Le leggi "ad personam" servono, ostrega se servono ...

 
MISTER B. "INCASSA"
Grazie a tre leggi ad personam evita la galera. La condanna di Mills lo avrebbe coinvolto.
di Peter Gomez e Marco Travaglio
 
IL FATTO QUOTIDIANO   -   27 febbraio 2010   pag. 6
 
Senza tre leggi ad personam, fatte apposta per lui e per Cesare Previti, ieri Silvio Berlusconi sarebbe stato prelevato dalle forze dell'ordine e accompagnato a San Vittore per scontare la pena dopo la condanna definitiva per corruzione giudiziaria di David Mills. Stessa sorte sarebbe toccata, con le opportune procedure di estradizione, per il legale (si fa per dire) inglese. E' questa – checché ne dicano i tg e i giornali di regime – la traduzione in italiano della sentenza della Cassazione che l'altroieri ha confermato irrevocabilmente la colpevolezza di Mills per essere stato corrotto da Berlusconi con 600 mila dollari in cambio di due false testimonianze nei processi All Iberian e Guardia di finanza, e dichiarando il reato prescritto da un paio di mesi. Basta riavvolgere il nastro del processo per immaginarne l'esito finale e definitivo, al netto della legge ex Cirielli (2005), dell'indulto extra-large (2006) e del "lodo" Alfano (2008).
Nel 2004 la Procura di Milano scopre, da una lettera di Mills al suo commercialista, che il legale è stato ricompensato con 600 mila dollari da "Mr.B." per le sue testimonianze reticenti. Il 26 novembre 2005 Mr.B. fa approvare in tutta fretta l'ex Cirielli, che taglia la prescrizione per gli incensurati (cioè anche per lui e per Mills): quella per la corruzione giudiziaria scende da 15 a 10 anni. E, siccome la tangente a Mills risale al 1999-2000, il reato si prescriverà non più nel 2014-2015, ma nel 2009-2010. Nell'ex Cirielli c'è anche una norma che tutti definiscono salva-Previti, ma è anche salva-Berlusconi: quella che consente agli ultrasettantenni di scontare la pena agli arresti domiciliari. Norma approvata quando Previti ha 71 anni e Berlusconi 69.
Nel 2006 la Procura di Milano chiede e ottiene il rinvio a giudizio di Berlusconi e Mills. L'Unione vince le elezioni e, come primo atto in materia di giustizia, pensa bene di varare l'indulto più ampio della storia d'Italia, con la scusa del sovraffollamento delle carceri. Nessuno dei trenta provvedimenti di clemenza varati in 50 anni di storia repubblicana includeva la corruzione. Il buonsenso consiglierebbe di escluderla anche stavolta, anche perché in carcere non c'è nessuno che sconti la pena per quel delitto. Ma il diktat di Forza Italia è chiaro: o si include la corruzione (anche giudiziaria) o niente. Altrimenti Previti, condannato a 6 anni per corruzione giudiziaria nel processo Imi-Sir e a 1 anno e mezzo nel processo Mondadori, dovrebbe scontarne almeno 4 e mezzo ai domiciliari: invece, con lo sconto di 3 anni per l'indulto, uscirebbe subito in affidamento ai servizi sociali. Mastella e i vertici dei partiti "liberi tutti" – Ds, Margherita, Verdi, Sdi, Rifondazione e Udc – cedono all'istante a Forza Italia e a fine luglio del 2006 approvano l'indulto extra-large. Previti esce dai domiciliari e torna libero. Tutti i condannati per delitti commessi fino al 2 maggio 2006 avranno da spendere un buono-sconto di tre anni.
Nel 2008 il processo Berlusconi-Mills è agli sgoccioli. Ma il 12 aprile l'imputato principale torna per la terza volta a Palazzo Chigi e vara subito la legge Alfano che immunizza le quattro alte cariche dello Stato, cioè lui. Il Tribunale di Milano stralcia la sua posizione in un processo separato, che viene congelato a settembre in attesa che la Consulta esamini l'eccezione sull'incostituzionalità del "lodo", e seguita a processare il solo Mills. Che viene condannato a 4 anni e 6 mesi in primo e in secondo grado per essere stato corrotto da Berlusconi. Nell'ottobre 2009 la Corte costituzionale cancella il lodo Alfano e il Tribunale di Milano rimette in pista il processo a Berlusconi (che ricomincia oggi dinanzi a un collegio diverso da quello che ha condannato Mills). Tutti attendono il verdetto della Consulta perché, se assolvesse Mills, anche Berlusconi sarebbe salvo e non dovrebbe più ricorrere ad altre leggi ad personam già in gestazione (processo breve e/o legittimo impedimento come "ponte" verso la soluzione finale: lodo Alfano costituzionale per alte cariche e ministri o, in alternativa, ripristino dell'immunità parlamentare). L'altroieri la Corte ha invece confermato che Mills (e dunque Berlusconi) il reato l'ha commesso, tant'è che l'ha condannato a risarcire la presidenza del Consiglio con 250 mila euro per i danni arrecati all'imparzialità della giustizia. Quanto alla pena, non ha potuto applicarla perché il processo è durato tre mesi di troppo: il reato si è estinto a fine 2009.
Ora, senza la ex Cirielli il reato si estinguerebbe nel 2014. Dunque Mills sarebbe stato condannato a 4 anni e 6 mesi. Senza il lodo Alfano, anche Berlusconi sarebbe stato condannato a una pena almeno equivalente, se non addirittura superiore in quanto corruttore. Senza l'indulto esteso alla corruzione giudiziaria, entrambi i condannati non beneficerebbero dello sconto di un terzo e sarebbero finiti in carcere. E, senza la norma salva-ultrasettantenni contenuta nell'ex Cirielli, Berlusconi finirebbe in carcere senza nemmeno poter chiedere i domiciliari. In più, dall'altroieri, sarebbe interdetto in perpetuo dai pubblici uffici, pena accessoria obbligatoria per legge in caso di condanna per questo tipo di reato. Dunque la giunta per le elezioni e poi l'aula della Camera dovrebbero dichiararlo decaduto da deputato e ineleggibile per sempre, come hanno fatto tre anni fa per Previti. Mai come in questo momento, Mr.B. deve rivolgere un pensiero riconoscente alla sua maggioranza e anche al grosso della cosiddetta opposizione che, ciascuna secondo le proprie possibilità, l'hanno salvato dalla galera.
 
 
 

Val di Susa, le lingue dei politicanti sono sempre in movimento

 
Valsusa NO-TAV
 
Presidio NO TAV  "La Trippa"  S. Antonino,  26 febbraio 2010

Eravamo rimasti alle cariche violente e alle "palle" raccontate da militari e da buona parte dei giornali.
Questa settimana le trivelle sono state ferme e le lingue dei soliti politici molto in movimento.
Venerdì 19 l'immediata risposta della popolazione alle cariche e in solidarietà ai due feriti, Marinella e Simone. Almeno 5000 persone in strada mobilitate in meno di 24 ore.
Intanto la Comunità Montana chiede un incontro urgente al prefetto per invitarlo a sospendere i sondaggi, sia per questioni di ordine pubblico, sia per la loro inutilità.
Ma prima del prefetto iniziano a muoversi le lingue.
Più o meno in sequenza:
Virano in missione in Francia con quello che rimane del suo osservatorio, commenta che in Valle di Susa ci sono 100 estremisti di cui 50 venuti da fuori e che con i sondaggi si deve andare avanti.
Il Pd, a nome di Esposito, emette un comunicato farneticante dove si solidarizza solo e unicamente con le forze dell'ordine; per Esposito i due manifestanti gravemente feriti e ancora in ospedale, se la sono cercata e
la Valle di Susa è ostaggio degli anarco-insurezionalisti.(?!)
Chiamparino propone sindaco Virano. Sì, avete capito bene, proprio colui che orami da anni tenta, senza riuscirci, di prendere il giro la popolazione Valsusina. Sarà per le sua capacità di raccontare bugie che Chiaparino lo
vede bene come suo successore?
La Bresso ribadisce la tesi dei pochi estremisti valsusini e giustifica il comportamento delle forze dell'ordine. Anche per lei i sondaggi devono andare avanti.
Il PDL compatto difende le forze dell'ordine e chiede di non fermarsi.
Infine il prefetto Padoin comunica a Plano, presidente della Comunità Montana, che i sondaggi vanno avanti e che non potranno essere pochi estremisti a fermare un opera come il Tav. Bravo! I politici dettano e lui esegue.
In mezzo a tutto ciò perquisizione a radio Black out, unica radio che da voce alle ragioni della Valle di Susa, e arresti di antirazzisti per reati che, se fossero poi dimostrati, possono essere puniti al massimo con multe e querele.
Ci fermiamo qui e ricordiamo solo due cose:
Sono 20 anni che la Valle di Susa si oppone al Tav. Un mese fa 40 mila persone (su 60 mila abitanti) sono scese in piazza per ribadire la loro intenzione di difendere la valle dal tav. I soliti 40 mila pochi estremisti !
Marinella: 47 anni, madre, moglie, lavoratrice, abitante, a Villarfocchiardo (Valle di Susa).
Questo è il referto medico dell'ospedale:
- ferita profonda al viso
- frattura delle ossa e del setto nasale con infossamento
- frattura del margine orbitario di un occhio
- rottura scomposta della mandibola
- ferite alla testa con trauma cranico
- ematomi alle gambe
- versamento ad un'ovaia
In quattro si sono accaniti su di lei quando era già a terra.

