"Processo subito per Fusi & C."

 
I pm
"Processo subito per Fusi & C."
di Franca Selvatici

LA REPUBBLICA  Edizione FIRENZE   -   31 luglio 2010   pag. I e VII

Processo subito per Balducci, De Santis, Piscicelli e Fusi per la vicenda dell´appalto della Scuola Carabinieri di Castello. Lo chiedono i pm di Roma.
La procura di Roma non ha perso tempo. Quattro settimane dopo aver ricevuto da Firenze gli atti sulla Scuola Carabinieri, ha chiesto il giudizio immediato per l'ex presidente del consiglio superiore dei lavori pubblici Angelo Balducci, l'ex provveditore alle opere pubbliche della Toscana Fabio De Santis e gli imprenditori Francesco De Vito Piscicelli e Riccardo Fusi. Tutti accusati di corruzione. Al centro dell'inchiesta i tentativi di Fusi (Btp) di riottenere il mega-appalto della scuola, perduto nel 2006. Per Balducci, De Santis e Piscicelli il giudizio immediato era stato già chiesto dalla procura di Firenze, prima che fosse stabilita la competenza di Roma. La procura capitolina ha rinnovato la richiesta e l'ha estesa anche a Fusi (già interrogato), giudicando evidenti le prove raccolte contro di lui. Nell'inchiesta sono indagati per corruzione anche l'onorevole Denis Verdini e il socio di Fusi, Roberto Bartolomei.
A Firenze resta aperto, e molto caldo, il fronte sul Credito Cooperativo Fiorentino, la banca guidata da Verdini per 20 anni e ora commissariata. I rilievi degli ispettori della Banca d'Italia hanno fornito nuovo lavoro alla procura. La banca è solida. Ma, a giudizio degli ispettori, è mancato un corretto esercizio dei controlli antiriciclaggio. Scarsa attenzione su operazioni sospette: non solo sui versamenti dei collaboratori di Flavio Carboni finiti nell'inchiesta romana sull'eolico, ma anche sui movimenti fra società del gruppo Btp. Inoltre il presidente Denis Verdini avrebbe condotto una serie di operazioni in conflitto di interessi: finanziamenti al quotidiano di sua proprietà, Il Giornale della Toscana, e ad alcune società. Da approfondire in particolare i rapporti con la Parved, costituita da Verdini nel 2005, entrata in società nella Porta Elisa Srl con imprese del gruppo Btp, poi comprata da Fusi. Altre censure rilevanti sotto il profilo penale riguardano l'assetto di governo della banca, «privo di contraddittorio e di controlli» (carenti anche nell'attività quotidiana), e «lo sviluppo degli impieghi non improntato a canoni di prudenza»: si contesta che il denaro venisse erogato a pochi clienti, in violazione dei parametri normativi, e talora anche a soggetti non ben individuati, come società della galassia Btp che però figuravano fuori dal gruppo.
 
 
 

Aeroporto di Ampugnano (Siena): abuso d'ufficio, turbativa d'asta e falso in atto pubblico le ipotesi di accusa

 
Siena, dopo la perquisizione al Monte dei Paschi
Anche abuso d'ufficio nell'inchiesta sullo scalo
di Franca Selvatici

LA REPUBBLICA  Edizione FIRENZE   -   31 luglio 2010   pag. VII

Non solo turbativa d'asta e falso in atto pubblico, ma anche abuso d'ufficio. L'inchiesta della procura di Siena sull'aeroporto di Ampugnano, nell'ambito della quale mercoledì è stata perquisita Rocca Salimbeni, sede del Monte dei Paschi, investe non solo il comitato dei saggi che nel 2007 fu incaricato di valutare le offerte per l'ingresso di un partner privato nella compagine societaria, ma lo stesso consiglio di amministrazione dell'aeroporto. Il comitato dei saggi, presieduto dall'ex presidente dell'aeroporto Lorenzo Biscardi, dirigente della fondazione Mps, dichiarò vincitore della gara di evidenza pubblica il Fondo lussemburghese Galaxy. Ora è sospettato di aver operato una selezione fittizia fra le offerte degli aspiranti partner privati, dato che il Fondo Galaxy già alcuni mesi prima aveva siglato un memorandum con il Comune e con Mps per lo sviluppo del piccolo scalo aperto negli anni Trenta nel territorio del Comune di Sovicille. Quanto al consiglio di amministrazione della società «Aeroporto di Siena», fra il 2007 e il 2009 i compensi per i consiglieri sono aumentati in maniera assai rilevante, anche se ora risultano congelati.
Il progetto di ampliamento dell'aeroporto ha suscitato una forte opposizione, inedita in una comunità compatta e quasi monolitica come quella senese. Si sono ribellati migliaia di cittadini. Si è costituita la Associazione «Ampugnano per la salvaguardia del territorio». Si è mossa Italia Nostra. La Lega Nord ha presentato interrogazioni ed esposti. Nel 2008 la protesta è arrivata persino a Londra, con una manifestazione davanti alla National Gallery. E già nell'ottobre 2007 l'ex sindaco Pierluigi Piccini e i consiglieri comunali Mario Ascheri e Marco Falorni sollevavano dubbi sulla regolarità della selezione delle offerte per l'ingresso del partner privato. «Siena, attacco dal cielo», è il titolo del paragrafo de «La Colata» (Chiarelettere) dedicato ad Ampugnano, che racconta come il progetto di ampliamento intendesse trasformare il piccolo scalo in una struttura di 157 mila mq fra edifici, piste e strade: «come dire 23 campi di calcio». Il progetto ha visto in prima fila il Monte dei Paschi di Siena. La Fondazione ha finanziato lo studio sulle potenzialità dello scalo. La banca è uno dei soci dell'aeroporto e ne ha espresso i presidenti, da Lorenzo Biscardi, che ha presieduto il comitato dei saggi, a quello attuale, Claudio Machetti, che è stato membro della Fondazione. Il che spiega perché l'inchiesta abbia varcato la soglia di Rocca Salimbeni.
 
 
 

Stragi di mafia, c'è chi sa tutto e non parla

 
Parla Roberto Scarpinato, nuovo procuratore generale a Caltanisetta
STRAGI DI MAFIA ECCO QUELLI CHE SANNO
Cento nomi nascondono i segreti delle stragi

