PIANO CASA, REGIONI FAI-DA-TE GIUNGLA DI REGOLE SUGLI AMPLIAMENTI
La Repubblica - 28 agosto 2009 pagina 33 sezione: ECONOMIA
ROMA - Il federalismo si è materializzato con il piano casa. Sono dodici le Regioni - compresa anche la Provincia autonoma di Bolzano - che hanno già approvato una legge per consentire l'ampliamento o la ricostruzione di immobili. L'accordo Stato - Regioni prevedeva che entro il 10 aprile sarebbe stato emanato un provvedimento d'urgenza per semplificare, fra l'altro, le procedure abilitative e permettere l'avvio sprint dei lavori di estensione delle abitazioni esistenti. Il decreto legge non è arrivato ma l'idea lanciata dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di invertire il trend negativo del settore delle costruzioni - concedendo cubature aggiuntive ai proprietari che volevano allargare o ricostruire i loro edifici - non è rimasta sulla carta. Così le Regioni hanno fatto da sole. Con regole differenti e con possibilità di ampliamenti che, in molti casi, vengono estesi anche ai fabbricati non residenziali. E alle dodici potrebbero aggiungersene presto altre: sono infatti otto i disegni di legge delle giunte regionali che saranno sottoposti nei prossimi mesi all'approvazione dei rispettivi consigli.
Il primo tassello del piano casa federale lo ha messo la Toscana, limitando i premi di ampliamento a edifici mono e bifamiliari o, in ogni caso, con una superficie non superiore ai 350 metri quadrati. In pratica, l'aumento del volume del 20% non può superare i 70 metri quadrati. Disco rosso, invece, per gli immobili adibiti ad attività produttive.
Di tutt'altro tenore la legge del Veneto, molto più generosa. Il bonus per ampliamento degli edifici viene riconosciuto nei limiti del 20% del volume se destinati ad uso abitativo e del 20% della superficie coperta se utilizzati, ad esempio, per l'esercizio di attività economiche. E in alcune ipotesi è ammessa la realizzazione di un corpo edilizio separato. Il piano casa veneto premia, inoltre, operazioni di abbattimento e ricostruzione degli edifici costruiti prima del 1989, con aumenti di volume (per le case) e di superficie (per gli edifici non residenziali) fino al 40%, in deroga agli strumenti urbanistici, a condizione, però, che gli interventi siano compatibili con la destinazione urbanistica dell'area, non modifichino l'utilizzo degli edifici e impieghino tecniche di edilizia sostenibile e fonti di energia rinnovabile. Sia gli ampliamenti che le ricostruzioni sono subordinate al via libera da parte dei Comuni: entro il 30 ottobre 2009 dovranno decidere se e con quali ulteriori limiti e modalità applicare la nuova normativa regionale. Per entrambi gli interventi edilizi, il contributo di costruzione è ridotto del 60% nell'ipotesi di edificio destinato a prima abitazione del proprietario. Gli interventi non possono essere realizzati per gli edifici situati all'interno dei centri storici.
Il Lazio, invece, ha approvato il piano per l'edilizia nella seduta del 6 agosto. Potranno ampliare la loro casa del 20% i proprietari di immobili con volume non superiore a mille metri cubi. L'incremento massimo per l'intero edificio sarà di 62,5 metri quadrati. Il "premio cubatura" del 10% scatta anche per gli edifici a destinazione non residenziale utilizzati per artigianato e piccola industria con superficie non superiore a mille metri quadrati. Ma non si potrà cambiare la destinazione d'uso per dieci anni. Nelle zone agricole, i benefici previsti dalla legge potranno essere utilizzati solo dai coltivatori diretti, dagli imprenditori agricoli a titolo professionale e i loro eredi.
Alcune normative prevedono poi dei superbonus di ampliamento collegati, spesso, a miglioramenti della prestazione energetica o a interventi anti-sismici. Ad esempio, la legge regionale dell'Emilia Romagna stabilisce che, per gli edifici esistenti al 31 marzo 2009 con una superficie non superiore a 350 metri quadrati, l'allargamento è ammesso fino al 20% in più e, in ogni caso, fino ad un massimo di 70 metri quadrati. Sarà possibile estendere l'immobile entro un massimo del 35% (e comunque fino a 130 metri quadrati) applicando i requisiti di prestazione energetica in tutto l' edificio e non solo sulla parte ampliata.
ROSA SERRANO
IL PIANO CASA E LE LEGGI REGIONALI
La Repubblica - 02 settembre 2009 pagina 30 sezione: COMMENTI
Ha ragione Rosa Serrano (la Repubblica, 28 agosto) di parlare di «fai-da-te» delle regioni sul «pianocasa», con conseguente «giungla di regole».
Ma c'è di più. L'accordo-beffa del 1° aprile (data ben scelta, non c' è che dire) prevedeva una precisa sequenza: il governo s'impegnava a emanare entro 10 giorni un decreto legge di «semplificazioni normative», di fatto un maxi-condono edilizio preventivo; le regioni avevano poi tre mesi di tempo per emanare le proprie norme. Cinque mesi sono passati senza che il governo abbia emanato il suo decreto; intanto, come ha scritto Rosa Serrano, «sono 12 le leggi già pronte, altre 8 allo studio», ma alla scadenza di tre mesi di cui all'accordo del 1° aprile solo due regioni (Toscana e Umbria) e la provincia autonoma di Bolzano avevano emanato la propria legge.
È dunque evidente che l'accordo del 1 aprile è saltato.