Per i politicanti che muovono solo la lingua è questo il metodo da perseguire ed è Marinella "l'estremista" da punire. Ci accusano di essere violenti mentre loro, "brava gente", usano questi innocui metodi: bruciare i presidi, far picchiare a sangue cittadini inermi dai militi, controllare e orientare i media, diffamarci attraverso i giornali, far minacce con lettere minatorie…. ma stanno sprecando solo fiato, tempo e soldi.

Naturalmente tutta la nostra solidarietà a chi, come Alberto Perino, in questi giorni sta ricevendo lettere con minacce di morte.
 
 
 

Il "porto delle nebbie" colpisce ancora

 
Il tappo e la toga
di Marco Travaglio

IL FATTO QUOTIDIANO   -   26 febbraio 2010   pag. 1
 
Un tempo al porto delle nebbie di Roma giravano soldi in cambio di sentenze. Dunque, in questo senso, la Procura di Roma non è più il porto delle nebbie, almeno fino a prova contraria. Ma forse è anche peggio: perchè le cose che un tempo si facevano a pagamento oggi si fanno gratis.
Nonostante la buona volontà e la professionalità di molti magistrati, il pesce puzza dalla testa, anzi nella testa: perchè il guaio è nella testa di chi è alla testa della Procura. L'altro giorno Carlo Bonini ha raccontato su Repubblica come l'inchiesta romana sulla Protezione civile fu ibernata per mesi e mesi dal procuratore aggiunto Achille Toro, in piena sintonia col capo Giovanni Ferrara, nonostante le insistenze del pm titolare del fascicolo e della Guardia di Finanza che chiedevano invano l'autorizzazione a intercettare i Bertolaso Boys.
Era già successo quando i carabinieri volevano intercettare gli spioni dello staff Storace durante le regionali 2006. Allora provvide la Procura di Milano a scoprire quel che Roma non voleva sentire. Stavolta ci ha pensato Firenze. Roma, mai. In base ai verbali dei pm e dello stesso Ferrara, ascoltati a Perugia, Bonini ricostruisce due frasi pronunciate da Ferrara nella primavera 2009 per motivare il no alle intercettazioni su Anemone e Balducci: "mancano i gravi indizi di reato per la corruzione" (si è poi visto che gli indizi abbondavano) e c'è pure una questione "di opportunità" nell'imminenza del G8 per evitare un danno all'immagine dell'Italia.
Si spera che il procuratore smentisca soprattutto la seconda frase, perchè tradisce una concezione della Giustizia che non è prevista dalla Costituzione repubblicana. Anzi, ne è esclusa. In Italia i pm hanno l'obbligo di indagare su ogni notizia di reato senza preoccuparsi dell'opportunità politica e dell'immagine del Paese. L'aggiunto Toro, potentissimo crocevia di interessi alla Procura di Roma (basta leggere il libro di Gioacchino Genchi), se l'è data a gambe quando ha capito che, diversamente dal caso Unipol, rischiava di bruciarsi le penne.
Se Ferrara, come pare desumersi da quella frase, condivideva quel concetto protettivo, castale, tutto politico e per nulla giurisdizionale della Giustizia, dovrebbe andarsene anche lui. Mentre Toro e Ferrara ibernavano il caso Bertolaso e neutralizzavano gravissimi scandali berlusconiani come i voli di Stato e il caso Saccà, partivano in quarta contro Genchi, senza competenza e senza reati, in piena sintonia col Copasir di destra e di sinistra. Qualcuno dovrà pure spiegare perchè la Procura più importante d'Italia, sotto la cui competenza ricade la stragrande maggioranza dei delitti del Potere, in 15 anni non sia riuscita a portare a termine un processo degno di questo nome a carico di colletti bianchi di un certo peso.
Perchè, avendo sotto gli occhi un Potere con percentuali di devianza da Chicago anni 30, non ha quasi prodotto altro che archiviazioni. Perchè procure marginali come Potenza o remote come Napoli (caso Saccà), Milano (caso Storace), Firenze (Bertolaso & C) scoprono più reati commessi a Roma di quanti ne scopra la Procura di Roma. Lamentarsi dopo per i presunti furti di competenza lascia il tempo che trova, quando prima si fa poco per indagare e molto per sopire e troncare. Sono vent'anni che sentiamo accusare di "politicizzazione" i pm più attivi d'Italia. Tutti, tranne i vertici della Procura di Roma, che sono proprio i più politicizzati, visto che nella Seconda Repubblica hanno seguitato a comportarsi come nella Prima: forti coi deboli e deboli coi forti.
Più che una Procura, un ministero. Infatti nessun politico ha mai osato attaccarli, nessun governo perseguitarli con ispezioni o azioni disciplinari. Infatti il Csm ha cacciato galantuomini come De Magistris, la Forleo, i salernitani Nuzzi e Verasani, e non ha mai sfiorato la palude di Piazzale Clodio. L'Anm, che in quei casi taceva o addirittura applaudiva, su Roma non ha niente da dire? Se, come dice Mieli, sta saltando il tappo, è bene che salti anche quello della magistratura. E Toro seduto non basta. Bisogna guardare un po' più in su.



Così la Capitale frenò le indagini
di Carlo Bonini

LA REPUBBLICA   -   23 febbraio 2010   pag. 1

ROMA - TRAVOLTA dall'inchiesta fiorentina, la Procura di Roma si spacca. Saltano le alchimie che l'hanno sin qui governata. E nel suo giorno più lungo, il conflitto che l'attraversa si intreccia e si spiega con quanto è accaduto in questi uffici non nelle ultime ore ma nell'ultimo anno.
Nel pomeriggio, un'assemblea dei sostituti e un comunicato provano in qualche modo a tamponare e dissimulare la sostanza della posta in gioco: «Comportamenti attribuiti a singoli magistrati (l'ex procuratore aggiunto Achille Toro) - si legge - non possono e non devono coinvolgere negativamente l'impegno e la correttezza dei magistrati di Roma».
Appaiono invece più sincere le parole con cui un magistrato di lungo corso di quell'ufficio, a sera, rende intelligibile quanto è accaduto: «Avevamo due possibilità. La prima: arrivare fino in fondo a una discussione che avrebbe finito per delegittimare oggettivamente il procuratore capo Giovanni Ferrara e avrebbe aperto un "caso Procura di Roma". La seconda: salvare Ferrara e con lui l'onore di un ufficio dove lavorano cento sostituti, provando a spiegare che esiste solo un "caso Toro". Abbiamo scelto il male minore. Oggi, dunque, diciamo che esiste solo "un caso Toro". Anche perché, sfiduciare Ferrara avrebbe significato spiegare al Paese che in questa Procura il tempo non è mai passato. Che non ci si è mai mossi davvero dai giorni del "porto delle nebbie. Il che, oggettivamente, non è poi vero».
Un «caso Toro», dunque. E non «un caso Ferrara», dicono a piazzale Clodio. Anche se la vigilia dell'assemblea di ieri e le indagini avviate dalla Procura di Perugia sembrano suggerire uno scenario diverso. A Roma, un gruppo di sostituti era pronto ieri pomeriggio a un documento di solidarietà con il Procuratore di Firenze (poi rientrato). A Perugia, una sola settimana di inchiesta ha cominciato a svelare che l'indagine sull'ex procuratore aggiunto non interpella solo le mosse di un magistrato che si vuole infedele (Toro) nei giorni in cui due Procure della Repubblica (Roma e Firenze) "scoprono" di indagare su una stessa vicenda (i grandi appalti della Protezione civile) e identici protagonisti (la "cricca"). Ma interpella (anche) le scelte del vertice della Procura di Roma nei dodici lunghi mesi in cui, a sua volta, ha indagato sulla "cricca" e gli appalti della Protezione Civile.
Una storia, questa, che comincia nel gennaio del 2009 e che è utile ricostruire proprio per comprendere che cosa davvero laceri in queste ore la Procura di Roma. Gennaio 2009, dunque. La Procura di Tempio Pausania invia per competenza a quella di Roma una notizia di reato segnalata dai carabinieri del Noe. In quel fascicolo sono allegati, insieme ad articoli di stampa sugli appalti del G8 alla Maddalena, una serie di intercettazioni telefoniche (i carabinieri ne hanno trascritte soltanto tre), avviate in tutt'altro contesto, ma in cui balla la figura del costruttore Diego Anemone. Secondo il Noe, esiste in quelle conversazioni il "fumus" della corruzione e comunque il presupposto per una "delega" ad approfondire l'indagine che valuti le responsabilità degli amministratori pubblici che sul G8 della Maddalena hanno avuto e hanno competenza. Tra loro, Angelo Balducci, che del G8 alla Maddalena è stato «attuatore» e «supervisore». Il lavoro del Noe non ha fortuna. Il procuratore aggiunto Achille Toro - il magistrato che ha la delega del pool investigativo sui reati contro la pubblica amministrazione e cui il procuratore Giovanni Ferrara è legato da amicizia, stima professionale e appartenenza di corrente (la moderata "Unicost") - ritiene quell'incarto poca cosa. Affida il fascicolo al pm Assunta Cocomello e convoca in Procura il comandante del Nucleo di polizia tributaria di Roma, il colonnello della Guardia di Finanza Vito Augelli. E' il2 febbraio 2009, quando l'ufficiale delle fiamme gialle lascia piazzale Clodio. In mano non ha nessuna delega di indagine perché - come confermano oggi a "Repubblica" qualificate fonti della Finanza, nonché gli atti in possesso della Procura di Perugia - la scelta di Toro è, diciamo così, minimale. Al Nucleo di polizia tributaria, il Procuratore aggiunto chiede infatti una semplice "ricognizione societaria" del gruppo Anemone. Poco più, insomma, che una visura approfondita del registro imprese. «Per avere un quadro più chiaro della storia», dice Toro. E' un lavoro che porta via neanche un mese e che, ovviamente, scopre l'acqua calda. Che il gruppo Anemone è una holding dalle molte società che aprono e chiudono in coincidenza con l'affidamento degli appalti e in cui, al più, si potrebbe trovare qualche irregolarità fiscale.
Siamo dunque a marzo 2009. La Finanza è convinta che all'esito del lavoro preliminare sul gruppo Anemone otterrà - questa volta sì - una delega di indagine. Ma sbaglia. Toro non vede nessuna urgenza per avviare attività di questo tipo e, soprattutto, sa di poter contare sull'appoggio del procuratore Ferrara di fronte all'insistenza del sostituto titolare dell'inchiesta, Assunta Cocomello, che, al contrario, vorrebbe partire in quarta con un'indagine se necessario anche invasiva. E' una discussione quella tra la Cocomello e Toro che - come lei stessa racconta a verbale ai magistrati di Perugia - si protrae per tutta la primavera. E che si infrange definitivamente quando la sua proposta di avviare intercettazioni telefoniche sulle utenze di Anemone e Balducci viene gelata dall'intervento di Ferrara («una normale e fisiologica dialettica con un sostituto», spiega oggi Ferrara ai magistrati di Perugia). Il Procuratore, insieme al suo aggiunto Toro, usa due argomenti. Il primo, giuridico. Il secondo, di opportunità. L'argomento giuridico - come riferisce Ferrara a verbale ai magistrati di Perugia - suona così: «mancano i gravi indizi di reato per configurare una corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio», dunque, il rischio è che il gip respinga la richiesta di intercettazioni, non ravvisandone i presupposti. L'argomento di opportunità ha invece a che fare con il calendario e l'agenda politica. Mancano in quel momento pochi mesi al G8 e - ragiona Ferrara - «un'indagine dai presupposti poco solidi» rischia di tradursi in un danno per l'immagine che il Paese si gioca alla Maddalena. Servono insomma «prudenza» e «mosse ponderate».
Il fascicolo Anemone/Maddalena va dunque in sonno. E a rianimarlo, ancora una volta, sarà la Guardia di Finanza. A settembre 2009, quegli scocciatori delle fiamme gialle notificano infatti alla Procura che la Banca d'Italia ha segnalato operazioni sospette per 800 mila euro in contanti a carico di Stefano Gazzani e tale architetto Zampolini. Guarda caso, il commercialista e il progettista del gruppo Anemone. Ci sarebbe da che animarsi e, invece, bisogna aspettare il novembre 2009 perché qualcosa si muova. Soltanto il 7 di quel mese, infatti, dopo che alla Cocomello è stato associato il pm Sergio Colaiocco (che ha sin lì lavorato all'indagine sugli appalti dei Mondiali di nuoto 2009), la Finanza ottiene semaforo verde. Non una delega di indagine in senso proprio, ma «un supplemento» di istruttoria a quella segnalazione della Banca d'Italia. I primi risultati arrivano in Procura il 15 gennaio scorso. E quindi vengono integrati il 26 e il 28 di quello stesso mese. Quei movimenti - documenta la Finanza - consentono di tirare un filo investigativo che porta da Anemone a Balducci. I pm Cocomello e Colaiocco si mettono a lavorare a una bozza di richiesta di intercettazioni telefoniche sulle utenze di Anemone e di altri protagonisti della "cricca" che verrà formalmente presentata al gip il 29 gennaio. Due giorni dopo che Ferrara ha avuto conferma che Firenze intercetta Calducci & co. da un anno e mezzo. Lo stesso giorno in cui sa che pendono richieste di arresto. Oltre un anno dopo quella prima informativa dei carabinieri del Noe. In dodici mesi, è il primo atto di indagine di Piazzale Clodio. Perché quei finanzieri che hanno visitato gli uffici di Anemone nel 2009 sono stati soltanto un incidente di percorso. Lui non lo sa ma non li ha mandati la procura, ma una visita fiscale di routine.