IL FATTO QUOTIDIANO   -   24 luglio 2010   pag. 1, 2 e 3

Dottor Roberto Scarpinato, come nuovo procuratore generale a Caltanissetta lei dovrà occuparsi dell'iter della revisione del processo per la strage di via D'Amelio, che a quanto pare ha condannato definitivamente almeno sette persone innocenti, di cui tre si erano autoaccusate falsamente. Ora, sulle stragi del 1992-93, i suoi colleghi di Palermo e Caltanissetta dicono che siamo prossimi a una verità che la classe politica potrebbe non reggere. Qual è la sua opinione?
Proprio a causa del mio nuovo ruolo non posso entrare nel merito di indagini e processi in corso. Mi limito a un sommario inventario che induce a ritenere che i segreti del multiforme sistema criminale che pianificò e realizzò la strategia terroristico-mafiosa del 1992-93 siano a conoscenza, in tutto o in parte, di circa un centinaio di persone. E tutte, dalla prima all'ultima, continuano a custodirli dietro una cortina impenetrabile.
E chi sarebbero tutte queste persone?
Partiamo dai mafiosi doc: Riina, Provenzano, i Graviano, Messina Denaro, Bagarella, Agate, i Madonia di Palermo, Giuseppe Madonia di Caltanissetta, Ganci padre e figlio, Santapaola e tutti gli altri boss della "commissione regionale" di Cosa Nostra che si riunirono a fine 1991 per alcuni giorni in un casale delle campagne di Enna per progettare la strategia stragista. Una trentina di boss che poi riferirono le decisioni in tutto o in parte ai loro uomini di fiducia. Altre decine di persone. Nessuno di loro ha mai detto una parola sul piano eversivo globale. Le notizie che abbiamo ce le hanno fornite uomini d'onore che le avevano apprese in via confidenziale da alcuni partecipanti al vertice, come Leonardo Messina, Maurizio Avola, Filippo Malvagna. Altri a conoscenza del piano sono stati soppressi poco prima che iniziassero a collaborare, come Luigi Ilardo, o sono stati trovati morti nella loro cella, come Antonino Gioè. Agli esecutori materiali delle stragi o di delitti satellite, i vertici mafiosi in genere non rivelavano i retroscena politici del piano stragista, si limitavano a fornire spiegazioni di causali elementari e di copertura. Aggiungiamo i vertici della ndrangheta che, come hanno rivelato vari collaboratori, tennero nello stesso periodo una riunione analoga nel santuario di Polsi.
Chi altri sa?
È da supporre una serie di personaggi che anticiparono gli eventi che poi puntualmente si verificarono. L'agenzia di stampa "Repubblica" vicina a Vittorio Sbardella, ex leader degli andreottiani romani (nulla a che vedere col quotidiano omonimo) scrisse 24 ore prima di Capaci che di lì a poco si sarebbe verificato "un bel botto" nell'ambito di una strategia della tensione finalizzata a far eleggere un outsider come presidente della Repubblica al posto del favoritissimo Andreotti. Il che puntualmente avvenne, così Andreotti fu costretto a farsi da parte e venne eletto Scalfaro. Anni dopo Giovanni Brusca ha riferito che la tempistica di Capaci era stata preordinata per finalità che coincidono esattamente con quelle annunciate nel profetico articolo. Dunque, o l'autore aveva la sfera di cristallo, o conosceva alcuni aspetti della strategia stragista e aveva deciso di intervenire sul corso degli eventi con una comunicazione cifrata, comprensibile solo da chi era a parte del piano.
L'agenzia Repubblica aveva pure anticipato il progetto globale in cui si inscriveva il delitto Lima.
Esattamente. Il 19 marzo 1992, pochi giorni dopo l'assassinio di Salvo Lima (andreottiano come Sbardella, ndr), l'agenzia annunciò che l'omicidio era l'incipit di una complessa strategia della tensione "all'interno di una logica separatista e autonomista […] volta a consegnare il Sud alla mafia siciliana per divenire essa stessa Stato al fine di costituirsi come nuovo paradiso del Mediterraneo […] mediante un attacco diretto ai centri nevralgici di mediazione del sistema dei partiti popolari […]. Paradossalmente il federalismo del Nord avrebbe tutto l'interesse a lasciare sviluppare un'analoga forma organizzativa al Sud lasciando che si configuri come paradiso fiscale e crocevia di ogni forma di traffici e di impieghi produttivi, privi delle usuali forme di controllo, responsabili della compressione del reddito derivabile dalla diversificazione degli impieghi di capitale disponibile". Anni dopo Leonardo Messina rivelò alla magistratura e all'Antimafia il progetto politico secessionista di cui si era discusso nel summit di Enna su input di soggetti esterni che dovevano dare vita a una nuova formazione politica sostenuta da "vari segmenti dell'imprenditoria, delle istituzioni e della politica". Come faceva l'autore dell'articolo a sapere ciò che anni dopo avrebbe svelato Messina? È come se circolassero informazioni in un circuito separato e parallelo a quello destinato alla massa. Un circuito soprastante alla base mafiosa, delegata ad eseguire la parte militare del piano, e interno alla mente politica collettiva che quel piano aveva concepito, anche se poi quel piano mutò in corso d'opera per una serie di eventi sopravvenuti, e si puntò così ad una diversa soluzione incruenta. In questo quadro c'è poi da chiedersi perché, in un'intervista del 1999, il professor Miglio, ex teorico della Lega Nord, dichiarò parlando dei fatti dei primi anni '90: "Io sono per il mantenimento anche della mafia e della 'ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos'è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un'assurdità. C'è anche un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate".
Andiamo avanti.
L'ex neofascista Elio Ciolini, già coinvolto nelle indagini sulla strage di Bologna, il 4 marzo 1992 scrisse una lettera dal carcere al giudice Leonardo Grassi per anticipargli che "nel periodo marzo-luglio" si sarebbero verificati fatti per destabilizzare l'ordine pubblico con esplosioni dinamitarde e omicidi politici. Puntualmente il 12 marzo fu ucciso Lima e nel maggio e luglio ci furono le stragi di Capaci e via D'Amelio. Il 18 marzo Ciolini aggiunse che il piano eversivo era di "matrice masso-politico-mafiosa" , come rivelarono poi alcuni collaboratori di giustizia, e preannunciò un'operazione terroristica contro un leader del Psi. Anni dopo accertammo che era stato progettato l'omicidio di Claudio Martelli, fallito per alcuni imprevisti.
Chi manca, alla "lista della spesa"?
Quanti si celavano dietro la sigla della "Falange armata" i quali, pochi giorni dopo le dimissioni di Martelli da ministro perché coinvolto nelle indagini sul conto segreto svizzero "Protezione" a seguito delle dichiarazioni rese da Silvano Larini (il 9.2.1993) e da Licio Gelli (il 17.2.1993), diffusero il 21 aprile 1993 un comunicato per invitare Martelli a non fare la vittima e ad essere "grato alla sorte che anche per lui si sia potuta perseguire la via politica invece che quella militare"; e poi per lanciare avvertimenti a Spadolini, Mancino e Parisi, annunciando future azioni. Pochi mesi dopo, la manovra dello scandalo dei fondi neri del Sisde indusse Parisi a dimettersi, fece vacillare il ministro Mancino e anche il presidente Scalfaro, il quale denunciò che dietro quella vicenda si muovevano oscuri progetti di destabilizzazione politica.
E poi?
L'elenco sarebbe molto lungo e coinvolgerebbe tanti soggetti di quali non posso parlare, visti i limiti che derivano dal mio ruolo. Possiamo forse aggiungere alcuni di coloro che hanno concepito il depistaggio delle indagini sulla strage di via D'Amelio: cioè la costruzione a tavolino, tramite falsi pentiti, di una versione minimalista che ha "tarato" le indagini verso il basso, circoscrivendola a una banda di piccoli criminali come Scarantino, e garantendo intorno ad essa un muro impenetrabile di omertà che ha retto fino a un paio di anni fa, cioè alle dichiarazioni autoaccusatorie di Spatuzza. Poi, se i riscontri dovessero confermare le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, ci sono i vari "signor Franco" o "signor Carlo" che affiancarono suo padre Vito facendo da cerniera tra mondo mafioso e mondi superiori durante le stragi. E inoltre quanti garantirono a Provenzano, garante della soluzione politica alternativa a quella cruenta di Riina, di muoversi per anni liberamente per l'Italia e di visitare Vito Ciancimino gli arresti domiciliari. Poi coloro che fecero sparire l'agenda rossa di Borsellino. E tanti altri…
Come gli ufficiali del Ros Mori e De Donno, ora imputati per la mancata cattura di Provenzano dopo la trattativa che portò all'arresto di Riina, con annessa mancata perquisizione del covo e sparizione delle carte segrete del boss. E i superiori militari e politici che autorizzarono quella "trattativa".
Non posso rispondere. Sono fatti ancora oggetto di indagini in corso.
Su questa convergenza di ambienti e interessi lei, a Palermo, aveva avviato l'indagine "Sistema criminale", poi in parte archiviata. Che cos'è il sistema criminale?
Quello che abbiamo appena sintetizzato. Un sistema composto da esponenti di mondi diversi, tutti rimasti orfani dopo la caduta del Muro di Berlino delle passate protezioni, all'ombra delle quali avevano potuto coltivare i più svariati interessi economici e criminali, tra questi anche la mafia militare sino ad allora tollerata come anticorpo contro il pericolo comunista. Questi mondi intercomunicanti attraverso uomini cerniera erano accomunati da un interesse convergente: destabilizzare il sistema agonizzante della Prima Repubblica e impedire un ricambio politico radicale ai vertici del Paese con l'avvento delle sinistre al potere (la "gioiosa macchina da guerra"). Ciò doveva avvenire mediante la creazione di un nuovo soggetto politico che avrebbe dovuto conquistare il potere mediante un'articolata strategia che si snodava contemporaneamente sul piano militare e politico. La nostra ipotesi, almeno sul piano storico, esce sempre più confermata dalle recenti scoperte investigative. Nella stagione delle stragi si muovono molteplici operatori che poi si dividono i compiti. Chi concepisce il piano, chi lo realizza a livello militare, chi organizza la disinformazione e chi i depistaggi. Basterebbe che cominciasse a parlare qualcuno che conosce anche solo la sua parte, per consentirci enormi passi avanti nella ricerca della verità. Ma, finora, non parla nessuno.
Be', mafiosi come Spatuzza e figli di mafiosi come Massimo Ciancimino parlano. E costringono a ricordare qualche esponente delle istituzioni: gli improvvisi lampi di memoria di alcuni politici, dopo 17-18 anni, sul ruolo di Mori durante la "trattativa" con Ciancimino fanno pensare che tanti a Roma sappiano molto, se non tutto…
Anche qui preferisco non addentrarmi in vicende specifiche, tuttora oggetto di indagini e processi. Prescindendo da casi specifici, vista dall'alto la tragica sequenza degli avvenimenti di quegli anni fa pensare al "gioco grande" di cui parlava Falcone: l'ennesimo gigantesco war game giocato all'interno di alcuni settori della nomenclatura del potere nazionale sulla pelle di tanti innocenti. Un war game trasversale combattuto anche a colpi di segnali, messaggi trasversali, avvertimenti in codice, veti incrociati e ricatti sotterranei: non potendo parlare esplicitamente tutti erano costretti a comunicare con linguaggi cifrati.
Perché dice "ennesimo war game"?
Tutta la storia repubblicana è segnata dal "gioco grande" celato dietro progetti di colpi di Stato poi rientrati (dal golpe Borghese al piano Solo) e stragi caratterizzate da depistaggi provenienti da apparati statali: da Portella della Ginestra alla strage di Bologna alle stragi del 1992-93. Perciò la questione criminale in Italia è inestricabilmente intrecciata con la storia nazionale e con la questione stessa dello Stato e della democrazia.
Possibile che, in un Paese debole di prostata dove nessuno si tiene niente, i segreti sulle stragi custoditi da tanta gente tanto eterogenea restino impenetrabili a quasi vent'anni di distanza?
Molte stragi d'Italia nascondono retroscena che coinvolgono decine, se non centinaia di persone. Pensi a Portella della Ginestra: la banda Giuliano, i mafiosi, i servizi segreti, esponenti delle Forze dell'ordine, il ministero dell'Interno. Pensi alle stragi della destra eversiva. Così quelle politico-mafiose del 1992-93. La storia insegna che quando un segreto dura nel tempo sebbene condiviso da decine e decine di persone, è il segno che su quel segreto è impresso il sigillo del potere. Un potere che cavalca la storia riproducendosi nelle sue componenti fondamentali e che eleva intorno al proprio operato un muro invalicabile di omertà, perché è così forte da poter depistare le indagini, alimentare la disinformazione, distruggere la vita delle persone, riuscendo a raggiungerle e a eliminarle anche nel carcere più protetto. Come Gaspare Pisciotta, testimone scomodo ucciso all'Ucciardone con un caffè alla stricnina, e a un'altra decina di persone al corrente dei segreti retrostanti la strage di Portella. E come Ermanno Buzzi, condannato in primo grado per la strage di Brescia e strangolato in carcere. Resta inquietante lo strano suicidio in carcere nel 1993 di Nino Gioè, appena arrestato e sospettato per Capaci, dopo strani incontri con agenti dei servizi e una strana trattativa avviata con Paolo Bellini, coinvolto in indagini sull'eversione nera negli anni 70, per aprire un canale con Cosa Nostra. Ed è inquietante che Nino Giuffrè, braccio destro di Provenzano, abbia raccontato di essere stato invitato a suicidarsi nel 2005, subito dopo l'inizio della sua collaborazione, ancora segretissima. Il muro dell'omertà comincia a fessurarsi solo quando il sistema di potere entra in crisi.
È per questo che oggi si aprono spiragli importanti di verità?
Presto per dirlo, ma ancora una volta la lezione della storia ce lo insegna. Quando la Prima Repubblica era potente, Buscetta, Marino Mannoia e altri collaboratori rifiutarono di raccontare a Falcone i rapporti mafia-politica: iniziarono a svelarli solo nel '92, quando quel sistema crollò, o meglio sembrò fosse crollato.
Oggi il governo appena qualcuno torna a parlare, vedi Spatuzza, gli nega il programma di protezione. Che messaggio è?
Quella decisione è stata presa contro il voto di dissenso dei magistrati della Procura nazionale antimafia che fanno parte della Commissione sui collaboratori di giustizia e contro il parere concorde dei magistrati di ben tre Procure della Repubblica antimafia: Caltanissetta, Palermo e Firenze. Intorno al caso Spatuzza e sul fronte delle indagini sulle stragi si è verificata una spaccatura assolutamente inedita tra magistrati e gli altri componenti della Commissione. Proprio perché non si tratta di una scelta di routine e proprio a causa di questa spaccatura, quella decisione in un mondo come quello mafioso che vive di segnali può essere equivocata e letta in modo distorto: nel senso che lo Stato in questo momento non è compatto nel voler conoscere la verità sulle stragi. Naturalmente non è affatto così, le motivazioni del dissenso sono di tipo giuridico, ma è innegabile che il pericolo esista.
Dunque hanno ragione i pm di Caltanissetta quando dicono in Antimafia che la politica non è pronta a fronteggiare l'onda d'urto delle nuove verità sulle stragi?
A me risulta che le loro dichiarazioni sono state riportate dalla stampa in modo inesatto. In ogni caso, sulle stragi e i loro retroscena abbiamo oggi un'occasione più unica che rara, forse l'ultima, per raccontare una storia collettiva sepolta da quasi vent'anni di oblio organizzato. Per restituire al Paese la sua verità e aiutarlo a divenire finalmente adulto. Se non dovessimo farcela neppure stavolta, non ci resterebbe che fare nostra un'amara considerazione di Martin Luther King: "Alla fine non ricorderemo le parole dei nostri nemici, ma il silenzio dei nostri amici".
 
