Il commento
Il Cavaliere, il Vaticano e la congiura contro Boffo
di Giuseppe D'Avanzo
LA REPUBBLICA - 3 febbraio 2010 pag. 1
C'E' STATO, dunque, dentro le gerarchie di Santa Romana Chiesa una cospirazione. Il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, muove contro la Conferenza Episcopale Italiana di Angelo Bagnasco. Francesco Cossiga - con l'occhio lungo di chi è abituato a vedere nel sottofondo dei poteri - rivela le ragioni per tempo. Il presidente emerito della Repubblica, adeguatamente informato, anticipa tutti, quasi disegna nel minuto ciò che accadrà presto, le teste che cadranno, le forze in campo, la posta politica in gioco. Berlusconi è sotto tiro. Ci si è cacciato da solo, in un angolo, festeggiando una minorenne. La sua vita sconveniente piace poco o punto alle parrocchie e ai parroci, che non tacciono imbarazzo e amarezza in lettere all'Avvenire. Il monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Cei, ascolta quelle voci e lamenta: "Assistiamo a un disprezzo esibito nei confronti di tutto ciò che dice pudore, sobrietà, autocontrollo e allo sfoggio di un libertinaggio gaio e irresponsabile che invera la parola lussuria. Nessuno deve pensare che in questo campo non ci sia gravità di comportamenti o che si tratti di affari privati; soprattutto quando sono implicati minori, cosa la cui gravità grida vendetta al cospetto di Dio" (6 luglio, Ferriera di Latina).
Cossiga prende di petto il segretario della Cei: "Si è passato il segno. Altro che "festini e libertinaggio": sarebbe bastata una dichiarazione sull'etica, riferita alla situazione generale, come si è sempre fatto". Insistere su questi temi, ragiona Cossiga, svela "una spaccatura che riguarda la politica, non l'etica". Ecco la scena che egli vede: "Vogliono tenersi buona una parte dell'episcopato e del movimento ecclesiale, vicino al centro-sinistra. Hanno puntato sul Pd di Franceschini, tirano la volata all'unico leader post-dc rimasto. Se il direttore dell'Avvenire vanta che, all'interno del suo giornale, ognuno decide liberamente a chi devolvere l'8 per mille, siamo in presenza di un gruppo in dissidenza non con il centro-destra, ma potenzialmente con la parte della Chiesa che fa capo al Papa". Cossiga è brutale con il direttore dell'Avvenire: "Non riesco a dare nessuna spiegazione agli scritti del non reverendo Boffo che, posto inopportunamente alla direzione del giornale pur sempre organo ufficiale della Cei, dovrebbe astenersi da questi continui attacchi, dovuti in parte alle sue note preferenze politiche, ammantate da scelte religiose" (il Giornale, 24 agosto).
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Le parole di Francesco Cossiga raccontano a chi ha orecchie per intendere (1) perché il giornale del capo del governo colpisce qualche giorno dopo Dino Boffo; (2) per chi suona la campana della sua character assassination; (3) chi deve trarre vantaggio dallo scandalo che è già in cottura. Berlusconi è in bilico, pericolosamente fragile. Lo rendono vulnerabile le sue abitudini. Lo indeboliscono i comportamenti privati. Ancor più lo debilitano le reazioni paralizzate che oscillano dalla menzogna pubblica a un silenzio impotente, screditandolo sulla scena internazionale e tra il suo elettorato. Lo segnalano i sondaggi. I consiglieri politici che gli sono accanto comprendono che, se anche i vescovi italiani gli muoveranno pubblicamente contro - come lascia credere l'intervento del segretario della Cei - il capo del governo sarà fritto, la sua stagione politica arriverà a un triste capolinea.
In questo campo di tensioni politiche, religiose e linee di forza, più schiettamente, di potere, il direttore dell'Avvenire Dino Boffo diventa il magnete che attrae l'intero spettro delle reazioni alla situazione critica; l'obiettivo contro cui si scarica il desiderio della Curia romana di regolare i conti con un episcopato reso troppo autonomo dalle politiche di Camillo Ruini; la volontà del segretario di Stato Tarcisio Bertone di sostenere il periclitante Silvio Berlusconi e di riprendere nelle sue mani la guida della Chiesa italiana; la determinazione del Cavaliere ad aggredire "colpo su colpo", chiunque - familiare, alleato, oppositore, editore, giornalista - gli si pari davanti, critico. Scannare Dino Boffo, come sempre accade al capro espiatorio, è una lucidissima necessità terapeutica. È un esercizio che aggira le contraddizioni che non si riescono a risolvere (può una Chiesa che chiede "pudore, sobrietà, autocontrollo" affidarsi a un "libertino irresponsabile"?). È la manovra che consente di rinviare la soluzione del problema (possono i cattolici italiani guardare con fiducia e rispetto a Berlusconi?). È la mossa che può liquidare dal proscenio un "uomo-istituzione", per di più laico, cui i gerarchi ecclesiali, con il rancore di molti, hanno affidato il governo dell'intero media-system cattolico, l'Avvenire, Sat 2000, la televisione sulla quale la Cei riversa importanti risorse, InBlu, il network radiofonico di ben 200 radio. Sul capo di Dino Boffo si precipitano un odio e un risentimento assoluti. Si intravedono molte mani al lavoro e sempre le loro mosse sono intenzionali.