Rovereto (TN): spettacolo teatrale sul TAV e non solo


SPAZIO APERTO NO INCENERITORE NO TAV
 

MANGANELLUM VOLANT SCRIPTA MANENT
SPETTACOLO TEATRALE della compagnia torinese "L'interezza non è il mio forte"

Notte tra il 5 e il 6 dicembre 2005, Venaus (Valsusa). Circa 500 carabinieri e poliziotti sgomberano violentemente il presidio NO TAV nato per impedire i cantieri dell'Alta Velocità ferroviaria. Una trentina di presidianti (tra cui alcuni anziani) vengono brutalmente picchiati nelle loro tende, diversi finiscono in ospedale.
Lo spettacolo ricostruisce quella notte a partire dal testo della sentenza con cui nel giugno 2009 si è decretata l'archiviazione della vicenda "per impossibilità di identificare chi abbia effettivamente procurato lesioni".
Un testo teatrale scritto da un giudice dal nome altisonante e raccontato da un triumvirato di tempi lontani, conoscitore di imperi e di strategie imperiali...
Una storia emblematica.
Un'occasione per ricordare le ragioni di una lotta popolare contro un'opera – il TAV – che tocca da vicino anche noi.
Interverranno alcuni partecipanti ai comitati NO TAV della Valsusa
SABATO  6  MARZO  2010,  ORE 20.30
SALA FILARMONICA
ROVERETO (TN)

 

TAV a Firenze, i danni dell’arroganza e dell'affarismo


perUnaltracittà - Gruppo Consiliare Comune di Firenze
www.perunaltracitta.org   -   perunaltracitta@comune.fi.it

Comunicato stampa   -   Firenze, 26 febbraio 2010

Alta velocità, i danni dell'arroganza e dell'affarismo
Tunnel: quanti danni e quanti rischi per un'opera inutile e costosa

Sono ufficialmente 250 gli edifici classificati a rischio per i lavori del tunnel dell'Alta Velocità a Firenze. Ma sono le previsioni di chi, per compiacenza o incapacità, non è mai riuscito a prevedere nulla: dal disastro del Mugello ai danni di Bologna, la sottovalutazione dei rischi è una delle costanti dei lavori della TAV. Quindi non siamo per niente tranquilli, e non lo possono essere i fiorentini, che devono anche sapere che ottenere poi un risarcimento per i danni subiti comporterà anni di contenzioso.
Oltre ai danni, avremo un decennio di cantieri devastanti, l'inquinamento alle stelle, la salute che se ne va. Non si dica che si deve andare avanti con questo progetto per fare presto! Un'opera assolutamente inutile, che sarà pronta, se tutto va bene, intorno al 2020. Fino ad allora tutto il trasporto ferroviario fiorentino funzionerà peggio, mentre aggiungendo due binari in superficie, come indicato nel progetto alternativo messo a punto da un gruppo di studiosi e tecnici, in poco tempo e con una spesa 8 volte inferiore si avrebbe la stessa funzionalità dell'intero sistema.
In un periodo come questo non si può non pensare al sottobosco di corruzione, speculazione e ladrocinio che sta emergendo dietro al sistema degli appalti pubblici: la logica del "fare", che piace tanto anche in Toscana, senza trucco mostra il suo vero volto e appare logica dell'"affare". Come per il G8 alla Maddalena, dove si sono buttati 500 milioni in opere faraoniche per tre giorni di vertice che poi non si è fatto, così a Firenze si spenderanno 2 o 3 miliardi per un tunnel inutile. L'importante è spendere, tanto sono soldi pubblici.
Le informazioni su questo folle spreco vengono attentamente tenute sotto controllo, meno se ne sa e meglio è per chi è abituato a decidere senza un briciolo di trasparenza. Ma piano piano i fiorentini cominciano a prendere coscienza di quello che sta per succedere, e si moltiplicano i segnali di dissenso. La lotta contro il tunnel non si arresta, come nel presidio di domattina al Ponte al Pino (ore 10,30), e anche perUnaltracittà si impegna nella diffusione di una corretta informazione. Per questo mercoledì 3 marzo, alle 16,30 in Palazzo Vecchio abbiamo invitato a parlare in un incontro pubblico esperti dell'università, il comitato contro il sottoattraversamento, e i genitori degli alunni delle due scuole messe a rischio dalla nuova Stazione.


Parcheggi a Firenze: ecco chi firmò il project degli scandali

 
perUnaltracittà - Gruppo Consiliare Comune di Firenze
www.perunaltracitta.org  -  perunaltracitta@comune.fi.it

Comunicato stampa   -   Firenze, 25 febbraio 2010

Parcheggi, De Zordo: "Ecco chi firmò il Project degli scandali".

Vogliamo informare Carlo Bevilacqua, nuovo presidente di Firenze Parcheggi, che si interroga su chi abbia sottoscritto il Project degli scandali, affinché non perda troppo tempo nelle scartoffie societarie e si attivi - insieme a Sas - quanto prima a far funzionare la sosta a Firenze. Bevilacqua oggi si interroga sulla stampa con un ingenuo «Chi firmò quegli accordi?» riferendosi alla convenzione sul project Firenze Mobilità. Glieli diciamo noi i nomi, uno per uno. Era il primo ottobre del 2001. Oggi alcune di queste persone sono oggetto di indagini della Magistratura:
 
- Vincenzo Di Nardo, legale rappresentante di Baldassini-Tognozzi-Pontello e del Project 'Firenze Mobilità';
- Carlo Paolini, allora Segretario Generale del Comune, a rappresentare di fatto il sindaco Leonardo Domenici;
- Gaetano Di Benedetto, allora massimo dirigente dell'Urbanistica comunale, a rappresentare di fatto l'assessore Gianni Biagi.