Una cosa hanno in comune le norme regionali, varate o da varare: sono illegittime, perché prevedono deroghe al Codice dei Beni culturali e ad altre leggi dello Stato, dunque vanno oltre la competenza delle regioni. L'ordine logico e cronologico è quello previsto il 1° aprile: prima una legge quadro statale, dopo le leggi regionali, di natura attuativa. Se il governo le impugnasse alla Corte Costituzionale, cadrebbero con un sol colpo di bowling, ma è improbabile che accada.
Due gli scenari possibili: primo, il governo aspetta che tutte le regioni abbiano fatto la propria leggina per poi «adeguarsi» con una legge nazionale giustificata, esautorando il Parlamento, come l'esito di una spinta dal basso. Secondo scenario: la norma nazionale non viene mai emanata, il governo fa finta che l'accordo del 1 aprile sia un surrogato della legge e, in connivenza con le regioni, omette di impugnare le loro leggine davanti alla Corte, come dovrebbe.
In questo teatrino della politica, vittima della beffa è il paesaggio come bene comune, cioè noi. L'aggiunta di volumetrie vietate fu l'oggetto dei condoni edilizi di Berlusconi deprecati dalla sinistra; ma ora le regioni «di sinistra», sbandierando la dubbia etica del male minore, difendono il proprio piano-casa con un argomento miserevole: perché esso consente devastazioni minori di quelli delle regioni «di destra». La differenza fra destra e sinistra non è dunque nel rispetto delle leggi, ma nella misura in cui esse vengono violate.
Per esempio l'Umbria, la cui presidente Lorenzetti aveva dichiarato all'Unità che il piano-casa di Berlusconi «favorisce l'abuso e distrugge il territorio», ha prodotto una legge che legittima persino l'abbattimento degli uliveti (in Umbria!) in favore di progetti edilizi. Italia Nostra ha denunciato il «piano per la cementificazione dell'Umbria» alla Commissione Europea per infrazione del principio di sviluppo sostenibile, e ha chiesto al governo di impugnarlo per incostituzionalità.
La convergenza fra governo e «opposizione» non è un caso, è il cuore del problema.
La nuova disciplina di tutela del paesaggio, che prevede la pianificazione congiunta Stato Regioni e «il minor consumo del territorio», è in un Codice bipartisan, prodotto da due governi Berlusconi e da un governo Prodi. Ma non meno trasversale è stata la decisione di rinviarne tre volte l'entrata in vigore, ora prevista al 1° gennaio 2010.
Intanto, la devastazione dell'agro romano continua quale che sia il segno politico delle amministrazioni regionale e comunale. L'ottimo rapporto 2009 della Società Geografica Italiana (curato da Massimo Quaini) analizza il caso di Malagrotta, luogo di nuove lottizzazioni con 50.000 abitanti e di alcuni ipermercati, ma anche di una raffineria petrolchimica e della più vasta discarica d'Europa, che assorbe ogni giorno 5000 tonnellate di rifiuti, compresi (fino al 2008) i fanghi di depuratori e fogne: la gloriosa Campagna romana è diventata un paesaggio di morte. L' amministrazione dei beni culturali ha dato da poco un ottimo segnale con un vincolo di tutela paesaggistica (applicando per la prima volta l'art. 138 del Codice) sul vasto territorio a sud di Roma (fra Laurentina e Ardeatina), dove casali, torri e acquedotti ancora connotano un paesaggio amato da Goethe e Stendhal. Eppure Comune e regione sono subito scesi in campo: per Alemanno il vincolo è un «fulmine a ciel sereno», per la regione Lazio è inaccettabile perché «non tiene conto della pianificazione intrapresa». Destra e sinistra accorrono in soccorso dei palazzinari che vogliono cementificare anche questo lembo prodigiosamente (quasi) intatto di Campagna. Il Ministero ha finora resistito, e questo vincolo sull'agro romano, per la sua straordinaria importanza, ha ormai il valore di un simbolo e di una cartina di tornasole.
Questa istruttiva vicenda mostra che l'amministrazione dei beni culturali (lo Stato) ha a cura la tutela del paesaggio molto più delle amministrazioni locali; la partita fra Stato e regioni è assai più decisiva della differenza di colore politico fra Veltroni e Alemanno o fra Storace e Marrazzo.
Il paesaggio è il grande malato d' Italia. Il rapporto Istat 2009 registra un incremento del costruito di 3,1 miliardi di metri cubi nel decennio 1995-2006, nonché l'evoluzione in senso meramente consumistico del rapporto popolazione territorio, che va verso «la saturazione territoriale, in nessun caso sostenibile».
Ma i dati Istat sono approssimati per difetto: nel 2008 l'Agenzia del Territorio ha scoperto un milione e mezzo di fabbricati abusivi, una vera megalopoli fantasma (Paolo Biondani sull'Espresso del 6 agosto). Come ha scritto Romano Prodi, «la devastazione del territorio continua e sarà ricordata anche fra molti secoli come il documento più buio dell' Italia del dopoguerra» (Il Messaggero, 26 agosto).
Una situazione così drammatica impone di fermarsi a pensare. E' necessario ripartire dai valori della Costituzione: il paesaggio come bene comune, luogo identitario, orizzonte del benessere e della qualità della vita. Nell'incultura e incoerenza diffuse in tutte le forze politiche, resta un soggetto che può e deve riaffermarlo con forza. Noi, i cittadini.
SALVATORE SETTIS