Il quadrilatero politica-affari-mafia-massoneria / 2


Nel nome di Letta
L'incontro a Palazzo Chigi con l'imprenditore Fusi e il Consorzio che si aggiudica un appalto da 12 milioni per il post-terremoto
di Antonio Massari

IL FATTO QUOTIDIANO   -   17 febbraio 2010   pag. 2

Uno dei momenti chiave dell'inchiesta sulla Protezione civile, una delle piste investigative che portano a Denis Verdini – il coordinatore Pdl accusato di concorso in corruzione – è rappresentato dal 14 maggio 2009: in quel giorno Gianni Letta incontra Riccardo Fusi, della società BTP, in strettissimi rapporti proprio con Verdini. L'intera vicenda vede al centro proprio Letta, il cerimoniere "grande sponsor" proprio di Bertolaso e trait d'union di tante relazioni: gentiluomo di sua Santità – assieme a Balducci, va ricordato – e con una sorella commissario straordinario Croce Rossa per l'Abruzzo. Quel Letta che solitamente molto taciturno in questi giorni di bufera d'inchieste è parso insolitamente loquace: difendendo a spada tratta il n. 1 della Protezione civile innanzitutto.
Ma torniamo a quel 14 maggio. Perché è dopo quell'incontro, a giudicare dalle intercettazioni, che, per il "Consorzio Federico II", nato in quei frangenti, la strada si fa tutta in discesa. Tanto da aggiudicarsi, di lì a poco, appalti tra i 10 e i 12 milioni di euro, nella gestione del post terremoto aquilano. Il Consorzio lavorerà alla realizzazione di due scuole, al restauro di una caserma e – fatto interessante – agli interventi nel palazzo della Cassa di Risparmio della Provincia de L'Aquila, dove risiede l'istituto bancario, e nel palazzo Branconi Farinosi, che è sempre della stessa banca. L'11 maggio, alle 10.39, Fusi "premettendo che ci sono concrete probabilità di successo per la loro comune operazione, facendo riferimento all'acquisizione di appalti riferiti alla ricostruzione post-terremoto, rappresenta al geom. Liborio Fracassi che è inopportuno andare in quattro persone all'incontro previsto per il giorno dopo (martedì 12 maggio)". Poche ore dopo chiede "al suo collaboratore Rossi Leonardo di indicargli la loro quota di partecipazione in una società "del Verdini". Segno che tra i due c'è una cointeressenza d'affari. In serata, con un sms, informa tale Fracassi dell'appuntamento per il giorno dopo: "Appuntamento a Palazzo Chigi alle 17:30". E precisa, dopo soli tre minuti, sempre con un sms, "che l'indomani certamente all'incontro potrà partecipare il direttore della Cassa di Risparmio de L'Aquila (Rinaldo Tordera)".
Tre giorni dopo, a L'Aquila, sarà effettivamente costituito il Consorzio Federico II. Un consorzio – si legge negli atti – che non ha fini di lucro, ma di promozione delle integrazioni tra i soggetti consorziati mediante la proposizione, il coordinamento e la gestione delle attività degli stessi nell'ambito delle seguenti iniziative: studio, promozione e partecipazione a gare d'appalto di lavori, forniture di servizi pubblici o di interesse pubblico. Nel suo consiglio direttivo, molte delle persone nominate o contattate da Fusi, a ridosso, o immediatamente dopo l'incontro con Letta: Ettore Barattelli, Enzo Marinelli, Liborio Fracassi, Giulio Vittorini.
Alle 17:17 del 12 maggio, Fusi chiama una sua amica "… sono qui a Palazzo Chigi… sono da Letta qui...". Non passa un'ora che Fracassi lo chiama "per riportargli la viva soddisfazione degli amici aquilani – scrivono gli investigatori – facendo evidentemente riferimento all'esito dell'incontro a Palazzo Chigi che si è appena concluso". "Sono tutti soddisfatti", dice Fracassi, "le sue lodi all'infinito... (…) allora... abbiamo fissato per domani alle 15:00 a Roma ... c'è anche Vincenzo Di Nardo ... con il loro commercialista... viene pure Ettore... (inc.) ...tutte le cose al meglio... (…) …sìi... sì... ma infatti gli ho detto... adesso proprio ho rotto le scatole abbastanza a tutti quanti... ad Angelo... e noi domani a tutti i costi alle 15:00 a Roma... ci incontriamo con il loro commercialista... vediamo tutto... "io venerdì voglio firmare"... (…) … "io venerdì voglio firmare"... quindi... pure Ettore ha detto di dire che non c'è problema". Fusi: "Più che così non si poteva fare".
Un'ora dopo Fusi informa tale Bartolomei "dell'esito più che positivo degli incontri, lasciando intendere che l'intervento dell'on. Verdini è stato determinante". Successivamente Di Nardo informerà Fusi, con un sms, che s'è conclusa la riunione con gli abruzzesi con i quali è stato concordato la costituzione della società per il venerdì successivo a L'Aquila. Alle 19:50 ennesimo sms: "Il 'Consorzio Federico II' è costituito". Il mattino dopo Fusi chiama Fracassi chiedendogli di predisporre una "scheda" che bisogna dare "a quella persona che siamo andati l'altro giorno...".