La Corte dei Conti della Toscana ha già riconosciuto, con sentenza n.308/2009, il danno patrimoniale subito dal Comune di Firenze a seguito dell'approvazione – da parte di un dirigente comunale – di ben tre rendiconti annuali di Firenze Parcheggi. Ci chiediamo allora oggi, più che mai, come la gestione degli ultimi anni non rappresenti un possibile danno erariale ai danni del Comune, e quindi a danno dei fiorentini, che oltre a non avere a disposizione un moderno piano della sosta vedono il bilancio comunale impoverirsi a causa degli enormi buchi provocati dal Project financing dei parcheggi.

Infine vorremmo sottolineare come Claudio Galtieri, Procuratore regionale della Corte dei Conti, non più di 20 giorni fa ha annunciato l'avvio di una procedura di revisione dei fascicoli pendenti relativi al conferimento di incarichi e consulenze a soggetti esterni all'Amministrazione, soprattutto nell'ambito del Comune di Firenze e della Regione Toscana, per le quali pure era evidente l'assenza dei presupposti che li avrebbero dovuti legittimare. Ricordiamo, come già denunciammo in un particolareggiato Dossier su Firenze Parcheggi risalente al 2006, come proprio alcune "strane" consulenze contribuissero ad aumentare il buco di bilancio di FiPark.

Quello che chiediamo all'opinione pubblica oggi è di superare l'indignazione naturale che colpisce tutti quando la Magistratura scopre atti illegali e, in attesa dei processi, di passare al tempo della responsabilità, informandosi e non affidando più deleghe in bianco a politici e amministratori la cui condotta poco trasparente è stata per anni sotto gli occhi di tutti.
 
 
 

Smog e blocchi: 2010 come il 2008, anno nero per il PM10 a Firenze


perUnaltracittà - Gruppo Consiliare Comune di Firenze
Comunicato stampa   -   Firenze, 25 febbraio 2010
Smog e blocchi, De Zordo:  "2010 come il 2008, anno nero per il PM10 a Firenze"
Sono già 31 i giorni di sforamento delle polveri fini
 
"La situazione dell'inquinamento a Firenze non è affatto migliorata rispetto al passato, come hanno dichiarato Regione Toscana e Arpat. Al contrario, questo inizio 2010 è pessimo per lo smog: il livello di Pm10 è già stato superato per ben 31 giorni alla centralina Arpat di viale Gramsci, secondo dati aggiornati a ieri 24 febbraio". È quanto riporta la capogruppo di perUnaltracittà Ornella De Zordo, che aggiunge:  "Stiamo andando esattamente come nel 2008 (anche allora 31 sforamenti alla stessa data), un anno nero per le polveri Pm10, quando a Firenze i giorni con livello di smog oltre la soglia furono complessivamente 98". Ricordiamo che il limite consentito dall'Unione Europea e dal governo italiano è di soli 7 giorni all'anno (erano 35 fino a dicembre scorso) in cui è ammesso lo sforamento della soglia massima di 50 microgrammi per metro cubo.

De Zordo è molto critica sulla mancanza di misure complessi ve e strutturali contro gli inquinamenti e ritiene demagogica la prossima "Domenica a piedi" del Comune: "In questa situazione così pesante, un blocco limitato alla sola cerchia dei viali è inutile e ridicolo", e non nasconde perplessità anche sulle modalità e i provvedimenti contingenti che sono stati indicati dalla Regione. "Bene che la Regione e la Provincia si assumano il ruolo di promotori e coordinatori  dei Comuni nelle misure antismog contingenti – sostiene, ma meglio sarebbe stato se queste fossero state concordate e se fossero identiche per tutti i comuni, in base alla gravità dell'inquinamento delle aree, prendendo ad esempio gli stessi provvedimenti come blocchi temporanei dei diesel più inquinanti in tutta l'area vasta Firenze-Prato-Pistoia"
 
"Ricordiamo – conclude De Zordo, che proprio oggi si celebra una parte rilevante del processo in cui sono imputati l'ex sindaco Domenici e il presidente della Regione Martini, accusati di non aver preso le misure necessarie a limitare l'inquinamento. Ci aspetteremmo quindi su questo tema un maggiore impegno da parte della giunta e azioni urgenti ed efficaci per tutelare la salute pubblica dei cittadini, di cui, ricordiamo, è responsabile proprio il Sindaco della città".

 
 

Firenze, presidio NO TAV sabato 27 febbraio 2010

 
Comitato contro il Sottoattraversamento AV di Firenze
 
 
TAV a Firenze: DUE TUNNEL SOTTO LA CITTA' 15 ANNI DI LAVORI
 
  • L'utilità di questa opera è pressoché nulla per le ferrovie
  • I costi andranno fuori da ogni previsione
  • I rischi per la città e i Fiorentini sono enormi
  • Il Comitato che si oppone alla costruzione di questa opera ha verificato che la disinformazione regna in città. Per questo si invitano i cittadini ad un presidio in cui saranno diffusi materiali informativi e saranno spiegati i motivi per cui è giusto dire
 
NO AI TUNNEL DI FIRENZE
appuntamento ore 10.30
SABATO 27 FEBBRAIO 2010
PONTE DEL PINO
angolo tra via del Pratellino e via Pacinotti

 

Capo corrotto, nazione infetta

 
Capo corrotto, nazione infetta
di Alberto Asor Rosa

IL MANIFESTO   -   21 febbraio 2010   pag. 1

Un fiume di fango corre per l'Italia. Le sue acque sono alimentate soprattutto dal corpaccio immenso e immensamente ramificato dal centrodestra; ma il suo corso è talmente possente e impetuoso che, come suole, ha rotto gli argini e invaso i territori circostanti, quelli del centrosinistra, dai quali, a loro volta, provengono al fiume principale rivoli, ruscelli, scarichi obbrobriosi e maleodoranti (Bologna, Firenze, Abruzzo, Roma, Napoli....). Altro che Tangentopoli! Quello era - o sembrava - un fenomeno circostanziato e dunque particolare di corruzione di una frazione del ceto politico, fronteggiato da un forte schieramento delle forze politiche e della società civile. Oggi il fenomeno tende a generalizzarsi, abbatte i confini fra società politica e società civile, non incontra ostacoli altrettanto significativi di allora, si configura dunque come un carattere speciale, peculiare, della società nazionale italiana in questa fase storica.
La corruzione, a dir la verità, è sempre stata un connotato molto peculiare del modo d'essere nazionale italiano. Un paese dalle strutture politiche e civili estremamente fragili e dall'arrendevole senso etico-politico non poteva non coltivare la corruzione come un indispensabile e incostituibile strumento di sopravvivenza. La dominante cattolica ha fatto il resto: nulla è impossibile o illecito in un paese in cui qualsiasi colpa, qualsiasi peccato, purché confessati a chi di dovere, diventano redimibili (lo spiega benissimo non un qualsiasi miscredente arrabbiato ma Alessandro Manzoni ne I promessi sposi, nei quali, beninteso, contrappone la sua ricetta, fatta, oltre che di fede in Dio, di rigore e di osservanza dei principi, più protestante, a dir la verità, che cattolica, ma tant'è). In certi momenti speciali la corruzione esplode (perché la corruzione esplode, esplode sempre; bisogna vedere quel che succede poi). Ricordate Pirandello, le pagine impressionanti de I vecchi e i giovani, che a distanza più o meno d'un secolo sembrano scritte esattamente per il nostro oggi? «Dai cieli d'Italia in questi giorni piove fango, ecco, e a palle di fango si gioca; e il fango s'appiastra da per tutto, su le facce pallide e violente sia degli assaliti sia degli assalitori... Diluvia il fango; e pare che tutte le cloache della città si siano scaricate e che la nuova vita nazionale della terza Roma debba affogare in questa torbida fetida alluvione di melma, su cui svolazzano stridendo, neri uccellacci, il sospetto e la calunnia» (Pirandello dimostra fra l'altro che, per disegno e deprecazione della corruzione d'impronta democratica, in certe condizioni storiche si poteva anche diventare fascisti). Poi, scaricata provvisoriamente l'incontenibile soppurazione, l'infezione lenta e inesorabile riprende.

Perché Lui è popolare
Di nuovo oggi c'è che, forse per la prima volta nella nostra storia, si sono verificate una mirabile saldatura e una prodigiosa coerenza tra le forme, lo spirito e l'etica del potere e le forme, lo spirito e l'etica della società circostante. Anzi, alla domanda che spesso ci è stata burbanzosamente rivolta, com'è possibile che quest'Uomo riscuota tanto consenso, considerando la gravità e il numero delle colpe di cui viene accusato, forse una risposta sul piano storico comincia a delinearsi. Quest'Uomo è così popolare non nonostante le sue colpe ma in virtù di quelle. Una parte non piccola del popolo lo ama perché Lui lo interpreta, ne lusinga tutte le tentazioni di corruttibilità e di un radicato, anzi congenito indifferentismo morale, gli spiega che le leggi esistono per essere aggirate, contraddette, ignorate, nega oltraggiosamente il potere della giustizia, attacca i magistrati, fa capire che se ne potrebbe senza difficoltà fare a meno, mostra con l'esempio lampante della propria vita e del proprio cursus honorum che bisogna sempre e senza eccezioni farsi gli affari propri, evidenzia coram populo e senza alcuna vergogna che esistono una coerenza rigorosa e un'inarrestabile osmosi fra vizi privati e pubbliche nefandezze. Insomma, a capo corrotto nazione infetta, e, ovviamente, viceversa. Tutte queste cose, poi, in un paese come l'Italia, dove esistono tre fra le più potenti organizzazioni criminali al mondo (camorra, 'ndrangheta, mafia) - le quali a loro volta, com'è ovvio, traggono alimento anch'esse sia da quel diffuso bisogno di sopravvivenza sia dalla risposta corrotta intorno dominante - piacciono almeno a una parte abbastanza consistente dei cittadini da garantirgli una sicura maggioranza in Parlamento: quella maggioranza che a sua volta assicura che l'impunità continui e anzi si rafforzi, in un perfetto circolo vizioso che effettivamente ha pochi eguali al mondo, e che proprio perciò qualcuno altrove potrebbe essere tentato d'imitare.