 
 

Gli affari di Verdini / 3


"Verdini, dal giornale tangenti sull'eolico"
L'ipotesi degli investigatori: i soldi di Carboni solo parcheggiati nella società editoriale
di Maria Elena Vincenzi

LA REPUBBLICA   -   30 luglio 2010   pag. 11

ROMA - Il giro di soldi che parte dagli imprenditori "eolici" e arriva nelle tasche di Verdini. Svolta nell'indagine che sta mandando su tutte le furie il coordinatore del Pdl. Quella degli assegni negoziati per conto di Giuseppe Tomassetti, tuttofare della convivente di Flavio Carboni, e di Antonella Pau presso il Credito Fiorentino. Una storia che vale 850 mila euro. Almeno per quanto accertato fino ad ora. Anche se il sospetto è che la cifra sia molto più alta. Una storia di malaffare. Di mazzette. Di tangenti sborsate in cambio di "facilitazioni" per la vicenda dell'eolico.
Le indagini sono ancora in corso, la questione è da poco passata nelle mani del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza. Ma, senza attendere gli esiti, già è chiaro che c'è qualcosa che non va. Lo sanno gli inquirenti. Lo sanno gli avvocati del parlamentare. Lo sa lo stesso Verdini che sulla questione ha mostrato, in pubblico, non poco nervosismo.
La vicenda si apre con l'avvio della trattativa per l'eolico. Subito dopo il "successo" della nomina di Ignazio Farris al vertice dell'Arpas Sardegna. Con una frase detta da Verdini a Carboni: «Ricordati del mio problema a Firenze sul giornale. Ricordatene Flavio». Tutto inizia così. Con un versamento da parte di alcuni imprenditori romagnoli interessati all'eolico di 5 milioni di euro al faccendiere sardo. Il sospetto degli inquirenti è, però, che la cifra sia molto più alta. Che ci sia, in sostanza, una parte nera che per il momento non si riesce a tracciare. Tant'è. Sta di fatto che quella quota iniziale, che ha il profumo di tangente, viene appoggiata da Carboni sui conti della moglie e della convivente. Secondo la ricostruzione fatta dai carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Roma che hanno seguito le indagini, gli 850 mila euro che vengono, tramite assegni circolari con data 26 giungo 2009, intestati a Tomassetti e ad Antonella Pau, negoziati presso la banca di Verdini sarebbero parte di quel gruzzolo iniziale. Denaro che viene incassato senza che siano presenti i due interessati. «Una pratica normale», secondo Verdini.
Altrettanto normale, secondo il deputato, che quei soldi vengano messi sul conto della Società Toscana Edizioni, controllata di Verdini che edita il Giornale di Toscana. E fino a qui, la ricostruzione degli inquirenti coincide più o meno con quella fatta mercoledì dal coordinatore del Pdl durante la conferenza stampa. Ma a questo punto la versione di Verdini si inceppa. Di fronte alla mancanza di un qualsiasi pezzo di carta che attesti la volontà di Carboni, di Tomassetti o di Antonella Pau di entrare nella società, o comunque che giustifichi quella "donazione", Verdini chiama in causa una scrittura privata, datata 2009, su una promessa di acquisto del 2004 che, però, non convince gli investigatori. L'ipotesi dell'accusa è che quel "regalo" sia che un temporaneo "parcheggio". Un modo per ripulire quella somma. E non è un caso che, dopo due settimane, inizi il prelievo di quei soldi da parte dei soci della Ste. Verdini in primis, ma anche Massimo Parisi, coordinatore del Pdl Toscana. Un attingere continuo con piccole somme, che, in pochi mesi, non lascia più traccia, nelle casse della società, di quel "regalo" ingiustificato. Fino a qui la ricostruzione accertata, ora le indagini per capire le ragioni di quel versamento. E, soprattutto, per chiarire se sia stata l'unica operazione di questo tipo. O se, come si sospetta, sia stato uno dei modi per "pagare" le agevolazioni per l'eolico.