Il coordinatore PDL indagato
Verdini risolvi-problemi: e arrivano elicotteri e vacanze per il figlio
di Giampiero Calapà

IL FATTO QUOTIDIANO   -   17 febbraio 2010   pag. 3

Uno, Angelo Balducci, arrestato per concorso in corruzione (e oggi il gip ha negato la scarcerazione a lui come a Mauro Della Giovampaola, Fabio De Santis e Diego Anemone), l'altro Denis Verdini, indagato per lo stesso reato, rappresentano – come emerge dalle indagini – il fulcro di quel "sistema gelatinoso" che ha tenuto insieme funzionari governativi e politici in una gestione spregiudicata di appalti a imprenditori amici come Anemone appunto e Riccardo Fusi – presidente di Btp e indagato per associazione a delinquere con l'aggravante di mafia.
Neppure si conoscevano nel luglio 2008 Balducci e Verdini, l'alto funzionario della Protezione civile e il potente coordinatore del Pdl. Tanto che la prima volta che Balducci cerca l'uomo di Fivizzano ne sbaglia anche il nome, chiedendo di un certo "Verini". Passa poco tempo e il rapporto si consolida, a tal punto che Balducci ne parla a telefono con De Santis: "Lui mi ha detto: io sono qua per risolvere , insieme con lei… insieme a chi dice lei… questi problemi… sul piano, chiamiamolo così… del territorio… per il resto andiamo avanti come dei treni… è uno anche godereccio… nel senso simpatico… molto… sai no?... il toscano". È una tela importante quella che comincia ad esser tessuta, perché per gli inquirenti con quelle parole Balducci rivela a De Santis come Verdini sia "disposto a gestire insieme i prossimi appalti".
Da quel momento parte l'azione di Verdini tesa a render beneficio soprattutto alla Btp, in cui ha interessi anche suo fratello Ettore essendo il commercialista di Fusi, oltre ad aver la carica di "sindaco effettivo della Edil-Invest, società che fa capo alla stessa Btp. Fusi, fra gli altri, ha un obiettivo irrinunciabile: l'assegnazione dei lavori della Scuola marescialli nell'area sequestrata di Castello, a Firenze. Soprattutto per questo continua a coltivare il suo rapporto con Verdini, mettendogli a disposizione, all'occorrenza, anche un elicottero e dedicandosi con cura alle richieste di Simonetta Fossombroni (dalla quale Fusi compra anche una villa a Forte dei Marmi) e Tommaso Verdini , moglie e figlio del coordinatore Pdl. "Quell'ebete di mio figlio – annuncia la Fossombroni a Fusi – arriva alla Malpensa credo alle undici e mezzo… ecco volevo mandarlo a Milano in un albergo". Fusi provvede. Più volte, siamo nell'agosto del 2008, Tommaso Verdini chiederà quindi a Fusi di trovargli sistemazioni in Versilia per le vacanze con gli amici. Nel frattempo papà Denis si è già mosso, intercedendo con il ministro Matteoli, ovviamente in favore di Fusi. "Ci sei riuscito a parlare con il ministro?", gli chiede nel giugno 2008 Fusi. "Sì… mi ha detto che mi deve parlare a voce – risponde Verdini – perché tu hai centomila ragioni". Il problema sulla Scuola marescialli è rappresentato dall'impresa concorrente, la Astaldi, "in quanto la Commissione europea, essendo un'opera secretata, si è espressa in senso favorevole, per il riaffidamento dei lavori a trattativa privata". Ma Fusi non ci sta e Verdini intercede presso Matteoli. Risultato: l'appalto viene riassegnato alla Btp, anche se il ministro ieri si è difeso con una nota: "È stato deciso così per evitare un danno economico di oltre 34 milioni di euro alle casse dello Stato". Verdini, però, con Matteoli intercede anche per la nomina di Fabio De Santis a provveditore alle opere pubbliche della Toscana. Ne parla sempre con Fusi, un anno fa: "Avevo parlato con Altero… mi ha detto sì proprio perché c'erano quei due nomi che te avevi detto". Puntualmente De Santis ottiene la nomina e proprio di questo i pm di Firenze hanno chiesto conto a Verdini nelle due ore di colloquio di due giorni fa, mentre ieri Berlusconi ha espresso "piena solidarietà" al coordinatore del suo partito.