Il ceto politico corrotto
E intorno? Intorno, a cerchi concentrici s'allarga la serie variegata delle risposte. La corruzione, come sistema di potere e forma di vita, stinge solo poco a poco, molto lentamente. Nei cerchi più vicini, sebbene formalmente non suoi, l'esempio e l'insegnamento dell'Uomo hanno attecchito e continuano a essere ben presenti. Voglio precisare una cosa: è della politica che parlo, non delle stravaganti esibizioni da parte di qualche transessuale brasiliano (fango, certo, sempre fango, ma della specie più miserabile e bassa). Da questo punto di vista è corrotta in nuce ogni politica che agisca sulla base d'interessi personali o di gruppo: è corruzione, nel suo senso più alto e significativo, l'autoreferenzialità spinta della politica, il suo preoccuparsi pressoché esclusivamente della preservazione e perpetuazione del ceto politico (di destra o di sinistra, non importa), che la rappresenta e gestisce. Questo è il varco, apparentemente innocuo, da cui penetra ogni ulteriore nefandezza, bisognerebbe tenerne più conto.
Da questo punto di vista (continuo il ragionamento), si salva davvero poco oggi in Italia. Dopo la recente, peraltro prevedibilissima, virata dell'astuto Tonino, il quadro si è ulteriormente semplificato. La galassia della sinistra radicale si sforza più o meno di sopravvivere indenne sul filo dell'onda fangosa che tutto travolge: anche lei, in fondo, pensa soprattutto a non sparire. Si riorganizza unitariamente, magari con ambiziosi programmi di rinnovamento, solo là dove viene spinta a calcinculo fuori dalla rappresentanza che conta: altrove s'adatta o collude.

Ma c'è chi resiste
E allora? In questa sommaria ricostruzione storica sarebbe sbagliato - e ingiusto - non rammentare che alcune istituzioni costruite nei decenni precedenti resistono. Resiste la magistratura. Resistono le forze dell'ordine: polizia, carabinieri, guardia di finanza. Basta pensarci un momento: se non ci fossero né l'una né le altre, saremmo in piena dittatura sudamericana. Resiste una parte del sindacato. Resistono, come ho avuto modo di dire più volte, meritandomene in cambio sberleffi e dileggio, la scuola. E resistono milioni di italiani, che stanno fuori di ogni sistema della corruzione e ragionano e operano sulla base di principi e valori e non d'interessi e affermazioni personali, ma non sono politicamente rappresentati, oppure, se lo sono o credono di esserlo, avvertono con disagio crescente di esserlo in forma imperfetta e sempre più compromissoria.
In Italia le grandi crisi, anche quelle indotte da un eccesso intollerabile di corruzione, sono sempre state affrontate e risolte dall'esterno. Anche la prima Tangentopoli è stata affrontata e risolta dall'esterno, anche se era un esterno che veniva dall'interno, la magistratura italiana: la politica già allora non ci sarebbe mai riuscita da sé. Oggi al contrario è la magistratura che da sola non può farcela, perché il sistema della corruzione è troppo coeso e potente, va dall'alto in basso e dal basso in alto, senza smagliatura alcuna (le dimissioni in questo paese non esistono più neanche di fronte all'evidenza più disgustosa: infatti, se una sola fosse data o una sola accettata, tutto il castello di carte verrebbe giù d'un colpo solo). Siccome è lecito dubitare che le armate anglo-americane siano in procinto di scendere nella penisola per aiutare i resistenti indigeni a restituire al paese libertà, verità, onestà e giustizia, l'ipotesi più probabile è che i cerchi meno compromessi con il sistema della corruzione si mettano d'accordo fra loro per salvare il salvabile, affidandone il compito a uno di questi uomini slavati e impenetrabili, privi di ogni carattere ma passabilmente astuti, abituati da una vita a danzare sul filo, e che precisamente il sistema della corruzione ha consentito salissero così in alto nonostante la loro mediocrità così palese.
Si cercherà cioè di affrontare il male maggiore con il male minore, in attesa che il giro ricominci. Desolante. Ma anche molto, molto italiano.

 

Firenze, inchiesta project parcheggi: segui il denaro e scopri chi ci ha guadagnato

 
perUnaltracittà - Gruppo Consiliare Comune di Firenze
www.perunaltracitta.org   -   perunaltracitta@comune.fi.it

Comunicato stampa   -   Firenze, 22 febbraio 2010

De Zordo: "Era tutto scritto, nero su bianco. Perché la politica non è intervenuta?"
Inchiesta Project Parcheggi. Segui dove va il denaro. E s
copri chi ci ha guadagnato
La capogruppo di perUnaltracittà ricorda il Dossier del 2006 e le domande poste al sindaco Domenici


Parcheggi deserti; costruzioni costate decine di milioni desolatamente vuote; interessi bancari alle stelle (con le stesse banche azioniste!); intrecci poco trasparenti tra i bilanci di Firenze Parcheggi, Firenze Mobilità e quello comunale, utilizzato per ripianare i buchi provocati da una gestione economica volta soltanto a convogliare fiumi di denaro nelle casse delle aziende private coinvolte nel business della sosta fiorentina; il ruolo di Baldassini Tognozzi Pontello; la mobilità fiorentina che restava nel caos più totale. Era il 15 dicembre del 2006, quando Ornella De Zordo presentò alla stampa il dossier su Firenze Parcheggi. Quattro anni fa c'erano già, bastava saperli leggere, tutti gli elementi, nero su bianco, per capire che qualcosa non andava nella gestione dei parcheggi a Firenze.

Il dossier del 2006
Frutto di un'attenta analisi di bilancio compiuta da un gruppo di studio interno alla lista di cittadinanza di Unaltracittà, il dossier faceva emergere chiaramente come la situazione societaria fosse grave, figlia di una cattiva gestione e di operazioni che, se a prima vista sembravano ingenue e superficiali, in realtà celavano attività che miravano a favorire i soci privati dell'azienda e non la collettività. La società per azioni Firenze Parcheggi non attraeva capitali privati, non sollecitava nessun tipo di iniziativa imprenditoriale, non si collocava sul mercato, ma andava avanti grazie a garanzie monopolistiche. Emergeva inoltre un cattivo rapporto con i lavoratori, e non va dimenticato che Firenze Parcheggi veniva vissuta dai cittadini come una mera società esattrice senza che le sue attività risolvessero, o contribuissero a risolvere, il problema della sosta e della mobilità fiorentina.

Come in un paradossale gioco a perdere, all'aumentare dei posti macchina a disposizione di Firenze Parcheggi diminuivano i ricavi, come se il vero business fosse la costruzione materiale dei tanti impianti sotterranei e non la successiva gestione utile ad una mobilità sostenibile per i cittadini. Contestualmente l'utile si dimezzava e aumentavano le provvigioni di vendita, le spese di rappresentanza, le consulenze e, soprattutto, i compensi agli amministratori della società.

I guasti del Project
Tutto apparve più chiaro con la successiva analisi del Project financing dei tre parcheggi Beccaria, Fortezza, Alberti. Lo schema è di una semplicità disarmante: Firenze Parcheggi, società a prevalente partecipazione pubblica, gestisce i tre impianti, e versa un canone a Firenze Mobilità, società a prevalente presenza privata (socio di maggioranza Baldassini Tognozzi Pontello). Peccato che il canone da versare sia così alto che non solo per i due parcheggi della Fortezza e di piazza Alberti – pesantemente sottoutilizzati – le entrate non siano sufficienti, ma neanche per piazza Beccaria, spesso completo, bastano a coprire il canone. E quindi Firenze Parcheggi, e cioè il comune di Firenze e la Regione Toscana, si indebita, mentre Firenze Mobilità, cioè Baldassini Tognozzi Pontello, riscuote puntuale milioni di euro pubblici.

Eccolo il project alla fiorentina: i rischi, gli esborsi, le perdite si accollano al pubblico, cioè a tutti noi, i guadagni, garantiti anche da previsioni gonfiate, ai privati. Sempre i soliti. Non avevamo la sfera di cristallo, abbiamo solo letto i bilanci e guardato i progetti. Come potevano e dovevano fare quelli che ora fingono di non sapere. E che ci hanno chiamato talvolta visionari, talvolta ideologici, comunque privi di una "cultura di governo" della città...

Follow the money...
Già nel 2006 si poteva quindi tranquillamente definire la gestione di Firenze Parcheggi come un vero e proprio fallimento aziendale. Da inserire nei manuali di management su come non gestire un'impresa. Tutti i parametri economici erano sballati, incompatibili con una buona gestione societaria. E l'allora sindaco Leonardo Domenici era colui che politicamente aveva la piena responsabilità di Firenze Parcheggi. La domanda vera, oggi come allora, è: A chi conveniva questa malagestione? "Follow the money" direbbe qualche giornalista d'inchiesta...

