Gli affari di Verdini / 2

I
Il Credito cooperativo nel mirino: Verdini aveva messo a capo del collegio sindacale il suo avvocato
"In quell'istituto gravi irregolarità"
Bankitalia chiede il commissariamento
di Walter Galbiati

LA REPUBBLICA   -   27 luglio 2010   pag. 4

MILANO - Che qualcosa non andasse bene al Credito cooperativo fiorentino l'avevano capito in molti, tranne gli organi della banca che dovevano accorgersene. «Dalla nostra attività di controllo e verifica non sono emersi fatti significativi tali da richiedere la segnalazione alla Banca d´Italia», scrivevano il 21 aprile 2010 i sindaci del Credito cooperativo in appendice al bilancio 2009.
Eppure tra sviste sugli affidamenti, mancate segnalazioni di operazioni sospette, prelievi in contanti agli sportelli, la Banca d'Italia si è sentita in obbligo di chiedere l'amministrazione straordinaria dell'istituto di credito, il cui presidente era, fino a ieri, Denis Verdini, il coordinatore nazionale del Pdl indagato per corruzione da tre diverse procure. Non sono bastate infatti al direttorio di via Nazionale, riunitosi senza la presenza del governatore Mario Draghi e del direttore generale Fabrizio Saccomanni, entrambi in trasferta a Basilea, le dimissioni del padre padrone della banca e dell'intero consiglio di amministrazione. Per garantire i correntisti e i risparmiatori che hanno affidato i propri denari alla piccola banca di Campi Bisenzio (Firenze) servono uno o più commissari. La richiesta è sul tavolo del ministero dell'Economia e delle Finanze, che con decreto può sciogliere gli organi di amministrazione e controllo e dare il via al commissariamento. Le nomine spettano poi a Banca d´Italia. Il fine è di garantire l´accertamento delle irregolarità, che gli ispettori di Via Nazionale hanno iniziato a scandagliare nei mesi scorsi e che hanno già bollato come gravi.
Nessun provvedimento più blando del resto poteva garantire la tutela del risparmio né tanto meno una sana e prudente gestione dell'istituto. Tra conti correnti e depositi a risparmio la banca ha in cassa 187 milioni di euro. Verdini aveva pensato bene di non mettere nessun amministratore a capo della banca. Il vicepresidente era il suo avvocato di fiducia, Marco Rocchi, due dei quattro consiglieri erano amministratori delle sue aziende editoriali, Enrico Luca Biagiotti e Fabrizio Nucci. Ma ad allarmare di più la Banca d´Italia è stata la composizione del collegio sindacale, l'organo che in teoria avrebbe dovuto tenere un rapporto diretto con Via Nazionale per la segnalazione delle irregolarità. Il presidente del collegio è un altro avvocato di Verdini, Antonio Marotti, mentre gli altri due sindaci sono Luciano Belli, socio della moglie di Verdini in Edicity, e Gianluca Lucarelli, sindaco della stessa società. Mancano in sostanza quei requisiti di indipendenza che avrebbero dovuto garantire un controllo sereno sulle attività della banca. Tra i crediti, infatti, gli ispettori della Banca d'Italia hanno trovato diversi affidamenti sospetti alle società editoriali di Verdini e al gruppo Btp di Riccardo Fusi, l'imprenditore edile al centro dell'inchiesta per gli appalti da 200 milioni di euro per la Scuola dei Marescialli. Non ha convinto gli ispettori nemmeno la posizione del direttore generale, Piero Italo Biagini, finito anche lui nel registro degli indagati per i finanziamenti al gruppo Fusi. Una situazione esplosiva, a fronte di un patrimonio di soli 56 milioni di euro, aggravata dalle operazioni per contante effettuate agli sportelli dell'istituto. L'ipotesi della procura è che i cassieri della banca abbiano reso liquidi alcuni assegni destinati a Verdini, presunte tangenti versate dal faccendiere Flavio Carboni per indirizzare gli affari legati allo sviluppo del settore eolico in Sardegna. La libertà di Verdini nell´istituto che presiedeva ininterrottamente dal 1990 è dimostrata anche dal numero di rapporti aperti: tra conti correnti, finanziamenti, garanzie, operazioni extraconto erano ben sessanta. Nessuno si era mai sognato di andare a vedere cosa fossero.



Contestato a Verdini il reato di mendacio bancario per i rapporti con Fusi
Nuova imputazione da Firenze "Dati falsi per i fidi agli amici"
di Franca Selvatici e Massimo Vanni