Sotto esame le 60 posizioni aperte da Verdini al Credito Fiorentino di cui era presidente
Sui rapporti coordinatore-banca il sospetto del conflitto d'interessi
di Franca Selvatici

LA REPUBBLICA   -   30 luglio 2010   pag. 11

FIRENZE - Conflitto di interessi fra Denis Verdini banchiere e Denis Verdini cliente della sua stessa banca, il Credito cooperativo fiorentino che il coordinatore del Pdl ha guidato dal 1990 al 23 luglio. L'ipotesi prende forma nella relazione degli ispettori della Banca d'Italia Vincenzo Catapano e Antonio Cattolico, ora all'esame dei magistrati di Roma che indagano sulla P3 e dei loro colleghi di Firenze che stanno lavorando sui finanziamenti erogati dalla banca di Verdini al gruppo Baldassini Tognozzi Pontello (Btp) dellimprenditore Riccardo Fusi. Ed è uno degli spunti che, ad avviso degli inquirenti, potrebbero portare «nuova linfa» alle indagini.
Al Credito cooperativo fiorentino, scosso dalle dimissioni del presidente e dell'intero consiglio di amministrazione, sono arrivati ieri i commissari straordinari nominati dal governatore di Bankitalia Mario Draghi: il professor Angelo Provaroli, ex rettore dell'Università Bocconi, e il dottor Virgilio Fenaroli. Sarà loro compito assicurare la gestione della banca e restituire fiducia a soci e correntisti dopo la tempesta, ma anche approfondire gli elementi critici rilevati dagli ispettori: quelle «gravi irregolarità amministrative e gravi violazioni normative» che hanno convinto il direttorio di Bankitalia, all'unanimità, a proporre il commissariamento dell'istituto e il ministro dell'economia a decretarlo.
Sotto la guida di Verdini, il Credito Cooperativo Fiorentino ha conosciuto uno sviluppo impetuoso. Dal ´91 ad oggi i soci sono passati da 522 a 1.012, i depositi da 52 a 460 milioni di euro, gli impieghi da 23 a 406 milioni. Tuttavia - è il giudizio degli ispettori - la banca è stata esposta a rischi. Un piccolo istituto con finalità mutualistiche si è lanciato in operazioni nel comparto immobiliare non previste nel suo statuto. In particolare vengono espressi giudizi critici sulle relazioni intrattenute dalla banca con alcuni gruppi imprenditoriali, prima fra tutti la holding Btp (ma non solo). L'inchiesta della procura di Firenze sulla Scuola Marescialli ha documentato attraverso le intercettazioni dei carabinieri del Ros la predisposizione sistematica, da parte di società del gruppo Btp, di preliminari di compravendita fittizi in base ai quali il Credito Cooperativo erogava i finanziamenti. Tutti garantiti, ha sempre assicurato Verdini, che difende la solidità della banca e assicura che il rapporto con Btp le ha procurato grandissimi guadagni. Una tesi che non sembra convincere Bankitalia, mentre la procura di Firenze sospetta che Verdini possa essere socio occulto di Fusi.
Gli ispettori hanno segnalato anche operazioni di frazionamento di somme consistenti in assegni di piccolo taglio per eludere i controlli antiriciclaggio. La relazione si sofferma anche sulle procedure di controllo interno e sulla presenza negli organi di vigilanza di professionisti strettamente legati a Verdini. Il rilievo più interessante sotto il profilo penalistico riguarda però l'ipotesi di conflitto di interessi fra Verdini presidente e Verdini cliente della banca, presso la quale aveva aperti 60 rapporti. Le indagini dovranno appurare se possa configurarsi il reato di «omessa comunicazione di conflitto di interessi», punito con la reclusione da uno a tre anni: lo commette l'amministratore di una società se non dà notizia agli altri amministratori e ai sindaci di ogni interesse da lui detenuto per conto proprio o di terzi in una determinata operazione, sempre che essa causi un danno alla società.


TAV contro pendolari


Comitato Pendolari Valdarno Direttissima

COMUNICATO STAMPA   -   Figline Valdarno, 29 luglio 2010

«L'ALTA VELOCITA' DI DELLA VALLE DANNEGGERA' I PENDOLARI DEL VALDARNO».
Comitato Pendolari è preoccupato dalla lettera dell'assessore regionale Ceccobao al ministro Matteoli.

Preoccupa i pendolari del Valdano la recente lettera dell'assessore regionale ai trasporti Luca Ceccobao al ministro delle infrastrutture Altero Matteoli sui treni dell'Alta Velocità di Diego Della Valle. «Fa bene l'assessore Ceccobao a chiedere garanzie al ministro perché non si verifichino disagi per i pendolari con l'arrivo dei treni superveloci di Della Valle - afferma il portavoce del "Comitato Pendolari Valdarno Direttissima", Maurizio Da Re - ma ciò aumenta comunque la nostra preoccupazione, perché l'assessore Ceccobao ci conferma che fra un anno la linea Direttissima Firenze-Roma rischia l'inevitabile intasamento, con grossi rischi di ritardi per i treni dei pendolari del Valdarno e di Arezzo».
Già in questi ultimi due anni, ricorda il portavoce dei pendolari, con l'aumento del numero dei Frecciarossa e Frecciargento ci sono state frequenti le interferenze sulla Direttissima, con conseguenti ritardi per i pendolari del Valdarno e di Arezzo. «Figuriamoci cosa potrebbe accadere con ulteriori 22 nuovi treni "Italo" di Diego Della Valle - aggiunge Da Re, che ha ribattezzato il treno col nome di "Freccia Viola" - sarà un problema la mattina arrivare in orario a Firenze e sarà ancora peggio tornare a casa nel pomeriggio, quando i treni superveloci saranno ancora più numerosi. E non è di conforto - conclude Da Re - sapere dall'assessore Ceccobao che per i ritardi dei treni dei pendolari la Regione sarà pronta a pesanti sanzioni contro Trenitalia, visto che i rimborsi non spettano ai pendolari del Valdarno e di Arezzo per la nota questione, ancora irrisolta, dei "treni fantasma" della linea Firenze-Foligno».


Avvalersi della facoltà di non delinquere, ogni tanto ...

A
Avvalersi della facoltà di non delinquere, ogni tanto ...



da "Il Fatto Quotidiano",   29 luglio 2010   pag. 23
B
B
b

Troppo cemento nella Piana, lo dicono (buoni ultimi) perfino i costruttori

 
Troppe case rispetto alle famiglie
L'indagine: i nuclei crescono del 13%, i nuovi alloggi del 19
di Massimo Vanni