Le responsabilità politiche

Il dossier su Firenze Parcheggi era accompagnato da un'interrogazione al sindaco Leonardo Domenici che, se riletta oggi, a quattro anni di distanza, fa comprendere come era urgente sin da allora mettere pesantemente mano ad una situazione che invece ha dovuto attendere le inchieste della magistratura per essere messa all'ordine del giorno dell'agenda politica cittadina. Unaltracittà chiedeva già da allora di ripensare da zero la forma giuridica e ripartire con donne e uomini, non coinvolti in quella gestione, con le professionalità adeguate ad una gestione trasparente, utile alla comunità e condivisa dal consiglio comunale, dotata di quegli strumenti necessari per interagire virtuosamente con gli altri soggetti della mobilità cittadina.

I numeri del dossier e l'interrogazione al sindaco Domenici

In quel lontano dicembre del 2006 interrogammo quindi il sindaco Domenici sul bilancio finanziario di Firenze Parcheggi, per sapere:
se riteneva corretta la gestione 2005 della società Firenze Parcheggi che, pur disponendo sempre più di parcheggi, vedeva i propri ricavi diminuire di oltre 600.000 euro, mentre aumentavano a dismisura sia i costi di produzione, oltre un milione e 200.000 euro, che gli oneri finanziari per 125.000 euro, mentre l'utile subiva un crollo e in un anno venne quasi dimezzato, passando da oltre 3 milioni e mezzo a nemmeno due;
per quale motivo gli incassi dei parcheggi si ridussero del 4% nel 2005 rispetto al 2004, nonostante i nuovi parcheggi di Piazza Ghiberti e della Fortezza da Basso, che garantirono ben 1.000 posti auto in più;
per quale motivo sono aumentati i costi nel 2005 per servizi e godimento di beni di terzi di ben 1,6  milioni/euro (+22% rispetto al 2004); per quale motivo sono aumentate le provvigioni di vendita e le spese di rappresentanza (+71%), mentre le consulenze contabilizzano ben 520.000 euro annui e, soprattutto, perché sono aumentati i compensi agli amministratori della società (277.053 euro cioè +68%);
per quale motivo Firenze Parcheggi concesse un prestito infruttifero fino al 2010 a Firenze Mobilità per la cifra di 350.000 euro;
quali erano i motivi del mancato utilizzo di risorse finanziarie di oltre 10 milioni di euro fermi nelle casse di Firenze Parcheggi;
quali erano i motivi dei 17 milioni di euro di mutui chiesti da Firenze Parcheggi alle banche con un tasso applicato dagli istituti di credito di uno spread tra l'1,30% e l'1,90%, quindi ad un tasso superiore alla media di mercato, pur in presenza di garanzie più solide.

 
 

TAV in Val di Susa: politica di bancarotta e sangue

 
Associazione di volontariato Idra
Tel. e fax 055.233.76.65;  e-mail idrafir@tin.itweb http://associazioni.comune.fi.it/idra/inizio.html

COMUNICATO STAMPA   Firenze, 20.2.'10

TAV IN VAL DI SUSA: POLITICA DI BANCAROTTA E SANGUE.
IDRA DICE: NON È MAI TROPPO TARDI PER LEVARSI DAL BINARIO MORTO.

La notte del 17 febbraio scorso la violenza fisica si è nuovamente e pesantemente scatenata in località Coldimosso presso Susa, replicando sostanzialmente gli eventi di Venaus quattro anni fa. Il contesto è sempre quello del durissimo, annoso confronto tra la popolazione della Val di Susa avversa al TAV Torino-Lione (gente che ha scrupolosamente documentato come la "grande opera" sia inutile per l'Italia ancor prima che dannosa per la valle), e lo Stato che, nella quasi totalità delle sue articolazioni locali e centrale, la vuole invece imporre ad ogni costo poiché "non è possibile fermare il progresso e lo sviluppo".
L'associazione ecologista fiorentina Idra, che da sempre segue attentamente la vicenda TAV piemontese, affine nei contenuti progettuali a quella toscana già vissuta in prima persona, nel porgere la sua solidarietà a tutte le persone rimaste ferite esprime due brevi considerazioni:
È necessario e urgente acquisire consapevolezza che la TAV italiana nasce non per risolvere problemi infrastrutturali, ma in un preciso contesto di spreco istituzionalizzato della spesa pubblica, secondo un modello che illude di promuovere l'economia, anzi di superare la crisi, investendo in 'grandi opere' che accentuano la divaricazione sociale, immobilizzano capitali pubblici spropositati in cambio di posti di lavoro scarsi e di benefìci selettivi, lontani e improbabili, depredano le ultime risorse naturali disponibili e sfigurano il Bel Paese in nome di una concezione del progresso ferma all'Ottocento. Ma gli scricchiolii sinistri provenienti da questo sistema, ormai giunto al capolinea, sono sempre più udibili: dopo la Grecia, non pensiamo passerà molto tempo prima che la prospettiva del crack Argentina-style si manifesti anche in Italia. La TAV non fa altro che avvicinare questo momento. Sarebbe un vero peccato, perché le alternative a questa politica non mancano..: liberare le energie creative presenti nella comunità, oggi compresse dallo Stato dissipatore, dovrebbe essere il primo passo.
E' particolarmente triste constatare come – da sempre – questo tipo di politica metta uno contro l'altro il popolo che è nelle forze nell'ordine contro il resto del popolo. E i lavoratori delle "grandi opere inutili" contro il resto dei lavoratori. Ciascuno rifletta sulle proprie responsabilità.
 
 
 

Val di Susa: le cariche di mercoledì 17 febbraio 2010

 
Comitato NO-TAV Torino
posta@notavtorino.org

19 febbraio 2010

I media, forse su veline della polizia, parlano di 5 feriti, i 3 NO-TAV (col solito condimento di aggettivi anarco-insurrezio-antagon-centrosocial...) e 2 agenti. Così tutto sembra più equilibrato, asettico. Ma basterebbe aver voglia di visionare diagnosi e prognosi dei vari casi per farsi un'idea più vicina al vero. E' troppo faticoso?

VORREMMO CHIEDERE SEMPLICEMENTE TRE COSE:
 
1- se c'è qualche agente, tra quelli in servizio la sera del 17/2/10 a Susa-Coldimosso, che ricordi di aver percosso con calci e manganello una signora cinquantenne, a terra per essere scivolata, provocandole:
- ferita profonda al viso
- frattura delle ossa e del setto nasale con infossamento
- frattura del margine orbitario di un occhio
- rottura scomposta della mandibola
- ferite alla testa con trauma cranico
- ematomi alle dita ed alle braccia
- ematomi alle gambe
- versamento ad un'ovaia;
 
2 - se c'è qualcuno tra i funzionari di polizia/carabinieri/guardia di finanza che si rendesse conto che stavano succedendo cose del genere;
 
3 - o se anche stavolta, come nel 2005 a Venaus,
- nessuno ha dato ordini,
- i singoli hanno agito autonomamente
- ed è impossibile riconoscerli.

Non sappiamo se esista cura psichica capace di riportare il colpevole delle violenze alla condizione di umano.
Cerchiamo, in ogni caso, antidoti per proteggere la DEMOCRAZIA da simili agenti patogeni, già visti in ventenni lontani.

 

Solidarietà ai NO TAV della Val di Susa !

 
Comitato contro l'ampliamento dell'aeroporto di Ampugnano - Siena
Associazione Ampugnano per la salvaguardia del territorio
fax: 0577 1959091

Sovicille (Si), 19 febbraio 2010
 
Il Comitato contro l'ampliamento dell'aeroporto di Ampugnano - Siena esprime la piena solidarietà ai tanti cittadini che in val di Susa stanno resistendo all'esproprio della loro terra deciso per far lucrare un comitato d'affari.
Condividiamo la loro lotta, le loro ragioni che sono anche le nostre e quelle di tutti gli Italiani; denunciamo il fatto gravissimo successo l'altra notte, quando la polizia ha brutalmente picchiato i partecipanti ad un presidio mandandone tre all'ospedale, di cui uno in prognosi riservata.
Vorremmo anche stigmatizzare le notizie distorte o platealmente false, fatte filtrare per gettare discredito sui Valsusini, che stanno invece gettando una luce fosca sull'agire delle Forze dell'Ordine.
La violenza, le minacce, la disinformazione di chi ha solo la ragione della forza non fermeranno una lotta giusta.


Comitato contro il rigassificatore di Livorno e Pisa
http://www.offshorenograzie.it   -   offshorenograzie.it@gmail.com
 
19 febbraio 2010
 
Il Comitato contro il rigassificatore di Livorno e Pisa esprime la massima solidarietà al movimento notav valsusino. La vostra lotta è la nostra lotta, la nostra lotta è la vostra lotta.
Sarà dura (ma per loro).


 
Comitato per la difesa dell'Appennino No Tubo
(Marche, Umbria, Abruzzo, E. Romagna)
Comitatonotubo@email.it

19 febbraio 2010

Il Comitato interregionale No Tubo (Marche, Umbria, Abruzzo, E. Romagna) che si batte contro il megagasdotto che Snam retegas vuole realizzare sul crinale dell'Appennino, esprime la massima solidarieta' al movimento notav valsusino. Vi seguiamo, nonostante il silenzio delle TV. State facendo un'opera davvero grande, per tutti.

