutti, tranne i vertici della Procura di Roma, che sono proprio i più politicizzati, visto che nella Seconda Repubblica hanno seguitato a comportarsi come nella Prima: forti coi deboli e deboli coi forti.
Più che una Procura, un ministero. Infatti nessun politico ha mai osato attaccarli, nessun governo perseguitarli con ispezioni o azioni disciplinari. Infatti il Csm ha cacciato galantuomini come De Magistris, la Forleo, i salernitani Nuzzi e Verasani, e non ha mai sfiorato la palude di Piazzale Clodio. L'Anm, che in quei casi taceva o addirittura applaudiva, su Roma non ha niente da dire? Se, come dice Mieli, sta saltando il tappo, è bene che salti anche quello della magistratura. E Toro seduto non basta. Bisogna guardare un po' più in su.



Così la Capitale frenò le indagini
di Carlo Bonini

LA REPUBBLICA   -   23 febbraio 2010   pag. 1

ROMA - TRAVOLTA dall'inchiesta fiorentina, la Procura di Roma si spacca. Saltano le alchimie che l'hanno sin qui governata. E nel suo giorno più lungo, il conflitto che l'attraversa si intreccia e si spiega con quanto è accaduto in questi uffici non nelle ultime ore ma nell'ultimo anno.
Nel pomeriggio, un'assemblea dei sostituti e un comunicato provano in qualche modo a tamponare e dissimulare la sostanza della posta in gioco: «Comportamenti attribuiti a singoli magistrati (l'ex procuratore aggiunto Achille Toro) - si legge - non possono e non devono coinvolgere negativamente l'impegno e la correttezza dei magistrati di Roma».
Appaiono invece più sincere le parole con cui un magistrato di lungo corso di quell'ufficio, a sera, rende intelligibile quanto è accaduto: «Avevamo due possibilità. La prima: arrivare fino in fondo a una discussione che avrebbe finito per delegittimare oggettivamente il procuratore capo Giovanni Ferrara e avrebbe aperto un "caso Procura di Roma". La seconda: salvare Ferrara e con lui l'onore di un ufficio dove lavorano cento sostituti, provando a spiegare che esiste solo un "caso Toro". Abbiamo scelto il male minore. Oggi, dunque, diciamo che esiste solo "un caso Toro". Anche perché, sfiduciare Ferrara avrebbe significato spiegare al Paese che in questa Procura il tempo non è mai passato. Che non ci si è mai mossi davvero dai giorni del "porto delle nebbie. Il che, oggettivamente, non è poi vero».
Un «caso Toro», dunque. E non «un caso Ferrara», dicono a piazzale Clodio. Anche se la vigilia dell'assemblea di ieri e le indagini avviate dalla Procura di Perugia sembrano suggerire uno scenario diverso. A Roma, un gruppo di sostituti era pronto ieri pomeriggio a un documento di solidarietà con il Procuratore di Firenze (poi rientrato). A Perugia, una sola settimana di inchiesta ha cominciato a svelare che l'indagine sull'ex procuratore aggiunto non interpella solo le mosse di un magistrato che si vuole infedele (Toro) nei giorni in cui due Procure della Repubblica (Roma e Firenze) "scoprono" di indagare su una stessa vicenda (i grandi appalti della Protezione civile) e identici protagonisti (la "cricca"). Ma interpella (anche) le scelte del vertice della Procura di Roma nei dodici lunghi mesi in cui, a sua volta, ha indagato sulla "cricca" e gli appalti della Protezione Civile.
Una storia, questa, che comincia nel gennaio del 2009 e che è utile ricostruire proprio per comprendere che cosa davvero laceri in queste ore la Procura di Roma. Gennaio 2009, dunque. La Procura di Tempio Pausania invia per competenza a quella di Roma una notizia di reato segnalata dai carabinieri del Noe. In quel fascicolo sono allegati, insieme ad articoli di stampa sugli appalti del G8 alla Maddalena, una serie di intercettazioni telefoniche (i carabinieri ne hanno trascritte soltanto tre), avviate in tutt'altro contesto, ma in cui balla la figura del costruttore Diego Anemone. Secondo il Noe, esiste in quelle conversazioni il "fumus" della corruzione e comunque il presupposto per una "delega" ad approfondire l'indagine che valuti le responsabilità degli amministratori pubblici che sul G8 della Maddalena hanno avuto e hanno competenza. Tra loro, Angelo Balducci, che del G8 alla Maddalena è stato «attuatore» e «supervisore». Il lavoro del Noe non ha fortuna. Il procuratore aggiunto Achille Toro - il magistrato che ha la delega del pool investigativo sui reati contro la pubblica amministrazione e cui il procuratore Giovanni Ferrara è legato da amicizia, stima professionale e appartenenza di corrente (la moderata "Unicost") - ritiene quell'incarto poca cosa. Affida il