Il peggio della diretta
Un Franco confronto
di Luigi Galella

IL FATTO QUOTIDIANO   -   17 febbraio 2010   pag. 16

C'è chi pensa che la corruzione in Italia abbia origini antichissime e affondi le sue radici nella decadenza dell'Impero Romano. Senza prenderla così alla lontana, basterebbe ricordare i nostri recenti, sciagurati decenni, e gli ultimissimi giorni, in cui grandi "mariuoli" o piccoli sciacalli tornano alla ribalta. In realtà, non se n'erano mai allontanati. Se ne occupa Lilli Gruber ("Otto e mezzo", La7, lunedì, 20.30), nella ricorrenza dell'esplosione della prima Tangentopoli, diciotto anni fa.
Tre voci, distinte le posizioni: la conduttrice, sempre più garbata ed elegante, perfetta nelle domande, ma cauta nell'affondare la lama; l'ospite fisso, Massimo Franco, notista politico del Corriere della Sera e Piercamillo Davigo, magistrato di Milano, in collegamento, protagonista della stagione di Mani Pulite. Il titolo della puntata è forse una domanda retorica: "Comandano i corrotti?" La cronaca. La Gruber chiede a Davigo: "Che cosa l'ha colpita della recente inchiesta sulla Protezione civile?" Il magistrato risponde che non sa nulla della vicenda, ma che gli indici di percezione della corruzione danno all'Italia un triste primato nel mondo occidentale. La conduttrice cita la frase del premier: "I pubblici ministeri si dovrebbero vergognare", e chiede al magistrato che effetto gli abbia prodotto.
Nessuno, la risposta. "Ne sono abituato". Massimo Franco deve convenire che effettivamente in questo caso "non bisognerebbe prendersela coi magistrati", ma stempera la sofferta ammissione con una domanda capziosa, apparentemente terzista: "Il fatto che dopo Mani Pulite Di Pietro sia entrato in politica ha aggiunto o tolto credibilità alle vostre inchieste?". Ingannevole, la domanda, perché presuppone l'esistenza di quello che nella retorica antigiudiziaria della destra viene definito il "Partito dei giudici", dandolo per scontato, avvalorandolo senza ci-tarlo. Fulminante, la replica di Davigo: "In tutti i paesi del mondo i diritti civili li sospendono ai delinquenti, solo in Italia si pensa di toglierli ai magistrati". L'aplomb di Franco si incrina, lo sguardo resta vitreo a osservare lo schermo.
Ma più avanti, il notista, ripresosi dallo smarrimento, torna all'attacco col suo stile pacato e morbido, quasi curiale, che tuttavia maschera sempre meno la neutralità delle idee: "Ma la supplenza della magistratura è fisiologica o patologica?"
E ancora: "C'è un modo per rompere questo circolo vizioso fra voi e la politica?". Ripetendo la vecchia litania della presunta contrapposizione, vera solo per chi da politico intende continuare a delinquere senza essere disturbato. "Sì", la risposta di Davigo. Secca.
E dire che non gli mancherebbe certo l'eloquio: "Basterebbe smettere di rubare". La chiusa, infine, è memorabile, e va citata per esteso, anche perché strappa un debole, malcelato sorriso perfino al suo refrattario interlocutore: "I diritti di libertà sono stati conferiti per poter parlar male di chi è al potere. Per parlar bene c'erano già i cortigiani".