LA REPUBBLICA  Edizione FIRENZE   -   29 luglio 2010   pag. III

Tra il 2001 e il 2009 la popolazione della provincia di Firenze cresce del 5,4 per cento, passando da 933.860 a 984.663. Il numero delle famiglie, considerato che i nuclei sono sempre più piccoli, è aumentato invece del 13 per cento. Nello stesso periodo però lo stock residenziale, cioè il numero delle abitazioni è cresciuto del 19,1 per cento. In pratica, si è consumato più cemento e si sono costruite più case di quante ne abbia richieste l'incremento della domanda.
E' quanto si legge su «La casa giusta», l'indagine sulla condizione e le aspettative abitative commissionata da Cooperativa Unica alla Fondazione Michelucci. Un'indagine condotta sui Comuni della Piana - Sesto, Campi e Calenzano - che conferma, anche nel corso degli ultimi anni, mentre la crisi faceva sentire i propri effetti, la fuga dei fiorentini verso la periferia metropolitana alla ricerca di un equilibrio comfort/prezzo. Una ricerca che spinge sempre più lontano, ormai ai Comuni di seconda fascia. Ma che continua a «gonfiare» la Piana. Tra il 2001 e il 2009, del resto, a Sesto Fiorentino i residenti sono passati da 45.940 a 47.897, pari al 4,3 per cento in più. A Calenzano da 15.037 a 16.345, circa l'8,8 per cento di crescita. Mentre a Campi Bisenzio si è passati da 37.228 abitanti a 42.612. Quasi un balzo record del 15 per cento.
E se negli ultimi anni la popolazione residente di Firenze è sembrata stabile, le previsioni al 2025 segnano di nuovo una perdita e una crescita impetuosa di Campi e, in misura minore della Piana. «Un cambiamento che sta avvenendo sotto i nostri occhi e che richiede politiche diverse dal passato, perché le famiglie che si spostano chiederanno maggiori servizi», dice il presidente di Unica Stefano Tossani. E, visto che i dati ci dicono che chi si insedia nei tre Comuni della Piana sono soprattutto single e giovani coppie, la domanda di servizi si concentrerà soprattutto su asili nido e scuole.
Single e giovani coppie, dice la ricerca della Fondazione Michelucci, significano «frantumazione delle risorse». Cioè capitali esigui. E per questo, la crescita dei nuovi insediamenti non può più tradursi in un consumo tumultuoso del territorio che non tenga conto dei fabbisogni reali. Se le case crescono più della domanda è anche perché le nuove edificazioni sembrano tener conto più degli interessi dei costruttori che delle esigenze della popolazione. In fondo, è anche per questo se proprio a Campi, un paio d'anni fa, si è aperto uno scandalo urbanistico che ha costretto il maggior partito a richiamare in servizio il «vecchio» sindaco Adriano Chini eletto in Regione.
«Non basta più la crescita quantitativa delle case, serve una crescita mirata sulle esigenze di una popolazione fatta in gran parte di giovani e di immigrati», dice Tossani. In pratica, a fronte di un restringimento dell'offerta di alloggi popolari e di un indebitamento crescente delle famiglie, case a prezzi contenuti e affitti calmierati: «Non serve più un'offerta generica di case, servono invece interventi mirati per le categorie più deboli, per fasce selezionate della popolazione. E quando si progetta un intervento edilizio, si tratti di recupero o di nuovo insediamento, le pubbliche amministrazioni dovrebbero avere in mente qual è il fabbisogno che si vuole soddisfare», sostiene il presidente di Cooperativa Unica.
 
 
Postilla
E dove erano i costruttori come la Cooperativa Unica mentre si consumava questo scempio? A costruire, naturalmente. E proprio a Calenzano alcuni mesi fa è iniziata la costruzione di un intero nuovo quartiere per circa 2.000 abitanti. L'hanno chiamata "la nuova Calenzano": quella vecchia non gli bastava.
 
 
 

Gli squadristi del regime berlusconiano

g
GLI SQUADRISTI DEL REGIME BERLUSCONIANO

Roma 28 luglio 2010, sede nazionale del PDL. Conferenza stampa di Denis Verdini sulle vicende giudiziarie che lo riguardano.
Una giornalista chiede a Verdini di chiarire un giro di assegni passati dal Credito Cooperativo Fiorentino, la banca del coordinatore PDL.
Lui risponde con la tecnica della "supercazzola" del conte Mascetti del film "Amici miei".
La giornalista insiste per capire e far capire la questione.
A questo punto intervengono gli squadristi del regime, nell'occasione il deputato (?) Straquadanio e il giornalista (?) Ferrara, che "manganellano" la giornalista rea di volerci vedere chiaro.
Ecco il video che documenta l'accaduto (tratto dal sito  www.ilfattoquotidiano.it ).




Gli affari di Verdini / 2

I
Il Credito cooperativo nel mirino: Verdini aveva messo a capo del collegio sindacale il suo avvocato
"In quell'istituto gravi irregolarità"
Bankitalia chiede il commissariamento
di Walter Galbiati

LA REPUBBLICA   -   27 luglio 2010   pag. 4

MILANO - Che qualcosa non andasse bene al Credito cooperativo fiorentino l'avevano capito in molti, tranne gli organi della banca che dovevano accorgersene. «Dalla nostra attività di controllo e verifica non sono emersi fatti significativi tali da richiedere la segnalazione alla Banca d´Italia», scrivevano il 21 aprile 2010 i sindaci del Credito cooperativo in appendice al bilancio 2009.
Eppure tra sviste sugli affidamenti, mancate segnalazioni di operazioni sospette, prelievi in contanti agli sportelli, la Banca d'Italia si è sentita in obbligo di chiedere l'amministrazione straordinaria dell'istituto di credito, il cui presidente era, fino a ieri, Denis Verdini, il coordinatore nazionale del Pdl indagato per corruzione da tre diverse procure. Non sono bastate infatti al direttorio di via Nazionale, riunitosi senza la presenza del governatore Mario Draghi e del direttore generale Fabrizio Saccomanni, entrambi in trasferta a Basilea, le dimissioni del padre padrone della banca e dell'intero consiglio di amministrazione. Per garantire i correntisti e i risparmiatori che hanno affidato i propri denari alla piccola banca di Campi Bisenzio (Firenze) servono uno o più commissari. La richiesta è sul tavolo del ministero dell'Economia e delle Finanze, che con decreto può sciogliere gli organi di amministrazione e controllo e dare il via al commissariamento. Le nomine spettano poi a Banca d´Italia. Il fine è di garantire l´accertamento delle irregolarità, che gli ispettori di Via Nazionale hanno iniziato a scandagliare nei mesi scorsi e che hanno già bollato come gravi.
Nessun provvedimento più blando del resto poteva garantire la tutela del risparmio né tanto meno una sana e prudente gestione dell'istituto. Tra conti correnti e depositi a risparmio la banca ha in cassa 187 milioni di euro. Verdini aveva pensato bene di non mettere nessun amministratore a capo della banca. Il vicepresidente era il suo avvocato di fiducia, Marco Rocchi, due dei quattro consiglieri erano amministratori delle sue aziende editoriali, Enrico Luca Biagiotti e Fabrizio Nucci. Ma ad allarmare di più la Banca d´Italia è stata la composizione del collegio sindacale, l'organo che in teoria avrebbe dovuto tenere un rapporto diretto con Via Nazionale per la segnalazione delle irregolarità. Il presidente del collegio è un altro avvocato di Verdini, Antonio Marotti, mentre gli altri due sindaci sono Luciano Belli, socio della moglie di Verdini in Edicity, e Gianluca Lucarelli, sindaco della stessa società. Mancano in sostanza quei requisiti di indipendenza che avrebbero dovuto garantire un controllo sereno sulle attività della banca. Tra i crediti, infatti, gli ispettori della Banca d'Italia hanno trovato diversi affidamenti sospetti alle società editoriali di Verdini e al gruppo Btp di Riccardo Fusi, l'imprenditore edile al centro dell'inchiesta per gli appalti da 200 milioni di euro per la Scuola dei Marescialli. Non ha convinto gli ispettori nemmeno la posizione del direttore generale, Piero Italo Biagini, finito anche lui nel registro degli indagati per i finanziamenti al gruppo Fusi. Una situazione esplosiva, a fronte di un patrimonio di soli 56 milioni di euro, aggravata dalle operazioni per contante effettuate agli sportelli dell'istituto. L'ipotesi della procura è che i cassieri della banca abbiano reso liquidi alcuni assegni destinati a Verdini, presunte tangenti versate dal faccendiere Flavio Carboni per indirizzare gli affari legati allo sviluppo del settore eolico in Sardegna. La libertà di Verdini nell´istituto che presiedeva ininterrottamente dal 1990 è dimostrata anche dal numero di rapporti aperti: tra conti correnti, finanziamenti, garanzie, operazioni extraconto erano ben sessanta. Nessuno si era mai sognato di andare a vedere cosa fossero.



Contestato a Verdini il reato di mendacio bancario per i rapporti con Fusi
Nuova imputazione da Firenze "Dati falsi per i fidi agli amici"
di Franca Selvatici e Massimo Vanni

LA REPUBBLICA   -   27 luglio 2010   pag. 5

FIRENZE - Nel giorno più lungo di Denis Verdini si scopre che a Firenze - città dalla quale è partita la valanga delle inchieste sui Grandi Eventi - è stata ipotizzata a suo carico una nuova accusa. Forse la più dura da sopportare per lui che per venti anni è stato presidente del Credito cooperativo di Campi Bisenzio, alle porte di Firenze, e che ha più volte dichiarato: «La banca è la mia vita». La procura fiorentina, che già gli contesta la corruzione per i suoi rapporti con l'imprenditore Riccardo Fusi della Btp (Baldassini Tognozzi Pontello), lo ha messo sotto inchiesta anche per mendacio bancario: reato commesso da amministratori o dirigenti di banca che consapevolmente permettano ai clienti che chiedono prestiti di presentare dati falsi. Con la conseguenza di mettere a repentaglio la solidità della banca stessa.
Secondo la procura, il Credito cooperativo fiorentino ha concesso al gruppo Btp cospicui affidamenti, dell'ordine di milioni di euro, accettando per buoni preliminari di compravendita fittizi, predisposti da Riccardo Fusi, firmati da suoi collaboratori o soci e mai perfezionati. Contratti validissimi, ha sempre sostenuto Verdini, sottolineando che grazie alla azienda di Fusi il Credito cooperativo ha «realizzato grandissimi guadagni». E' probabile dunque che sia stata questa nuova accusa, cui si aggiunge l'imminente deposito della relazione degli ispettori di Bankitalia, a indurre Verdini a rassegnare le sue irrevocabili dimissioni dalla presidenza dell'istituto.
«Sono certo di poter dimostrare la mia estraneità da ogni illecito, tuttavia la rilevanza assunta dai fatti che mi vengono imputati, che va bene al di là del merito dei problemi, rischia di gettare un'ombra sulla banca», scrive il coordinatore Pdl in una lettera datata 23 luglio e resa nota ieri dai vertici della banca. Poche ore dopo si dimette in blocco anche il Cda: «Con lui abbiamo condiviso tutto, gestione ordinaria e totalità delle scelte», scrivono. E per togliere ogni ombra dal Credito, spiegano i dimissionari, «abbiamo deciso un taglio netto, non si dovrà più dire che questa è la banca di Verdini».



E per Denis una giornata da incubo con la paura di una richiesta di arresto
L'uscita dalla sua banca per evitare la custodia cautelare
di Maria Elena Vincenzi

LA REPUBBLICA   -   27 luglio 2010   pag. 5

ROMA - Ha temuto che arrivasse un ordine d'arresto prima ancora dell'interrogatorio. Ed è anche, e forse soprattutto per questo, che Denis Verdini ha separato le sue sorti dalla banca di cui era presidente. Per togliere agli inquirenti una possibile motivazione a sostegno di un eventuale richiesta di carcerazione. Iniziativa che, trattandosi di un parlamentare, avrebbe bisogno dell´autorizzazione della Camera di appartenenza.
Con questo "peso" Verdini ieri ha affrontato l´interrogatorio in procura. Un terrore che lo ha accompagnato in questi giorni. Il coordinatore del Pdl è indagato per corruzione e associazione segreta. Reato quest'ultimo che viola gli articoli 1 e 2 della legge Anselmi. Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e il sostituto Rodolfo Sabelli che, insieme ai carabinieri del nucleo investigativo di Roma, si occupano dell´inchiesta sugli appalti per l'eolico in Sardegna e sulla P3, sono scesi nei particolari di ogni singola contestazione. Nei dettagli di quella che gli inquirenti ritengono una moderna loggia che operava per fare pressione sui vertici dello Stato e della magistratura. Un gruppo di pressione di cui Verdini, secondo l'accusa, faceva parte. O forse anche qualche cosa di più. E vista la durata dell'interrogatorio, tutto fa pensare che il coordinatore del Pdl abbia risposto. Che abbia provato a spiegare punto per punto le molte telefonate intercettate nelle quali lui parla con i componenti della loggia, a spiegare i contenuti del famoso pranzo nella sua abitazione di palazzo Pecci Blunt, in piazza dell'Aracoeli. E, probabilmente, che abbia provato a chiarire anche molto altro.
Un giorno difficile per Verdini. Ai cronisti che lo hanno avvicinato quando, alle 14.50, in abito blu, è sceso dalla Mercedes che lo ha accompagnato in procura insieme ai suoi difensori, Franco Coppi e Marco Rocchi, il deputato si è limitato a rispondere che avrebbe «usato bene la sua voce, per rispondere ai magistrati». E, a giudicare dalle ore che ha passato davanti agli inquirenti, Verdini ha parlato eccome. E dopo una battaglia di nove ore, il coordinatore del Pdl è apparso sereno e lucido nell'affrontare un passaggio difficilissimo. Che è arrivato al culmine di settimane segnate, come si diceva, anche dal timore di un provvedimento di carcerazione. Chi lo conosce, descrive Verdini come un uomo terrorizzato dall'idea dell'arresto. Pare che la paura di finire dietro le sbarre in questi giorni lo abbia perseguitato. E anche ieri, prima che arrivasse a palazzo di giustizia, la voce di un suo imminente arresto circolava insistentemente. Al termine dell'interrogatorio, una stoccata ai giornalisti: «Hanno il diritto alla libertà di stampa e all'autonomia, ma i cittadini, poveracci, finiscono sbatacchiati sui giornali come succede sempre; e allora meno male che c'è Berlusconi».
L'annuncio delle dimissioni dal vertice del Credito cooperativo fiorentino è sembrata a Verdini e ai suoi legali la più efficace mossa difensiva. L´unico modo per giocare d'anticipo rispetto a una possibile richiesta di custodia cautelare in carcere: non potendo più decidere per la sua banca, muovere denaro e promuovere operazioni - hanno pensato i suoi avvocati - viene meno il pericolo di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato, motivazioni che avrebbero potuto indurre i pm a chiedere la carcerazione. La lettera con cui Verdini ha rimesso l'incarico risponderebbe proprio a questa strategia difensiva: quella di scongiurare le sbarre prima di tutto.
E mentre il coordinatore del Pdl ieri parlava davanti ai magistrati, la Guardia di Finanza continuava a passare al setaccio i suoi conti correnti e le sue cassette di sicurezza. È finito sotto osservazione tutto ciò che il deputato ha avuto in questi ultimi anni. Sotto esame tutti i flussi di denaro che Verdini ha movimentato e gli immobili che il coordinatore ha avuto nella sua disponibilità da sei anni a questa parte.