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Sulla scena appaiono ora i congiurati. Sono stati chiamati in causa, in questi giorni. Bisogna dirne il nome e il cognome. Sono il segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Il direttore dell'Osservatore romano, Gian Maria Vian. Le informazioni distruttive si possono raccogliere, fabbricare o distorcere isolando un fatto vero dal suo contesto e manipolandolo con cura. È la politica dello scandalo. Ha i suoi protocolli. Vengono rispettati anche in questo caso. Per distruggere Dino Boffo, i congiurati hanno a disposizione una muffa. La si conosce da cinque anni: una condanna penale per molestie che il direttore dell'Avvenire, per proteggere un suo assistente, ha accettato rifiutando il giudizio e l'appello. Può non bastare (è roba già vista, è aria fritta) e, dunque, grazie ai buoni uffici di un qualche spione (secondo fonti vicine a Boffo, un professore dell'Università Cattolica di Milano), "Sua Eccellenza" chiede informazioni. Le riceve. Trenta righe, precedute dalla dicitura "Riscontro a richiesta di informativa di Sua Eccellenza". Nel testo si legge la calunnia che taglierà la testa al capro espiatorio ricomponendo l'ordine compromesso: "Il Boffo è un noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni e gode indubbiamente di alte protezioni, correità e coperture in sede ecclesiastica". Il veleno assassino è pronto. Ora bisogna provocare una "fuga di notizie" rimanendo fuori della mischia e lasciando che il lavoro sporco sia completato dai giornali.
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L'azione intenzionale di chi, "primo ministro" (Bertone), pretende un riequilibrio di poteri che ridimensioni l'autonomia della "Chiesa nazionale italiana", perché "non ci possono essere "piccoli vaticani" sparsi nei cinque continenti" (Vittorio Messori), incrocia il disegno del presidente del Consiglio che, in estate, ha riorganizzato la sua "mischia mediatica", ha deciso di muovere contro i suoi avversari, autentici e presunti. Ha stilato una lista di nemici e vuole demolirli. Licenzia quelli tra i suoi che gli appaiono incerti. Vuole sicari pronti a sporcarsi le mani. Che il piano sia questo, lo svela Mario Giordano, costretto a lasciare la direzione del Giornale: "Nelle battaglie politiche non ci siamo certi tirati indietro (...) Ma quello che fanno le persone dentro le loro camere da letto (siano essi premier, direttori di giornali, editori, ingegneri, first lady, body guard o avvocati) riteniamo siano solo fatti loro. E siamo convinti che i lettori del Giornale non apprezzerebbero una battaglia politica che non riuscisse a fermare la barbarie e si trasformasse nel gioco dello sputtanamento sulle rispettive alcove" (il Giornale, 21 agosto). Giordano non poteva essere più chiaro: l'editore e premier mi ha chiesto di fare del mio quotidiano una bottega di miasmi, per decenza non me la sono sentita e lascio l'incarico a chi quel lavoro sporco è disposto a farlo.
Vittorio Feltri, il nuovo arrivato, è disposto, altro che. Scrive che "il suo fucile è carico". Gian Maria Vian lo avvicina. Gli fa consegnare il dossier manipolato, "autenticandolo". Lo rassicura: è un'iniziativa voluta dal cardinale Bertone. A delitto consumato, il segretario di Stato telefonerà a Feltri (secondo una confidenza sfuggita a Boffo con i suoi collaboratori) ringraziandolo per "aver reso un servizio alla Chiesa e al Papa". Ma non è la Chiesa che il direttore del Giornale vuole servire. Egli è al servizio del suo editore e di una nuova strategia politica che altera il giornalismo in calunnia. Una tecnica di minacciosa disinformazione che vuole terrorizzare gli avversari politici, intimorire tutti affinché chiunque smarrisca "la serenità di lavorare" e i giornalisti "la possibilità di raccontare senza doversi aspettare ritorsioni" (Roberto Saviano). Quando ascolta Vian, il nuovo direttore sa bene qual è la sua missione. Non si prende nemmeno la briga di dare un'occhiata a quelle carte false (falsa è la "nota informativa" che offrirà al suo pubblico come documento giudiziario). Le pubblica. È il 28 agosto del 2009.
Dopo cinque mesi la menzogna che, nel mondo meraviglioso di Silvio Berlusconi, nasconde la realtà vuole farci credere che l'"assassinio" di Dino Boffo è stato ideato e consumato soltanto nelle stanze vaticane. Dovremmo dimenticare oggi che sulla scena di quel delitto ci sono anche le impronte del Cavaliere. La character assassination del direttore di Avvenire (mai illuminata nei mandanti e nei moventi da alcun giornale) è l'esito di due azioni intenzionali che, come Cossiga ci ha spiegato in anticipo, sono state organizzate per dare "a ciascuno, il suo". A Tarcisio Bertone il governo (anche politico) dell'episcopato italiano. A Silvio Berlusconi, una via d'uscita da guai che, con l'abbandono della Chiesa, potevano travolgerne il destino. Una eccellente occasione di rappresentarsi come un potere che, nelle difficoltà, non avrebbe rinunciato a mostrare - con i dossier, l'intimidazione, di lì a poco colpiranno Napolitano, Fini, la Corte Costituzionale - la violenza pura che custodisce.