Per rivedere la puntata di "Otto e mezzo" con Piercamillo Davigo:



Appalti, la difesa di Verdini
"Ho solo aiutato un buon cliente"
Restano in carcere gli arrestati: pericolo di fuga
di Paolo Berizzi

LA REPUBBLICA   -   17 febbraio 2010   pag. 2

FIRENZE - Potrebbero inquinare le prove, ripetere il reato o fuggire. E, soprattutto, negli interrogatori hanno detto poco o niente che contrasti con le accuse. Restano in carcere, dunque, gli arrestati per l'inchiesta sugli appalti per i Grandi eventi, primo fra tutti il G8 della Maddalena. Il gip di Firenze Rosario Lupo ha respinto le richieste di scarcerazione per Angelo Balducci, Mauro Della Giovampaola e Diego Anemone. Rimane dietro le sbarre anche Fabio De Santis, l'unico tra gli arrestati che non aveva presentato domanda di scarcerazione. «Permangono tutte le esigenze di custodia cautelare» - ha spiegato Lupo. Gli ultimi sviluppi dell'inchiesta della Procura di Firenze - 28 persone indagate tra le quali il capo della Protezione civile Guido Bertolaso - continuano a ruotare intorno al nome di Denis Verdini. Il coordinatore del Pdl, indagato per concorso in corruzione e sentito l'altro giorno in Procura, si è difeso. Ha risposto, per quasi due ore, assistito dal suo avvocato Marco Rocchi, alle domande dei magistrati. Che hanno puntato soprattutto sui rapporti tra Verdini e Riccardo Fusi, presidente dell'impresa costruttrice Bpt.
Sono decine le telefonate intercettate dal Ros dei carabinieri tra Verdini e Fusi, ora indagato per corruzione e associazione per delinquere aggravata dalla finalità mafiosa. Fiumi di parole nelle quali scorrono disinvolte rassicurazioni su affari e operazioni. Con Fusi che incalza il politico e quest'ultimo che mostra di essergli molto vicino. Il 23 aprile 2008 si parla della composizione della squadra di governo. Fusi è preoccupato di perdere il suo «aggancio» con il Palazzo (Verdini). «...ma posso stare tranquillo?», gli chiede.
«Tu devi stare tranquillo... perché io ho preso una decisione... l'ho presa perché a me era toccato l'Ambiente. Però - continua Verdini - io esco fuori perché se accetto mi tocca rinunciare a tutto... lasciare la banca capito? ...diventerò capo del partito, al posto di Bondi». Fusi sembra apprezzare: «... il ministero dell'Ambiente a che serve! ... noi si vuole...». I contatti sono quotidiani. Soprattutto quando ci sono in ballo appalti da affidare. Dice Fusi a Verdini. «...rifanno il Ponte sullo Stretto e l'Alta Velocità. E noi?».
«E noi entreremo, stai tranquillo», assicura Verdini. Il coordinatore del Pdl mette in contatto Fusi anche con l'europarlamentare Vito Bonsignore. E mentre è in compagnia, in due differenti occasioni, del presidente dell'Abruzzo Chiodi e di quello sardo Cappellacci, passa loro al telefono l'amico costruttore. Ai magistrati che gli hanno chiesto conto di queste telefonate ha riferito: «Fusi mi assillava perché convinto di aver subito un'ingiustizia». E ha aggiunto: «Mi cercava continuamente anche perché non riscuoteva dalla società autostrade». Non nega, Verdini, di avere avuto più di un'attenzione per l'«amico Riccardo». «Io gli risolvo i problemi». Ma nessuna corruzione, ha tenuto a precisare il plenipotenziario del Partito delle libertà. Né «falsi compromessi» attraverso la sua banca. «La banca finanzia chi acquista e non chi vende (Bpt) - ha sottolineato durante l'interrogatorio -. Certo Fusi è un buon cliente, ma è un cliente». Stando alle intercettazioni è, per Verdini, anche un grande confidente. Che sembra poter pretendere. Sempre ad aprile 2008 il politico lo informa «sono stato tre giorni chiuso ad Arcore con il presidente...». Risposta: «Si ma in quei tre giorni ad Arcore lì non avete fatto niente». Verdini sente quasi di doversi giustificare: «... siamo a fare la compagine di governo... siamo a dire chi fa e chi non fa...».



