La frana del sistema
di Michele Prospero
IL MANIFESTO - 7 marzo 2010 pag. 1
La notte non ha portato consiglio. Ha invece mostrato il volto demoniaco di cui è capace il vecchio clown di palazzo Chigi per il quale la legge si piega sempre alla volontà di chi è più forte. Con il ritrovato del tutto inedito del decreto interpretativo, la rude sostanza del potere che non cede di un palmo neanche dinanzi ai propri errori maldestri ha vinto sulla debole forma del controllo di legalità. Il governo non ha neppure aspettato il pronunciamento degli organi della giustizia elettorale ed amministrativa, in attesa di una qualche sorpresa ermeneutica capace di contemperare rappresentanza e formalità.
In nome della sacralità della sostanza (la difesa ad oltranza delle sue roccaforti elettorali), l'esecutivo, con la irrituale maschera di un decreto interpretativo che in realtà sana le acclarate irregolarità commesse, ha energicamente preso di petto le istituzioni costringendole alla umiliante resa dinanzi al fatto compiuto. Quando chi custodisce il principio di legalità deve badare solo ad accontentarsi del male minore inferto allo Stato di diritto da parte di chi ha la maggioranza numerica e ne approfitta, è già stato scalfito un tassello delicato dell'ordinamento. Tutto può ormai franare dinanzi a un potere onnipotente che sfida ogni labile argine e impone il principio autoritario per cui chi comanda non può mai perdere la titolarità dello scettro per un banale vizio di forma.
La legge vigente e il sistema delle garanzie sono franate dinanzi al potere irresponsabile che strapazza a sua discrezione le regole e le abbandona quando ne ha la convenienza. Con un colpo di forza impressionante per la risolutezza palesata, Berlusconi ha messo all'angolo le opposizioni, senza neppure consultarle in vista di una ardua soluzione «consociazionale» a tutela della reale competitività del voto, e con un sordo spirito revanscista ha sfidato al braccio di ferro il Quirinale. La mossa notturna lascerà il segno sull'ordinamento repubblicano perché il varo del decreto ha indubbiamente spostato in favore del cavaliere i rapporti di forza tra le istituzioni.
Con una forzatura fulminante attuata con le candide forme di un testo «solo» interpretativo, il governo ha aggirato il chiaro divieto legale di intervenire con un decreto nella cruciale materia elettorale. Il governo ha usato gli strumenti legali a sua disposizione, cioè il suo plusvalore politico di detentore della decisione, per non perdere le elezioni. Uno schiaffo alla certezze del diritto è stato così inferto in nome della cruda sostanza che impone a chi ha il potere di non perderlo prima ancora di combattere. Il governo con il decreto salva liste ha mostrato di non aver più alcun freno inibitorio e impaccio nel violare la secolare regola della non retroattività della norma.
Con la mera finzione lessicale del decreto solo «interpretativo» che però con una magia riammette le liste della destra, il cavaliere ha rotto gli argini molto gracili del costituzionalismo. Il governo costringe i giudici ad una interpretazione di segno retroattivo che muta le condizioni del gioco e altera la parità dei diritti di chi partecipa alla gara elettorale. Suggerendo una interpretazione diversa delle regole che in realtà sono in sé del tutto trasparenti, il governo ha prodotto in effetti le condizioni artificiali di una decisione diversa. Interpretando le normative a sua assoluta discrezione, il governo ha modificato di fatto le regole e le ha snaturate a favore di un contendente.
L'incubo di perdere, per spiacevoli errori procedurali, oltre al Lazio anche la più grande e ricca regione d'Italia, ha spinto Berlusconi e la Lega a organizzare un assalto senza precedenti alla legalità in campo elettorale. A cosa si riduce il principio aureo di legalità quando il suo integrale rispetto condurrebbe alla rinuncia alle postazioni di comando? Il calcolo del potere, da conservare con le armi e con i denti, non lascia remore formali a un governo che proclama ad ogni crocevia della politica che chi comanda decide come preferisce e sciolto da vincoli inutili.
Il funzionamento del sistema politico non sarà più come prima. La sola minaccia di un aspro conflitto reale, sorretto dalla «sostanza» ovvero dalla forza del governo che evoca la piazza, ha sciolto tutte le capacità di controllo e di freno oggi disponibili. La plateale esibizione dei muscoli del potere, che non indietreggia dinanzi ad alcun inciampo costituzionale, ha imposto la sua decisione come irresistibile e ha sfarinato ogni controllo di legalità. La forza senza infingimenti del potere che si autotutela non lascia scampo all'addomesticamento del Leviatano attraverso il diritto o l'incontro con le opposizione sul tema delle regole.
In nome del popolo è stato varato il decreto salva liste. E l'unico argine all'abuso di potere, a questo punto, resta il popolo. Nel Lazio e in Lombardia le urne si trasformano in un referendum a difesa della democrazia o a sostegno ex post di un atto autoritario. È chiaro che, pervenuti a questo triste stato di cose, Casini non può più far finta di nulla e continuare ad appoggiare le candidature (di Formigoni e Polverini) ripescate solo con uno sfacciato colpo di mano. Costituzionalismo e autoritarismo strisciante questa è ormai la vera posta in gioco del voto. Il paese, i partiti, le istituzioni non hanno più alibi dopo la notte della repubblica del 5 marzo.