Gli Abruzzesi e i loro amici

GLI ABRUZZESI E I LORO AMICI
RUBRICA | di Pierluigi Sullo
IL MANIFESTO - 24.04.2009, PAGINA 12
Sembrerebbe difficile aggiungere qualcosa all'alluvione di parole sul terremoto in Abruzzo. Questo giornale, poi, ha pubblicato molte buonissime cose, come gli splendidi reportage di Marco Boccitto. Perciò Carta, che se ne occupa nel numero in uscita oggi e ci fa la copertina, non ha cercato di fare meglio di qualcun altro, e certo abbiamo i nostri racconti dai campi di tende; piuttosto, ci proponiamo di dare una mano a quel che chiamiamo «ricostruzione sociale», o «dal basso».
La scena al momento è occupata da un Berlusconi onnipresente e multiforme, presidente-urbanista e presidente-odontotecnico, che ieri ha riunito di nuovo il consiglio dei ministri all'Aquila. E se le cose andassero davvero bene, oggi e nel futuro, ci sarebbe poco da lamentarsi. Il Circo Berlusconi sarebbe un prezzo lieve, se la gente tornasse rapidamente nelle sue case, o trovasse sistemazioni degne nell'attesa, se i centri storici venissero ricostruiti come si deve, se le norme antisismiche venissero applicate, se si tagliassero le unghie a camorre e mafie, ecc. Il fatto è però - o almeno è quel che ci è parso di capire girando di tendopoli in tendopoli - che la Protezione civile ha sì fatto un lavoro più che decente nelle ore successive al terremoto, ma restano sospese le domande sul prima e sul dopo. Prima, significa che chi doveva controllare e chi doveva costruire in modo da non uccidere studenti e altra gente non lo ha fatto, e il Berlusconi a macchia d'olio è riuscito anche a far sapere che le inchieste sono un intralcio. Dopo, vuol dire evitare quel che in modo unanime, con accenti e da luoghi diversi, hanno detto e scritto su Carta coloro che hanno vissuto i terremoti del passato, il Belice, l'Irpinia, il Friuli, l'Umbria, Ancona, ossia che esiste un'unica garanzia che la cura non diventi peggiore del male: il controllo e la partecipazione attiva dei cittadini.
Risulta invece che gli abruzzesi siano messi nella condizione di essere passivi, assistiti (più o meno bene) da un esercito di volontari (più o meno) della Protezione civile e da battaglioni di persone con le più diverse divise. E risulta anche che l'ubiquo Berlusconi abbia personalmente diretto il «pool» di ingeneri, architetti e urbanisti (chi sono, chi li ha scelti?) incaricati appunto di progettare la ricostruzione. Quando con un sorriso sinistro l'avvocato di Berlusconi, Ghedini, ha mostrato nella trasmissione di Michele Santoro il disegnino della «new town», pur precisando che «non riguarda il terremoto», un brivido è corso nella schiena di chiunque abbia appunto memoria dei luoghi desolati costruiti in Belice o in Irpinia abbandonando paesi antichi e quasi sempre recuperabili: «Periferie di città inesistenti», le ha chiamate uno dei nostri interlocutori, lo scrittore Franco Arminio. E la testimonianza di Rocco Falivena, sindaco di Laviano, il paese più colpito nel 1980, è tale da far arrossire chi ha pensato allora che il problema fosse iniettare in quelle zone lo «sviluppo».
Il contrario è accaduto in Friuli, dove si è ricostruito «com'era e dov'era», dice Francesco Barazzutti, all'epoca sindaco di un paese di montagna. O in Umbria, dove furono i sindacati a imporre un codice della ricostruzione, per la scelta delle imprese, che escluse i subappalti puzzolenti, ridusse gli incidenti sul lavoro agli edili e assicurò la qualità dei lavori.
Dunque, la domanda da porsi è se l'Abruzzo si avvierà verso il modello Belice (o Iripinia) o verso il modello Friuli (o Umbria), e se esistono le energie sociali e intellettuali per imboccare la strada buona. Segnali positivi, già nelle tendopoli, ve ne sono molti: nascono comitati e associazioni e reti, aggiungendosi a quelle che già esistono, come l'Abruzzo social forum, che di battaglie ne ha vinte diverse, negli anni scorsi, dal terzo traforo del Gran Sasso alla questione dell'acqua pubblica. E disponibilità a prestare tempo e teste agli amici dell'Abruzzo ve ne sono in quantità, come dimostrano esperienze quali «Epicentro solidale», o gli stessi campi organizzati da Cgil e Rifondazione. E forse allora il problema adesso è mettere insieme tutti questi ingredienti e confezionare un controllo e una progettazione sociali, cittadini, di quel che avverrà nei prossimi mesi.
Carta, per quel che vale, si mette a disposizione.