Terremotati e manganellati


Terremotati e manganellati
POLIZIA CONTRO I MANIFESTANTI AQUILANI
di Paola Zanca

IL FATTO QUOTIDIANO   -   8 luglio 2010   pag. 2

A Roma, da piazza Venezia a piazza Navona c'è poco più di un chilometro. Gli aquilani per percorrerlo ci hanno messo cinque ore. Perché il governo, anziché ascoltarli, ha preferito accoglierli così: con i caschi, gli scudi e i manganelli. Che non sarebbe stata una giornata tranquilla si era capito già dalle 10 del mattino, quando Roma va in tilt. In strada si rovesciano almeno in quattromila: 50 autobus da 50 posti l'uno, e fanno già 2500. Poi ci sono quelli venuti in macchina, e quelli che vivono a Roma. In mezzo a loro la polizia è convinta che ci siano esponenti dell'area antagonista romana. Per questo – spiegano – li fermano già a piazza Venezia. Dicono che a Montecitorio non ci possono arrivare, perché c'è la manifestazione dei disabili. Il corteo degli aquilani, però, è autorizzato, e prevede tappe sotto la Camera e il Senato. Così gli aquilani decidono che la cosa migliore è creare il caos a piazza Venezia. Fermano i camion, non lasciano passare nemmeno i motorini: "Ci dispiace, ma se non ci fanno andare davanti al Parlamento, da qui non passa più nessuno". Non hanno esattamente la faccia dei black bloc, anzi sono quasi tutte teste bianche. Anche la polizia sembra disposta a trattare. Solidarizza perfino. "Ci siete venuti all'Aquila?" chiedono agli agenti. "Ci siamo venuti all'inizio – risponde uno di loro – ma i colleghi che sono là ci dicono che è ancora tutto uguale".
Nel giro di una mezz'oretta, il corteo imbocca via del Corso, direzione Montecitorio. Duecento metri e sono di nuovi fermi. "Ci siamo fatti prendere in giro – dice Paola Bortolomucci – Ci hanno fatto liberare l'ingorgo di piazza Venezia per bloccarci qui...come con le casette di cartone. Ce le hanno date per farci stare buoni, e ora sono spariti". E adesso voglio pure i soldi. La manovra prevede che dal primo luglio – esclusi gli imprenditori con un reddito inferiore a 200mila euro – gli aquilani ricomincino a pagare le tasse, perfino le bollette di una casa che non c'è più, e che da gennaio debbano restituiscano le imposte abbonate nell'ultimo anno. La rabbia è tanta. E ora, stretti in via del Corso, presi in giro un'altra volta, nelle prime file cominciano a spingere. La polizia risponde subito. "Avanti gli scudi" e via con i manganelli. Dura solo pochi minuti, ma tanto basta per veder comparire due volti completamente insanguinati. Sono quelli di Marco e Vincenzo, cinquant'anni in due. Qualche spintone se lo prende anche il deputato Pd Giovanni Lolli: "Non ce l'ho con questi ragazzi in divisa mal trattati e malpagati – dice – ma con chi li comanda". Vicino ci sono uomini sui 70 che gridano: "Aiutateci", donne della stessa età che urlano: "Il popolo è sovrano". Fa una certa impressione, soprattutto quando scopri che per molti di loro questa è la prima manifestazione della vita. Se l'obiettivo della polizia era quello di sfoltire il corteo, comunque, ci sono riusciti. Chi prova a raggiungere Montecitorio per altre vie, chi dice che è meglio tornare a piazza Venezia. Ogni tanto qualcuno si incrocia. Abbracci. "Non ci incontriamo da mesi – si dicono – Per noi ormai esistono solo i telefonini e Facebook". Poi, intorno a mezzogiorno, riescono a riunirsi tutti sotto a palazzo Chigi, davanti a quei palazzi dove Berlusconi non vorrebbe mai vedere nemmenounostriscione.SpuntaPierluigi Bersani: prima lo contestano perchè parla con i giornalisti, poi il segretario Pd capisce che è meglio prendere in mano il megafono e provare a spiegarsi: "Sono qui per far sapere al Paese che per il Pd, l'Aquila è un problema". Applausi, anche se qualcuno lo avverte: "Te recerchemo". Non sono "ingrati", come li ha chiamati qualcuno. Sono solo realisti: "Se noi vedessimo un fermento, nell'edilizia come nella ricostruzione dei luoghi sociali, saremmo contenti. Ma non si vede niente – dice Giuseppe Bernardi – C'è un ristagno generale, nessun segnale di una città che sta rialzando la testa: diecimila persone hanno già cambiato residenza".
Si riparte verso piazza Navona. Ma arrivati sotto palazzo Grazioli la scena si ripete. Di nuovo camionette di traverso per la strada, ancora "scudi avanti". Il primo blocco viene sfondato. Subito dopo ce n'è un altro. In prima fila c'è anche la deputata Pd Paola Concia. "Non c'è un clima distensivo, questo atteggiamento sta esasperando della povera gente: fai meno danni se li fai passare". Al balcone della residenza del premier si affacciano delle persone. "Cosa avete da ridere?" urlano alcune ragazze. "Vergogna, vergogna" è il coro che monta. Invece niente da fare, stavolta la polizia è irremovibile. "Giriamo i gonfaloni", dice il sindaco Massimo Cialente, come se girasse le spalle al Paese che "prima ci ha coccolati e ora ci tratta così". Poco prima era stato ricevuto, insieme a una delegazione dal presidente Schifani. Raccontano che lui abbia preso appunti, ma non si sia sbilanciato per nulla. Poi la capogruppo Pd Anna Finocchiaro si è messa in contatto con il premier e avviato la trattativa: la promessa ottenuta è che nel milleproproroghe di novembre ci sarà un emendamento che ricalibra la restituzione delle imposte al 40 per cento in dieci anni anziché in cinque. Alle tre finalmente l'Aquila entra in piazza Navona. Due senatori dell'Idv, Stefano Pedica e Giuliana Carlino issano la bandiera neroverde su palazzo Madama. Dura poco, un usciere viene subito incaricato di toglierla. Scende il Pdl Maurizio Scelli, originario di Sulmona. Ricorda ai compaesani che "la mattina del 6 aprile c'è stato un uomo, Silvio Berlusconi...". Non riesce a finire di parlare. Lo coprono di insulti. L'Aquila le chiacchiere non le sopporta più. I pullman sono già accesi, si torna a casa. Non prima di un ultimo passaggio sotto alla sede della Protezione Civile. "Sciacalli", "assassini", le ultime parole prima di partire.