Gli affari di Verdini / 1


I verbali
Ecco tutti i segreti del tesoro di Verdini
di Walter Galbiati

LA REPUBBLICA   -   26 luglio 2010   pag. 1 e 5

MILANO - Ha ricevuto garanzie dal Mediocredito e possiede conti, titoli e garanzie presso Banca Intesa. Ha effettuato operazioni extraconto con Unicredit, ha aperto e chiuso rapporti con la Banca di Lodi e il Banco di Napoli e non ha disdegnato di avere titoli e obbligazioni in deposito alla Cassa di Risparmio di Firenze. Sono ancora attivi i suoi conti correnti presso Webank e la Banca Nazionale del Lavoro, mentre in passato ha ricevuto finanziamenti da Deutsche Bank. Una certa preferenza è andata al Monte dei Paschi di Siena con la quale ha registrato rapporti per garanzie, cassette di sicurezza, carte e conti correnti. Qualche passaggio lo ha fatto anche alla Popolare di Milano, alla Banca di credito cooperativo di Reggello, alla Aureo gestioni e altro, ma niente a che vedere con i 60 rapporti aperti con il Credito cooperativo fiorentino.
E non è difficile capire perché Denis Verdini, coordinatore nazionale del Pdl, e oggi indagato per corruzione a Firenze (per l'appalto della Scuola marescialli), a Roma (l'indagine sull'eolico) e a L'Aquila (gli appalti della ricostruzione post-terremoto ottenuti dal "Consorzio Federico II") abbia scelto come sua banca di fiducia la banca di cui è presidente. Lì non solo ha una normale operatività in conti correnti, deposito titoli, risparmi, carte di credito e di debito, ma ha anche un considerevole numero di garanzie, crediti, operazioni extraconto e altro per un totale di 60 rapporti. Sui quali ora sta indagando il Nucleo di polizia valutaria di Roma.
Del resto Verdini è il padre padrone del Credito cooperativo fiorentino. Lui è l'indiscusso presidente dal 1990 e il vertice della banca è praticamente in mano sua. Il vicepresidente vicario non è altri che il suo avvocato, Marco Rocchi, e due dei quattro consiglieri di amministrazione sono a libro paga nelle sue aziende: Enrico Luca Biagiotti è consigliere della Società Toscana di Edizioni ed è l'amministratore unico della Nuova editoriale, le società attraverso le quali Verdini controlla Il giornale della Toscana, mentre Fabrizio Nucci (*) è addirittura socio di Verdini della Nuova Toscana Editrice (di cui è socio anche Massimo Parisi braccio destro di Verdini e parlamentare del Pdl). Chi poi deve controllare, il collegio sindacale, non brilla certo per indipendenza. Il presidente è l'avvocato "storico" di Verdini, Antonio Marotti, mentre gli altri due sindaci sono uno, Luciano Belli, socio della moglie di Verdini in Edicity, l'altro, Gianluca Lucarelli, presidente del collegio sindacale della stessa società.
La mancanza di controllo all'interno del Credito cooperativo è diventata palese proprio nei rapporti con la Società Toscana di Edizioni (Ste), alla quale la banca ha concesso un fido superiore al 10% del proprio patrimonio (che a fine 2009 era di 56 milioni di euro). L'operazione, ritenuta sospetta dalle Fiamme gialle, avviene nel 2005, quando la Ste versa in base a un contratto preliminare 2,6 milioni di euro a Verdini e a Parisi per l'acquisto di quote di una nuova società, la Nuova toscana editrice. Sulla carta, la Ste si sarebbe procurata la provvista attraverso una plusvalenza di 2,6 milioni, ottenuta vendendo alcuni immobili proprio alla Edicity, la società di proprietà della moglie di Verdini e in cui siedono gli stessi sindaci della banca. In realtà gli investigatori stanno analizzando una serie di versamenti in contanti.
Il giro di immobili e di contratti "tutto in famiglia" della Ste è simile alle compravendite ritenute "fasulle" dagli inquirenti fiorentini che hanno analizzato i finanziamenti concessi dal Credito cooperativo a un altro gruppo amico, la società di costruzioni Btp di Riccardo Fusi, al centro dell'inchiesta per l'appalto da 200 milioni di euro per la Scuola dei Marescialli. Il Credito concedeva prestiti a Fusi (fino a 10 milioni di euro) su preliminari di compravendite immobiliari che poi non venivano mai chiusi. Fusi è finito sul registro degli indagati con il direttore generale del Credito cooperativo, Piero Italo Biagini. E forse non era nemmeno un caso che la segretaria di Fusi, Monica Manescalchi fosse nel collegio dei probiviri della banca.
La mancanza di controllo trova piena corrispondenza nel bilancio, dove alla voce "rapporti con parti correlate" non vi è nemmeno l'ombra di quanto avveniva tra le società di Verdini e la banca. Solo di recente la Banca d'Italia ha avviato un'ispezione sul Credito cooperativo, sebbene già nel '98 non erano mancate le prime avvisaglie, quando una prima ispezione era terminata con una multa da un milione di euro per ritardi nella iscrizione tra gli incagli di crediti andati a male. Ora ce ne sarebbe abbastanza per chiedere un commissariamento, anche perché, secondo l'accusa, sui conti del Credito cooperativo sarebbero stati resi liquidi parte degli assegni versati da Flavio Carboni, il faccendiere regista della P3, a Verdini per gli appalti in Sardegna nel settore eolico. Di quel milione, una tranche da 230 mila euro si è trasformata in denaro sonante a luglio 2009 presso la filiale del Credito Cooperativo di Campi Bisenzio, dove Antonella Pau, la convivente di Carboni, ha portato 23 assegni circolari da 10mila euro. Tra novembre e dicembre, ne sono arrivati altri otto da 12.499 euro. Importi non casuali, ma tali da non superare i limiti della normativa antiriciclaggio. Dopo i 12.500 euro scatta infatti la segnalazione. Nessuno obbligo quindi, ma nessuno in banca si è nemmeno insospettito di quei versamenti e prelievi, per cifre imponenti e con valori vicini ai limiti di legge. E non si può neppure dire che siano cifre insignificanti per una banca che nel 2009 ha riportato un utile di 240mila euro a fronte di 400 milioni di impieghi.

(*) = Fabrizio Nucci è anche direttore del settimanale locale "Metropoli" [ndr]


TAV a Firenze: ecco alcune delle cose che non tornano

A
Associazione di volontariato Idra
Tel. e fax 055.233.76.65


COMUNICATO STAMPA   -   Firenze, 24.7.'10

 
TAV A FIRENZE. IDRA OSPITE DELL'OSSERVATORIO AMBIENTALE: NUOVE PULCI AL PROGETTO.