fascicolo al pm Assunta Cocomello e convoca in Procura il comandante del Nucleo di polizia tributaria di Roma, il colonnello della Guardia di Finanza Vito Augelli. E' il2 febbraio 2009, quando l'ufficiale delle fiamme gialle lascia piazzale Clodio. In mano non ha nessuna delega di indagine perché - come confermano oggi a "Repubblica" qualificate fonti della Finanza, nonché gli atti in possesso della Procura di Perugia - la scelta di Toro è, diciamo così, minimale. Al Nucleo di polizia tributaria, il Procuratore aggiunto chiede infatti una semplice "ricognizione societaria" del gruppo Anemone. Poco più, insomma, che una visura approfondita del registro imprese. «Per avere un quadro più chiaro della storia», dice Toro. E' un lavoro che porta via neanche un mese e che, ovviamente, scopre l'acqua calda. Che il gruppo Anemone è una holding dalle molte società che aprono e chiudono in coincidenza con l'affidamento degli appalti e in cui, al più, si potrebbe trovare qualche irregolarità fiscale.
Siamo dunque a marzo 2009. La Finanza è convinta che all'esito del lavoro preliminare sul gruppo Anemone otterrà - questa volta sì - una delega di indagine. Ma sbaglia. Toro non vede nessuna urgenza per avviare attività di questo tipo e, soprattutto, sa di poter contare sull'appoggio del procuratore Ferrara di fronte all'insistenza del sostituto titolare dell'inchiesta, Assunta Cocomello, che, al contrario, vorrebbe partire in quarta con un'indagine se necessario anche invasiva. E' una discussione quella tra la Cocomello e Toro che - come lei stessa racconta a verbale ai magistrati di Perugia - si protrae per tutta la primavera. E che si infrange definitivamente quando la sua proposta di avviare intercettazioni telefoniche sulle utenze di Anemone e Balducci viene gelata dall'intervento di Ferrara («una normale e fisiologica dialettica con un sostituto», spiega oggi Ferrara ai magistrati di Perugia). Il Procuratore, insieme al suo aggiunto Toro, usa due argomenti. Il primo, giuridico. Il secondo, di opportunità. L'argomento giuridico - come riferisce Ferrara a verbale ai magistrati di Perugia - suona così: «mancano i gravi indizi di reato per configurare una corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio», dunque, il rischio è che il gip respinga la richiesta di intercettazioni, non ravvisandone i presupposti. L'argomento di opportunità ha invece a che fare con il calendario e l'agenda politica. Mancano in quel momento pochi mesi al G8 e - ragiona Ferrara - «un'indagine dai presupposti poco solidi» rischia di tradursi in un danno per l'immagine che il Paese si gioca alla Maddalena. Servono insomma «prudenza» e «mosse ponderate».
Il fascicolo Anemone/Maddalena va dunque in sonno. E a rianimarlo, ancora una volta, sarà la Guardia di Finanza. A settembre 2009, quegli scocciatori delle fiamme gialle notificano infatti alla Procura che la Banca d'Italia ha segnalato operazioni sospette per 800 mila euro in contanti a carico di Stefano Gazzani e tale architetto Zampolini. Guarda caso, il commercialista e il progettista del gruppo Anemone. Ci sarebbe da che animarsi e, invece, bisogna aspettare il novembre 2009 perché qualcosa si muova. Soltanto il 7 di quel mese, infatti, dopo che alla Cocomello è stato associato il pm Sergio Colaiocco (che ha sin lì lavorato all'indagine sugli appalti dei Mondiali di nuoto 2009), la Finanza ottiene semaforo verde. Non una delega di indagine in senso proprio, ma «un supplemento» di istruttoria a quella segnalazione della Banca d'Italia. I primi risultati arrivano in Procura il 15 gennaio scorso. E quindi vengono integrati il 26 e il 28 di quello stesso mese. Quei movimenti - documenta la Finanza - consentono di tirare un filo investigativo che porta da Anemone a Balducci. I pm Cocomello e Colaiocco si mettono a lavorare a una bozza di richiesta di intercettazioni telefoniche sulle utenze di Anemone e di altri protagonisti della "cricca" che verrà formalmente presentata al gip il 29 gennaio. Due giorni dopo che Ferrara ha avuto conferma che Firenze intercetta Calducci & co. da un anno e mezzo. Lo stesso giorno in cui sa che pendono richieste di arresto. Oltre un anno dopo quella prima informativa dei carabinieri del Noe. In dodici mesi, è il primo atto di indagine di Piazzale Clodio. Perché quei finanzieri che hanno visitato gli uffici di Anemone nel 2009 sono stati soltanto un incidente di percorso. Lui non lo sa ma non li ha mandati la procura, ma una visita fiscale di routine.