 
 

Firenze, tra le intercettazioni della Procura anche il project financing dei parcheggi

 
Le indagini
Tra le intercettazioni spunta il project nel mirino Alberti e gli altri parcheggi
Gravi indizi nei rapporti tra Btp e Palazzo Vecchio
di Simona Poli
 
LA REPUBBLICA  Edizione FIRENZE   -   19 febbraio 2010   pag. III
 
TRA le migliaia di pagine dell'inchiesta sugli appalti del G8 si trovano anche dei riferimenti alla inchiesta, aperta in precedenza, sul project financing con cui a Firenze sono stati realizzati il sottopasso di viale Strozzi e i parcheggi della Fortezza, di piazza Alberti e di piazza Beccaria. Lavori affidati a Firenze Mobilità, la società partecipata di cui era presidente l'amministratore delegato di Baldassini Tognozzi Pontello Vincenzo Di Nardo, e gestiti in una prima fase dalla stessa Firenze Mobilità e poi dalla Firenze Parcheggi, una spa dove il 51 per cento delle quote sono del Comune, fino allo scorso dicembre presieduta da Alessandro Lo Presti che dette le dimissioni per candidarsi alle primarie del Pd. Dall'intreccio di varie indagini e dalle ripetute proroghe delle autorizzazioni ad intercettare i cellulari di persone coinvolte nell'inchiesta sul project, secondo gli investigatori, «risulta in tutta evidenza l'esistenza di un forte legame tra i soggetti che gestiscono la Btp e soggetti appartenenti sia all'amministrazione comunale che alla società Firenze Parcheggi».
In particolare le vicende esaminate negli atti riguardano «la gestione del parcheggio di piazza Alberti, gli altri parcheggi, i rapporti tra Vincenzo Di Nardo con i funzionari architetti del Comune Maurizio Talocchini e Emanuele Crocetti» e altri cantieri. In più altre intercettazioni mirano a chiarire i rapporti «tra la società Btp e Gaetano Di Benedetto», funzionario dell'Urbanistica di Palazzo Vecchio. I Ros ricavano «gravi indizi in ordine ai reati di corruzione (articoli 319 e 321 codice penale) e associazione a delinquere (articolo 416) finalizzata a commettere più delitti di volta in volta funzionali a far conseguire ingiusti profitti alla società Firenze Mobilità Spa, con particolare riferimento ai soci costruttori, ovvero direttamente in favore della Btp, ed in particolare delitti di truffa ai danni di Firenze Parcheggi Spa, quale socio gestore dei parcheggi realizzati da Firenze Mobilità e quale ente appaltante del parcheggio di piazza Ghiberti. Delitti di corruzione di incaricati di pubblico servizio per ottenere i favori dell'amministratore delegato di Firenze Parcheggi, anche attraverso la nomina di professionisti e periti che di fatto lavoravano per Firenze Mobilità». Dall'indagine sul project scaturisce la nuova inchiesta sul G8 e i Grandi Eventi. E' così che l'11 febbraio 2008 Di Benedetto intercettato commenta preoccupato il fatto che la dottoressa Francesca Cassandrini (dirigente dei servizi finanziari del Comune, ndr) sia stata convocata in Procura: «...va malissimo! ... (...) ... eh!... la macchina si è messa in moto... (...) ... ieri è arrivato l'avviso di comparizione alla Cassandrini e a poco a poco si fanno sentire gli... (inc) ...(..) ... no comment!... (inc)... allora ... la Tea (l'assessore Albini, ndr) è andata ... (...) ... ed ha scoperto che loro hanno tutto ... cioè ... oltre i cantieri.. direttamente la Guardia di Finanza ... il mandato di cattura ... dopodiché .. non si capisce bene che cos'è... quindi... mi... ci... toccherà anche me... che devo fare ?!... a me dispiace... soprattutto ora... usano rompere i coglioni...». Giorni prima, il 7 febbraio, sempre Di Benedetto chiama in causa l'assessore all'Urbanistica Gianni Biagi: «novanta su cento se le cose si mettono in maniera pesante ... Biagi ... non torna tanto a galla ... va be'... pazienza ... (...)... poi dicono di me... "mangia tutto con il direttore"... (ride) perché lui ha paura che ... su di me si riverberi negativamente su di lui...». E il 4 marzo ancora Di Benedetto, parlando dei rappresentanti del Comune: «ma cosa ho fatto io per questi!... ma li ho coperti all'inverosimile ...(...) ... meglio che sto zitto... perché se no...».
Tea Albini, ora semplice consigliere comunale del Pd, difende il suo operato di assessore al Bilancio incaricato di seguire il project e ricorda che lei fu ascoltata dalla Procura come persona informata dei fatti e che fu lo stesso lo stesso «sindaco Domenici il 23 marzo 2005 ad inviare ai magistrati anche gli atti relativi alla realizzazione del parcheggio del piazzale Caduti dei Lager». In questa vicenda, insomma, il sindaco è parte offesa. Parlando al consiglio comunale il 3 marzo 2008 Albini ripercorse ogni dettaglio della lunga vicenda e sottolineò come «a tutela degli interessi dell'amministrazione Comunale, venne sospeso il pagamento di quanto era stato riconosciuto a Firenze Mobilità». Evidentemente, aggiunse, «questa decisione scaturì dalle verifiche effettuate e dalla conseguente necessità di revisione del contratto di concessione del project e del relativo piano economico finanziario complessivo».
Che qualcosa non quadrasse, quindi, si era già capito due anni fa. E oggi il sindaco Matteo Renzi prende le distanze dall'intera operazione.

 
 