LA REPUBBLICA   -   27 luglio 2010   pag. 5

FIRENZE - Nel giorno più lungo di Denis Verdini si scopre che a Firenze - città dalla quale è partita la valanga delle inchieste sui Grandi Eventi - è stata ipotizzata a suo carico una nuova accusa. Forse la più dura da sopportare per lui che per venti anni è stato presidente del Credito cooperativo di Campi Bisenzio, alle porte di Firenze, e che ha più volte dichiarato: «La banca è la mia vita». La procura fiorentina, che già gli contesta la corruzione per i suoi rapporti con l'imprenditore Riccardo Fusi della Btp (Baldassini Tognozzi Pontello), lo ha messo sotto inchiesta anche per mendacio bancario: reato commesso da amministratori o dirigenti di banca che consapevolmente permettano ai clienti che chiedono prestiti di presentare dati falsi. Con la conseguenza di mettere a repentaglio la solidità della banca stessa.
Secondo la procura, il Credito cooperativo fiorentino ha concesso al gruppo Btp cospicui affidamenti, dell'ordine di milioni di euro, accettando per buoni preliminari di compravendita fittizi, predisposti da Riccardo Fusi, firmati da suoi collaboratori o soci e mai perfezionati. Contratti validissimi, ha sempre sostenuto Verdini, sottolineando che grazie alla azienda di Fusi il Credito cooperativo ha «realizzato grandissimi guadagni». E' probabile dunque che sia stata questa nuova accusa, cui si aggiunge l'imminente deposito della relazione degli ispettori di Bankitalia, a indurre Verdini a rassegnare le sue irrevocabili dimissioni dalla presidenza dell'istituto.
«Sono certo di poter dimostrare la mia estraneità da ogni illecito, tuttavia la rilevanza assunta dai fatti che mi vengono imputati, che va bene al di là del merito dei problemi, rischia di gettare un'ombra sulla banca», scrive il coordinatore Pdl in una lettera datata 23 luglio e resa nota ieri dai vertici della banca. Poche ore dopo si dimette in blocco anche il Cda: «Con lui abbiamo condiviso tutto, gestione ordinaria e totalità delle scelte», scrivono. E per togliere ogni ombra dal Credito, spiegano i dimissionari, «abbiamo deciso un taglio netto, non si dovrà più dire che questa è la banca di Verdini».



E per Denis una giornata da incubo con la paura di una richiesta di arresto
L'uscita dalla sua banca per evitare la custodia cautelare
di Maria Elena Vincenzi

LA REPUBBLICA   -   27 luglio 2010   pag. 5

ROMA - Ha temuto che arrivasse un ordine d'arresto prima ancora dell'interrogatorio. Ed è anche, e forse soprattutto per questo, che Denis Verdini ha separato le sue sorti dalla banca di cui era presidente. Per togliere agli inquirenti una possibile motivazione a sostegno di un eventuale richiesta di carcerazione. Iniziativa che, trattandosi di un parlamentare, avrebbe bisogno dell´autorizzazione della Camera di appartenenza.
Con questo "peso" Verdini ieri ha affrontato l´interrogatorio in procura. Un terrore che lo ha accompagnato in questi giorni. Il coordinatore del Pdl è indagato per corruzione e associazione segreta. Reato quest'ultimo che viola gli articoli 1 e 2 della legge Anselmi. Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e il sostituto Rodolfo Sabelli che, insieme ai carabinieri del nucleo investigativo di Roma, si occupano dell´inchiesta sugli appalti per l'eolico in Sardegna e sulla P3, sono scesi nei particolari di ogni singola contestazione. Nei dettagli di quella che gli inquirenti ritengono una moderna loggia che operava per fare pressione sui vertici dello Stato e della magistratura. Un gruppo di pressione di cui Verdini, secondo l'accusa, faceva parte. O forse anche qualche cosa di più. E vista la durata dell'interrogatorio, tutto fa pensare che il coordinatore del Pdl abbia risposto. Che abbia provato a spiegare punto per punto le molte telefonate intercettate nelle quali lui parla con i componenti della loggia, a spiegare i contenuti del famoso pranzo nella sua abitazione di palazzo Pecci Blunt, in piazza dell'Aracoeli. E, probabilmente, che abbia provato a chiarire anche molto altro.
Un giorno difficile per Verdini. Ai cronisti che lo hanno avvicinato quando, alle 14.50, in abito blu, è sceso dalla Mercedes che lo ha accompagnato in procura insieme ai suoi difensori, Franco Coppi e Marco Rocchi, il deputato si è limitato a rispondere che avrebbe «usato bene la sua voce, per rispondere ai magistrati». E, a giudicare dalle ore che ha passato davanti agli inquirenti, Verdini ha parlato eccome. E dopo una battaglia di nove ore, il coordinatore del Pdl è apparso sereno e lucido nell'affrontare un passaggio difficilissimo. Che è arrivato al culmine di settimane segnate, come si diceva, anche dal timore di un provvedimento di carcerazione. Chi lo conosce, descrive Verdini come un uomo terrorizzato dall'idea dell'arresto. Pare che la paura di finire dietro le sbarre in questi giorni lo abbia perseguitato. E anche ieri, prima che arrivasse a palazzo di giustizia, la voce di un suo imminente arresto circolava insistentemente. Al termine dell'interrogatorio, una stoccata ai giornalisti: «Hanno il diritto alla libertà di stampa e all'autonomia, ma i cittadini, poveracci, finiscono sbatacchiati sui giornali come succede sempre; e allora meno male che c'è Berlusconi».
L'annuncio delle dimissioni dal vertice del Credito cooperativo fiorentino è sembrata a Verdini e ai suoi legali la più efficace mossa difensiva. L´unico modo per giocare d'anticipo rispetto a una possibile richiesta di custodia cautelare in carcere: non potendo più decidere per la sua banca, muovere denaro e promuovere operazioni - hanno pensato i suoi avvocati - viene meno il pericolo di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato, motivazioni che avrebbero potuto indurre i pm a chiedere la carcerazione. La lettera con cui Verdini ha rimesso l'incarico risponderebbe proprio a questa strategia difensiva: quella di scongiurare le sbarre prima di tutto.
E mentre il coordinatore del Pdl ieri parlava davanti ai magistrati, la Guardia di Finanza continuava a passare al setaccio i suoi conti correnti e le sue cassette di sicurezza. È finito sotto osservazione tutto ciò che il deputato ha avuto in questi ultimi anni. Sotto esame tutti i flussi di denaro che Verdini ha movimentato e gli immobili che il coordinatore ha avuto nella sua disponibilità da sei anni a questa parte.