Quarta audizione dell'Associazione ecologista fiorentina Idra, giovedì 22 luglio, da parte dell'Osservatorio Ambientale sul Nodo Alta Velocità di Firenze. All'incontro hanno partecipato, oltre al presidente designato dal Comune di Firenze, dott. Pietro Rubellini, il membro del Ministero delle Infrastrutture dott. Ezio Ronchieri, il membro del Ministero dell'Ambiente ing. Andrea Rindi, il membro della Regione Toscana arch. Moreno Mugelli, il membro di FS-RFI S.p.A. ing. Chiara De Gregorio e, per il Supporto Tecnico ARPAT, il dott. Stefano Rossi. Il portavoce di Idra Girolamo Dell'Olio ha depositato una memoria e 19 allegati su alcuni nuovi temi che riguardano il progetto di sottoattraversamento AV e la stazione Foster.
Primo fra tutti, il nodo della montagna di terre di scavo da estrarre dal delicato sottosuolo di Firenze: come e dove andranno collocate? Idra non ha nascosto le proprie perplessità per il fatto che l'Osservatorio – col parere emesso a gennaio - abbia deciso di avallare i lavori in assenza delle autorizzazioni necessarie per più della metà del materiale da scavare. "Dev'essere considerata, questa, una scelta che deriva da una valutazione di tipo tecnico o di tipo politico?", ha chiesto Dell'Olio. "Noi non riusciamo a capire come, se non ci sono le certezze definitive che tutto lo smarino possa essere allocato in condizioni idonee nei siti adeguati, si possa dare inizio a un'operazione così importante e impegnativa nel sottosuolo di Firenze".
Ma l'analisi di Idra si spinge oltre. È accettabile che le operazioni di caratterizzazione dei materiali di scavo da parte dell'ARPAT – cioè la verifica della conformità delle terre di scavo ai parametri di qualità previsti dalla normativa – avvenga, anziché nella stessa sede in cui ha luogo lo scavo (Campo di Marte, area Macelli), nelle località di destinazione? Non risultano prescrizioni a questo riguardo da parte dell'Osservatorio Ambientale. Eppure si sa che intorno alla gestione e alla movimentazione delle terre di scavo possono addensarsi importanti appetiti speculativi e reati ambientali non trascurabili. È già successo pochi anni fa a poca distanza da qui, in Mugello, proprio in occasione della cantierizzazione TAV: al termine di un imponente procedimento penale, il Tribunale di Firenze ha comminato a marzo 2009 condanne esemplari.
Nel caso Firenze, ha fatto presente Idra, i livelli di inquinamento della falda e il contributo aggiuntivo proveniente dai processi industriali di estrazione potrebbero rendere necessaria la classificazione delle terre di scavo come "rifiuto". E sarebbe davvero grave che ci se ne accorgesse solo quando è già avvenuto il trasferimento dello smarino in Valdarno, nella ex miniera di Santa Barbara a Cavriglia. Chi dovrebbe a quel punto sobbarcarsi l'onere economico del trasporto dello smarino in una o più discariche? Sono state individuate discariche 'di scorta' da utilizzare in questa evenienza? Quanto tempo aggiuntivo farebbe perdere questa operazione? Ci sarebbero tracce e percorsi ferroviari disponibili, o si dovrebbe ricorrere a caroselli di camion? Senza contare il rischio di manomissioni o miscelazioni dello smarino, probabilmente maggiore nei siti di destinazione che non in quelli di estrazione: quale capacità di controllo sarebbe in grado di stanziare, lì, l'ARPAT? In questo senso, forse anche i sindaci del Valdarno (completamente bypassati in tutte le conferenze di servizi nelle quali si sono prese decisioni sui territori da loro amministrati) farebbero bene, ritiene Idra, a esigere maggiori garanzie: le contropartite (strade e ancora strade), offerte con soldi comunque pubblici dai proponenti del sottoattraversamento di Firenze, potrebbero diventare un gioco che non vale del tutto la candela...
Dell'Olio ha poi insistito sul "paradosso dei paradossi: l'informazione negata, e la mancata pubblicazione del nuovo progetto di stazione Foster". Al riguardo, Idra ha inviato alla Direzione generale per le valutazioni ambientali, Divisione VIA-VAS, del Ministero dell'Ambiente una nota urgente di richiesta di documentazione suppletiva. Chiunque abbia valutato la stazione Foster come equivalente alla stazione Zevi in materia di impatto ambientale (per cui non si sarebbe resa necessaria una VIA specifica al riguardo) deve avere comunque fondato tale giudizio su un confronto tecnico dei due manufatti e delle rispettive ubicazioni e funzioni. Idra ha chiesto quindi il 30 giugno scorso di "ricevere copia del/dei documento/i che contiene/contengono l'istruttoria del Ministero dell'Ambiente sulla nuova stazione AV approvata nella citata conferenza di servizi conclusasi il 23.12.'03, e le valutazioni che sono discese da tale studio, sulla scorta delle quali immaginiamo sia stata accolta come giustificata la mancata predisposizione dell'apposito S.I.A. da parte del committente, e dunque estesa al nuovo manufatto "Foster" la Valutazione di Impatto Ambientale formulata nel '99 per la precedente stazione AV (cosiddetta "stazione Zevi")". Finora, a questo quesito, il Ministero non ha risposto. Ma Idra non osa dubitare che una tale istruttoria esista!
Progredisce nel frattempo l'emergenza-Bologna: come tutti i quotidiani hanno riportato in queste ultime ore, RFI ha chiesto un'ulteriore proroga di sei mesi dei lavori (che si somma ai tre anni di ritardo fin qui annunciati): per la stazione sotterranea in pieno centro bisognerà attendere dunque almeno giugno 2012. Uno scenario che sta portando all'esasperazione cittadini residenti ed esercenti commerciali, già fortemente colpiti nella qualità della vita, nel diritto alla salute, negli stessi interessi economici, e che interferisce pesantemente con la stessa programmazione urbanistica e trasportistica del Comune di Bologna e della Regione Emilia Romagna, con effetti domino sugli altri tasselli della vita della città e dell'area che ne compongono il puzzle.
Motivo ufficiale? "La complessità dei cantieri", ha spiegato l'altro ieri Giacomo Venturi, presidente del Comitato del Nodo ferroviario bolognese e vicepresidente della Provincia di Bologna con delega ai Trasporti, Giacomo Venturi. Una circostanza che, proiettata sullo scenario-Firenze, fa venire i brividi.
Il portavoce di Idra si è rivolto quindi direttamente alla rappresentante di FS-RFI nell'Osservatorio per il Nodo di Firenze, l'ing. Chiara De Gregorio: "Riteniamo che questa esperienza drammaticamente in corso nella vicina Bologna – ha detto Dell'Olio - possa e debba insegnare molte cautele a chi ha il compito di autorizzare, monitorare, controllare e intervenire sulla progettazione AV a Firenze. Diventa particolarmente urgente ricevere le risposte ai quesiti che da oltre un anno la nostra Associazione ha rivolto ai responsabili di RFI. Ai microfoni di Rai Uno, nell'ambito di un'inchiesta condotta da Irene Benassi ad aprile dell'anno scorso, il referente di progetto di RFI per i Nodi AV di Bologna e di Firenze ing. Marco Rettighieri dichiarò a proposito dei consistenti ritardi nella cantierizzazione AV a Bologna: "Ci sono stati alcuni imprevisti di natura geologica che sono stati riscontrati durante l'esecuzione dei lavori". Idra gli scrisse nei giorni successivi: "Le chiediamo di poter ricevere notizie e/o documentazione per quanto possibile circostanziate sulla natura di questi "imprevisti di natura geologica", e su quali fossero invece le diverse previsioni che avevano ispirato la progettazione e/o l'esecuzione dei lavori". Nonostante le reiterate richieste di soddisfare questa minima ed elementare curiosità informativa, RFI ha sempre taciuto. La mancanza di risposte – ha concluso Dell'Olio - crea un alone di sospetto, che forse non è fondato, intorno a quali sono i motivi progettuali e le circostanze esecutive per cui a Bologna si sta impiegando tanto tempo!".
Inoltre, ha osservato il rappresentante di Idra, nel balletto di cifre sulla durata programmata per i lavori TAV a Firenze si notano stranezze che meriterebbero di essere una volta per tutte chiarite. Un "Programma Lavori" (Progetto Esecutivo), che Idra ha ricevuto dall'Osservatorio Ambientale, annuncia sette anni e tre mesi di attività. Nel testo del Parere dell'Osservatorio Ambientale del 5 febbraio scorso si legge invece che "il crono programma del Progetto Esecutivo (...) è in linea con quello allegato all'Accordo Procedimentale del 1999", e cioè di ben nove anni di lavori! A queste versioni apparentemente contraddittorie va aggiunta poi quella fornita dal presidente della Regione Toscana Enrico Rossi al termine dell'incontro del 21 luglio con l'ad di FS Mauro Moretti: Ferrovie avrebbe assicurato nel corso di quel vertice il passaggio dei treni nel sottoattraversamento di Firenze addirittura entro dicembre 2014. Se quest'ultimo dato fosse credibile, allora sarebbe certo intervenuta una modifica progettuale o esecutiva di non poco conto. Ci si domanda: cosa mai è cambiato per consentire un tale risparmio di tempo? E comunque, prima di un annuncio del genere, non sarebbe stato doveroso informarne l'Osservatorio perché possa valutarne preventivamente le conseguenze ambientali? O è un pacco dono al quale semplicemente non si deve, come dire, guardare in bocca? Insomma: converrebbe fare un po' d'ordine! In controtendenza, infatti, le notizie provenienti dall'ARPAT (ARPATnews del 12.7.'10, dal titolo "ARPAT per le grandi opere. Il nodo di Firenze dell'Alta velocità") suggeriscono che si debba mettere in conto una dilatazione, piuttosto che una contrazione, dei tempi, se è vero che "verifiche documentali ed in campo a giugno 2010 hanno evidenziato che al cantiere Campo di Marte i limiti per il rumore sono rispettati solamente se le macchine operatrici impiegate (ed in particolare la benna mordente) non lavorano per più di 6 ore e 30 minuti al giorno, cosa questa poco verosimile per un cantiere che può lavorare dalle 6 alle 20".
Lo stesso documento ARPAT rivela peraltro uno stato di evidente sofferenza dell'Agenzia di Protezione Ambientale, in termini di personale dedicato ai controlli TAV e di raccordo operativo con le altre autorità competenti in materia di ambiente. Un déjà vu che non può non preoccupare...
Nel corso dell'audizione Idra ha anche illustrato le linee guida del Progetto per la sorveglianza dell'impatto sulla salute della popolazione residente a Firenze presentato nel 2000 dall'Azienda Sanitaria di Firenze, e della Proposta di monitoraggio ambientale sanitario dei cantieri delle grandi infrastrutture di trasporto pubblico, presentata l'anno dopo dal Dipartimento di Prevenzione della ASL e dal Dipartimento Provinciale per la Protezione Ambientale. Com'è noto, nessuna delle due proposte risulta essere stata accolta dai destinatari, fra i quali l'allora sindaco del Comune di Firenze Leonardo Domenici. È parso utile depositare presso l'Osservatorio Ambientale questi documenti. I proponenti ASL e ARPAT scrivevano infatti nel 2001: "Questo progetto, che per la delicatezza e complessità dell'argomento trattato può essere diretto e svolto esclusivamente da istituzioni pubbliche, andrà ad integrare quanto già previsto in sede di Accordo Procedimentale per il monitoraggio ambientale che deve essere effettuato a spese e cura del proponente l'opera, sotto il controllo dell'Osservatorio Ambientale".
In tema salute, è arrivata infine in questi giorni a Idra la segnalazione del seguente comunicato della sezione fiorentina dell'ISDE (Associazione Medici per l'Ambiente). Scrive il 20 luglio scorso il presidente dott. Massimo Generoso: "Relativamente alla realizzazione del sottoattraversamento T.A.V. nella città di Firenze, la sezione Fiorentina ISDE (Medici per l'Ambiente) esprime grande preoccupazione per le possibili ripercussioni negative sulla salute dei cittadini. Infatti si possono verificare danni conseguenti al rumore (cefalea, disturbi del sonno, dell'umore, difficoltà di apprendimento, fino alla diminuzione dell'udito) e danni all'apparato respiratorio e cardiocircolatorio provocati dalle polveri derivanti sia dai lavori di scavo sia dal trasporto per le strade cittadine di tutto il materiale oggetto di scavo".