Il boss-imprenditore rivela: "Sono entrato a Palazzo Chigi"
Nelle carte i nomi di Miccichè e Dell'Utri. E spunta anche Tesauro
di Paolo Berizzi

LA REPUBBLICA   -   17 febbraio 2010   pag. 4

FIRENZE - Un imprenditore di Cosa Nostra che arriva a Palazzo Chigi. Un giudice, Giuseppe Tesauro, in società con un funzionario ministeriale e anche imprenditore legato al clan dei Casalesi. Un commercialista mafioso, Pietro Di Miceli, che fa da mediatore con la Provincia di Frosinone per procurare un appalto a Riccardo Fusi, presidente di Btp. Ecco lo scenario che emerge dal rapporto del Ros dei carabinieri allegato all'inchiesta fiorentina sui grandi appalti della Protezione civile. Tutto o molto ruota intorno alla figura di Antonio Di Nardo - considerato vicino al clan dei casalesi - al quale si lega anche il personaggio più scomodo delle storie ricostruite dagli investigatori. Quello che in una telefonata sostiene di essere stato «alla presidenza del consiglio». Lui è Mario Fecarotta, imprenditore affiliato a Cosa Nostra e legato, in particolare, alla famiglia Riina, arrestato nel 2002 per mafia e per estorsione aggravata (una mazzetta da 500 milioni consegnato). I rapporti con Di Nardo diventano "espliciti" il 27 gennaio 2009. E' Fecarotta a chiamare: «Antonio carissimo... e allora domani a mezzogiorno e mezzo siamo lì al Ministero ok?». Il ministero è quello delle infrastrutture. Fecarotta: «va bè all'una... all'una ci vediamo.. ti aspettiamo lì fuori...».
Non è chiaro, dai brogliacci, se i due si incontrano fuori o dentro il palazzo. Fecarotta e Di Nardo si risentono il 29 gennaio, a incontro avvenuto. E' qui che entra in ballo la Presidenza del Consiglio. Dice l'imprenditore mafioso: «...no è importante perché poi il 25 abbiamo ... fra il 10 e il 25 abbiamo questa cosa.. poi siamo stati pure da Gianfranco lì.. alla... Consiglio.. alla Presidenza del Consiglio e abbiamo due appuntamenti in Sicilia in questa settimana abbastanza importanti.. tu devi vedere con quell'amico tuo...». A quale Gianfranco si riferiscano non è specificato. Un voluminoso dossier giudiziario sulla nuova mafia corleonese contiene il virgolettato di una vecchia telefonata tra Fecarotta e l'allora viceministro dell'economia Gianfranco Miccichè. E' l'11 giugno 2001. Fecarotta, socio di Giuseppe Salvatore Riina, figlio di Totò, chiama Miccichè al cellulare chiedendogli di intercedere per l'apertura di un conto corrente bancario. C'è poi il nome di Giuseppe Tesauro, giudice costituzionale dal 2005 e presidente dell'Antitrust fino al 2004. Stando alle carte Tesauro risulta socio dal 2007 (nella Paese del Sole immobiliare) di Antonio Di Nardo, funzionario del Ministero delle infrastrutture e socio occulto del consorzio di costruttori "Stabile Novus". Nelle 20mila pagine del rapporto del Ros saltano fuori, questa volta esplicitamente, anche i nomi di Gianfranco Miccichè e Marcello Dell'Utri. Citati sempre in riferimento a Riccardo Fusi. Il 5 maggio 2009 Elena David dell'UNA Hotel - una catena riconducibile a Riccardo Fusi - dice di aver ricevuto una richiesta di sconto per l'alloggio negli alberghi della catena da parte di Francesco Costanzo (definito «quello che organizza la roba per Dell'Utri e Miccichè»). Ancora Fecarotta e Di Nardo. E' il 12 marzo 2009. «Vorrei portare una persona con me a Bruxelles, un interlocutore valido, solo che non ho potuto parlare con la persona che volevo portarmi con me.. Penso che ci parlerò lunedì», dice Di Nardo. Buscemi richiama Di Nardo per sapere se va a Bruxelles. «Sì, però richiamami domani». Secondo i carabinieri l'»interlocutore valido» destinatario dell'invito di Di Nardo sarebbe il provveditore alle opere pubbliche del Lazio Giovanni Guglielmi.