La città è incredula: picchiano i nostri figli
"QUI TUTTO È STATO PENSATO COME UN'IMPOSIZIONE. QUELLO CHE VOGLIAMO NOI NON CONTA NULLA"
di Chiara Paolin

IL FATTO QUOTIDIANO   -   8 luglio 2010   pag. 3

Ieri a L'Aquila si celebravano i 40 anni della Regione Abruzzo. Ma la cerimonia ha preso subito una piega amara per le notizie che arrivavano dalla capitale. Nell'aula consiliare tirata a festa, il presidente Nazario Pagano ha pronunciato parole cadute come pietre davanti al governatore Chiodi, commissario per l'emergenza terremoto, e al vice presidente della Camera, Antonio Leone: "Esprimo solidarietà a nome personale, e dell'assemblea regionale che presiedo, ai cittadini aquilani che questa mattina durante la manifestazione di Roma sono rimasti coinvolti negli scontri con le forze dell'ordine".
Negli uffici, dentro i negozi, la gente non credeva ai primi racconti. Cariche della polizia? Gente all'ospedale? Non è possibile, picchiano i nostri figli. Il commento più severo è di Antonio Valentini, avvocato in prima linea nel denunciare le storture del terremoto: "Berlusconi ha fatto le sue promesse, le scene in tv, ora arrivano pure le cariche della polizia. Mandiamo i ragazzi a manifestare pacificamente e ce li troviamo manganellati. Non c'è molto da aggiungere".
Invece Anna Lucia Bonanni, professoressa impegnata nella protesta, vuole aggiungere qualcosa: "Per noi ormai è questione di vita e di morte, non possiamo mollare perché dal 6 aprile 2009 siamo sotto assedio. Anche a Roma: ci hanno menati subito, appena arrivati, senza neanche vedere chi eravamo, che facevamo. Il piano era già pronto, come sempre. Tutto all'Aquila è stato pensato come un'imposizione: i contratti da rispettare, la ricostruzione come business, i soldi. Quello che vogliono dire i cittadini non ha mai contato nulla".
Giampiero Catone, deputato Pdl, tenta di mediare: "La manifestazione era bipartisan, tutto l'Abruzzo è andato a Roma per ribadire che la situazione è serissima. Lo dico anche al presidente Berlusconi: ci sono emergenze di ogni genere in città. E vanno affrontate".
Risponde Alessio Di Giovannantonio, del Comitato 3e32: "Il primo problema è quello della libertà. L'abbiamo sempre denunciato, dalle tendopoli messe sotto stretto controllo fino al sequestro delle carriole. Ieri non è successo nulla di diverso dal solito: invece di ascoltarci hanno fatto barriera carabinieri, finanzieri, poliziotti, tutti lì contro di noi. La novità è il manganello in testa e il sangue, a questo ancora non eravamo arrivati"
Giustino Masciocco, l'assessore dimessosi un mese fa dal Comune dell'Aquila per protesta, non vede sbocchi: "Lo spot del governo sul terremoto è stato gigantesco. Adesso che la verità è venuta fuori bisogna reprimere lo scontento con altrettanta grandiosità, caricare i terremotati come pericolosi sovversivi. Il premier è venuto in città 27 volte in un anno, poi è sparito. E se gli aquilani vanno sotto casa sua questa è la reazione".
Anche Luca Ricciuti, consigliere regionale Pdl, è arrabbiato: "La manifestazione andava organizzata meglio. Serviva più calma, più elasticità da parte delle forze dell'ordine. Noi aquilani siamo allo stremo, abbiamo bisogno di trovare spazio nell'agenda di governo, è assurdo arrivare alle botte per parlare di ricostruzione. Quel che è successo non è edificante per nessuno".