La Triarchia dell'emergenza

 
La Triarchia dell'emergenza
di Giuseppe D'Avanzo

LA REPUBBLICA   -   19 febbraio 2010   pag. 1, 10, 11

DEFLAGRA lo scandalo della Protezione civile e Silvio Berlusconi urla ai magistrati "Vergognatevi!" e, in fretta, corre a nascondersi per sette giorni tra le quinte. Si defila. Sta alla larga, muto come un pesce. Ben protetto, attende gli eventi e ora che il fondo "gelatinoso"- familistico, combriccolare, spregiudicato, avidissimo - è in piena luce, il premier avverte il pericolo, come un fiato caldo sul collo. Può scoppiargli tra le mani, quest'affare. Prova a uscire dall'angolo. Rinuncia a trasformare in un soggetto di diritto privato, in una società per azioni, le "funzioni strumentali" della Protezione civile. Abbandona la pretesa di garantire l'impunità amministrativa a chi la governa. Accantona l'idea di imporre al Parlamento un altro voto di fiducia. Si accorge che quei passi indietro non sono sufficienti. Non lo proteggono abbastanza da quel che si scorge nel pozzo nero dove si sono infilati molti dei suoi fedelissimi, addirittura il coordinatore amatissimo del suo partito. Si decide a una proposta che, fiorita sulla sua bocca, appare avventurosa: "Chi sbaglia e commette dei reati non può pretendere di restare in nessun movimento politico" (se non se stesso, quanti del suo inner circle dovrà escludere dal Palazzo?).
Al di là del messaggio promozionale che, vedrete, durerà il tempo della campagna elettorale, il premier si sente interrogato e coinvolto dallo scandalo.
Finalmente, perché il modello del trauma e del miracolo, dell'emergenza risolta con un prodigio - non è altro che questo la Protezione civile - è il fondamento della "politica del fare", la strategia che glorifica una leadership politica che ha in Gianni Letta la guida burocratico-amministrativa e in Guido Bertolaso il pilota tecnocratico. Il destino dell'uno è avvinto alla sorte dell'altro, degli altri, come in un indistricato nodo gordiano perché il sistema della Protezione civile è il prototipo del potere che Berlusconi pretende e costruisce. E' il dispositivo che anche pubblicamente Berlusconi invoca quando dice: "Per governare questo Paese ho bisogno dei poteri della Protezione civile".
La storia è nota, oramai. Il sovrano decide l'eccezione rimescolando l'emergenza con l'urgenza e infine l'urgenza con l'ordinarietà.
Nel "vuoto di diritto", cade ogni regola. Si umilia la legge. Il governo può affermare l'assolutezza del suo comando. Lo affida alla potenza tecnologica della Protezione civile, libera di decidere - al di là di ogni uguaglianza di chances - progetti, contratti, direzione dei lavori, ordini, commesse, consulenze, assunzioni, forniture, controlli. La scena è ancora più vivace se si rileggono le parole del bardo televisivo del premier: "Piaccia o non piaccia, Berlusconi è l'uomo del fare. Sbuffa contro le lentezze di un sistema bicamerale perfetto e si rifugia nei decreti legge. Lamenta gli estenuanti dibattiti parlamentari e propone di far votare solo i capigruppo. Si sente imbrigliato nei vincoli costituzionali che il presidente della Repubblica (e ora anche quello della Camera) gli ricordano. Ma appena arriva un'emergenza rinasce. Perché rinasce? Perché emergenza chiama commissario e il commissario agisce per le vie brevi, saltando le procedure. Guido Bertolaso e Gianni Letta si ammazzano di lavoro, l'uno sul campo, l'altro nelle retrovie di Palazzo Chigi. Ma il commissario ideologico è il Cavaliere. ... Quando va a L'Aquila, Berlusconi si siede con gli uomini della Protezione civile e guarda carte, rilievi, progetti. Niente doppie letture parlamentari in commissione e in aula, niente conferenze di servizi, niente rallentamenti burocratici, niente fondi virtuali" (Bruno Vespa, Panorama, settembre 2009).
Adesso sappiamo che cosa si è mosso e ritualmente si muove dietro l' emergenza, sia essa il G8 alla Maddalena, i rifiuti di Napoli, il terremoto dell'Aquila o i festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità d'Italia. Berlusconi, "commissario ideologico", laboriosamente chino su "carte, rilievi e progetti" è un'immagine che bisogna ricordare. Racconta una presenza e una responsabilità. Spiega meglio di tante parole perché - ora che quel potere assoluto si scopre corrotto - lo scandalo della Protezione civile è lo scandalo di una leadership politica, il dissesto della "politica del fare", lo smascheramento della materia di cui è fatta, di un metodo, degli uomini che lo interpretano. Nel cerchio infimo della responsabilità troviamo gaglioffi che ridono di tragedie e lutti che presto diventeranno - soltanto per loro - fortuna e ricchezza; funzionari dello Stato che barattano i loro obblighi per i favori di una prostituta; giudici costituzionali in società con imprenditori malfamati; segretari generali di Palazzo Chigi che esigono prebende e benevolenze perché sanno di poterle pretendere (è a Palazzo Chigi, nella stanza di Gianni Letta, che tutto si decide e quindi...); un corteo di mogli, cognati, figli, fratelli - rumoroso e vorace come una nube di cavallette - in cerca di collocazione, incarichi, provvigioni, affari, magari soltanto uno stipendiuccio da incassare senza troppa fatica. Qualche malaccorto minimizza: non è una notizia che politici e amministratori si interessano di appalti. L'argomento dovrebbe chiudere il discorso, lasciare cadere in un canto che quegli appalti interessavano soltanto alcuni, sempre gli stessi, e non il mercato, non i migliori, non la pubblica utilità; far dimenticare che dove non ci sono regole, dove non soffia l'aria fresca dell'attenzione e della critica pubblica è inevitabile che "cresca come un fungo una corruzione senza colpa".
Una corruzione senza colpa è quel che si scorge a occhio nudo nello scandalo della "politica del fare", al di là di ogni indagine giudiziaria, come se le condotte di quegli uomini di Stato e civil servant e professionisti e imprenditori fossero necessitate, come se le loro azioni fossero, più che una libera decisione, "un adempiere, un 'riempire' tasselli già pronti". Costretti in un "sistema", come può esservi responsabilità e castigo? In qualche modo, è vero perché "di rado un individuo si rende colpevole da solo", ha scritto Joseph De Maistre.
Le ragioni di quelle responsabilità devono essere rintracciate in un cerchio più alto, allora, nella triarchìa (Berlusconi, Letta, Bertolaso) che ha voluto e creato un metodo, ne ha amministrato le condizioni e i risultati, ha lasciato un salvacondotto a quei comportamenti storti. E' per questo che oggi Bertolaso e Letta devono mentire o dissimulare (non sapevamo, non siamo stati informati, siamo stati informati male) e Berlusconi deve lamentare che i suoi due collaboratori "sono stati ingannati". Bene. Ammettiamo che siano stati imbrogliati davvero e chiediamoci: Bertolasoe Letta hanno avuto la possibilità di non lasciarsi ingannare? Sono stati messi nella condizione di sapere e provvedere? Non dallo zibaldone delle intercettazioni, ma dalle stesse parole di Bertolaso si può trarre la conferma di una consapevolezza delle manovre smorte e della necessità di non punire per salvaguardare il "sistema".
Dice Bertolaso: "A un certo punto, ho scoperto che alla Maddalena dei lavori, che avevamo previsto costassero 300 milioni di euro, stavano per essere appaltati a 600. Incaricato della pratica era un certo De Santis. Io ho capito che qualcosa non tornava. Ho allontanato De Santis" ( il Giornale, 14 febbraio).
Dunque, salta fuori che l'ingegnere Fabio De Santis, "soggetto attuatore" dei progetti del G8 - Bertolaso finge di non sapere chi è, anche se lo ha scelto direttamente - potrebbe essere disonesto. Lo sostituisce. Non segnala a nessuno il suo sospetto o le sue certezze nemmeno quando Fabio De Santis, pur privo delle qualifiche idonee (non è un direttore generale), è nominato provveditore alle opere pubbliche in Toscana e Umbria, dove diventerà il perno di un "sottosistema" che ha il cardine politico nel coordinatore del Partito delle Libertà, Denis Verdini, e l'asse imprenditoriale in Riccardo Fusi della Baldassini-Tognozzi-Pontello. A livello locale, si riproduce un triangolo speculare e simmetrico a quel che governa lassù in alto, a Roma.
Bertolaso sa di non poter denunciare quel "certo De Santis" perché il sistema che sostiene la strategia dell'emergenza e il "fare" è oligarchico, protetto, "chiuso". Egli ne è parte costituente e perno essenziale. Sa del familismo di un altro "soggetto attuatore", Angelo Balducci, ma come denunciarlo se egli stesso, il gran capo della Protezione civile, il leader tecnocratico del "fare" berlusconiano, chiama al lavoro, dovunque operi, il cognato? Bertolaso sa dove si trova, sa qual è il suo mestiere e la sua parte in commedia, è consapevole di quali fili che non deve toccare, delle richieste che deve soddisfare.
Ancora un esempio, per comprendere meglio. E' tratto non dai brogliacci dei carabinieri, ma dal lavoro giornalistico. Si sa chi è Gianpaolo Tarantini. E'il ruffiano che ingaggia prostitute per addolcire le notti di Silvio Berlusconi. Si sa che Tarantini vuole lucrare da quella attività affari e ricchezza. Chiede al capo di governo di incontrare Bertolaso. Gli vuole presentare un suo socio o protetto, Enrico Intini, desideroso di entrare nella short list della Protezione civile. Berlusconi organizza il contatto. Bertolaso discute con Intini e Tarantini. Quando la storia diventa pubblica, Bertolaso dirà: "La Protezione civile non ha mai ordinato né a Intini né a Tarantini l'acquisto di una matita, di un cerotto o di un estintore". E' accaduto, per Intini, di meglio.
Peccato che Bertolaso non abbia mai avuto l'occasione di ricordarlo. L'impresa di Intini ha vinto "la gara per il nuovo Palazzo del cinema di Venezia, messa a punto dal Dipartimento guidato da Angelo Balducci, appalto da 61,3 milioni di euro". Scrive il Sole 24 ore: "La gara ha superato indenne i ricorsi delle imprese escluse e dell'Oice (organizzazioni di ingegneria) in virtù delle deroghe previste per la Protezione civile". Anche per Tarantini non è andata male. Ha una società che naviga in cattive acque, la "Tecno Hospital". La rileva "Myrmex" di Gian Luca Calvi, fratello di Gian Michele Calvi, direttore del progetto C.A.S.E., la ricostruzione all'Aquila di 183 edifici, 4.600 appartamenti per 17mila persone con appalti per 695 milioni di euro. Come si vede, forse il ruffiano di Berlusconi e il suo amico non hanno venduto alla Protezione civile una matita, ma la Protezione civile, direttamente o indirettamente, qualche beneficio a quei due glielo ha assicurato.
Shakespeare ha scritto che per un governante "lasciare al misfatto (evil) un qualche compiacente lasciapassare - invece di colpirlo - è l'equivalente di averlo ordinato" (Misura per misura). E' quel che si vede nello scandalo della "politica del fare". Chi governa, vede e sa. Lascia correre, chiude gli occhi e si volta dall'altra parte per proteggere un "sistema" che privatizza l'intervento dello Stato, chiudendolo nel cerchio stretto delle famiglie, degli amici politici, dei compari di convivio. Non si discute di responsabilità penali (se ci saranno, si vedrà, e poi quasi mai per capire e giudicare bisogna attendere una sentenza). E' in discussione un "sistema", un dispositivo di potere, chi lo ha creato, l'affidabilità di chi lo governa, la responsabilità di decisione e controllo che Berlusconi, Letta e Bertolaso si sono assunti dinanzi al Paese.
Gianni Letta, governatore della macchina burocratico-amministrativa in nome di Berlusconi, sarà anche stato distratto quando Angelo Balducci è asceso alla Presidenza del Consiglio superiore dei lavori pubblici (ora è in galera) o quando quel "certo De Santis" è stato destinato alle opere pubbliche della Toscana e dell'Umbria. Il sottosegretario alla Presidenza del consiglio, candidato dal presidente del consiglio alla Presidenza della Repubblica, sarà stato anche "informato male" quando ha detto che non ha mai lavorato in Abruzzo (ci ha lavorato fin dalla prima ora), quel furfante che rideva mentre, alle 3,32 del 6 aprile del 2009, 308 aquilani morivano, 1.600 erano feriti e 63.415 restavano senza casa, ma ci si deve chiedere allora: quante volte Gianni Letta è stato "informato male" o è stato distratto negli anni dello "stato d'eccezione"? Lasciamo cadere ogni ipotesi di complicità o favore (e in alcuni casi è impossibile non scorgerla), come si possono conciliare i poteri assoluti della triarchia con l'irresponsabilità con cui ha assolto al suo dovere? Né vale dire che all'Aquila i poteri straordinari della Protezione civile si sono rilevati efficienti. Come purtroppo si rendono conto gli aquilani, la "politica del fare", giorno dopo giorno, sta mostrando quel che era: miracolismo mediatico. Un modello centralista e autoritario - il prototipo del potere berlusconiano - ha trasformato un'antica città con un sistema urbano delicato e un centro storico prezioso e vitale (perderà due terzi degli abitanti e nulla si sa delle strategie e dei piani per farlo rivivere) in un deserto di venti periferie e quartieri satellite che travolgono i luoghi, la memoria, i legami sociali, deformandone l'identità culturale, pregiudicando un futuro a cui è stata promessa "la ricostruzione" e ha ottenuto soltanto un progetto edilizio e nulla più. Ma questa è un'altra storia che presto saranno gli stessi aquilani a raccontare. C'è da credere che saranno loro, gli aquilani, a spiegare agli italiani con il tempo e la loro infelice esperienza che cos'è davvero la "politica del fare", perché lo scandalo della Protezione civile è il tracollo di un prototipo di potere, il più clamoroso fallimento dell'"uomo del fare".
 
 
 
Oggi di fronte a Montecitorio, sede della Camera dei Deputati, i comitati dei cittadini dell'Aquila e di Chiaiano (Na) hanno organizzato una manifestazione di protesta. Video a questo indirizzo internet: