Navi dei veleni, parla il pentito Francesco Fonti
di Alessandro Farruggia
«Visto che avevo ragione? Le navi ci sono. E, le assicuro, c’è anche il coinvolgimento di servizi e politici. Questa storia è marcia…».
Francesco Fonti, 64 anni, boss n’dranghetista, collaboratore di giustizia per sei anni, per tanti anni residente a Reggio Emilia dove gestiva un traffico di stupefacenti, ha scontato 31 anni di carcere e oggi vive in un’altra regione del Nord. E’ lui la gola profonda della vicenda delle «navi dei veleni».
Quante sono le “navi a perdere“ affondate in acque italiane?
«Circa trenta, quasi tutte attorno alla Calabria: sia sul Tirreno sia sullo Ionio. Ma so di tre affondate in Liguria, una al largo di La Spezia due più verso Genova. E di una, un carico di scorie di una industria farmaceutica, affondata al largo di Livorno, intorno all’87».
Quelle affondate in Liguria e al largo di Livorno contenevano materiale radioattivo?
«No, che io sappia contenevano solo fusti di materiali tossici».
Da dove venivano i rifiuti?
«Industrie chimiche e farmaceutiche, sia italiane sia tedesche, svizzere, persino russe. E non solo. Anche l’Enea, come ho dichiarato, ci fece smaltire un carico di 500 bidoni di fanghi radioattivi del suo sito di Rotondella. Era il 1987, i rifiuti radioattivi sono finiti alla foce del fiume Ueli Scebeli, un fiume dell’Etiopia. Noi eravamo solo gli esecutori, facevamo il lavoro sporco per altri».
Chi faceva da intermediario?
«I servizi segreti. Erano loro a coordinare la raccolta. A loro si rivolgeva l’industria. Ed erano il filtro con il mondo della politica. Il mio contatto era, sino dal 1978, un agente del Sismi di nome Pino. Lui mi indicava la quantà di scorie da far sparire e il porto di imbarco. Il pagamento avveniva estero su estero, ad esempio all’agenzia aeroporto di Lugano d di un importante istituto svizzero. Ma anche a Singapore, a Cipro, nel Lichtenstein. Il prezzo dipendeva dalla pericolosità del carico. Diciamo tra i 3-4 miliardi di lire fino a un picco di 30 miliardi pagati per un carico di 5 mila bidoni, quasi tutta roba radioattiva. Era il 1993: li portammo in Somalia».
Li portavate sempre in Somalia?
«Anche in Nigeria, Kenia, Congo, Mozambico. Ma soprattutto in Somalia. La Somalia è piena zeppa di schifezze. Ci saranno andate una quarantina di navi. La strada Garowe-Bosaso è lastricata di scorie e ce ne sono anche lungo la strada tra Berbera e Sillil, vicino Bosaso. E tra Durbo e Ceel Gaal…».
Quante navi destinate in Somalia avevano materiale radioattivo?
«Una decina almeno. Io personalmente ho portato un carico di mille bidoni equivalenti di materiale radioattivo. Provenienti anche dalla centrale nucleare di Latina. Abbiamo imbarcato il carico in una banchina molto riservata, in uso ai servizi, sul canale navigabile tra Pisa e Livorno. Portammo il carico a Bosaso su uno dei grossi pescherecci regalati dal governo Craxi alla Somalia. E a bordo c’erano anche delle casse di armi: 75 casse di kalashnikov, 30 di munizioni, 30 di mitragliette…».
Perchè alcune navi le affondavate?
«Per truffare l’assicurazione. Era un modo per arrotondare. Oltre alle tre navi di cui ho parlato, la Cunsky, la Yvonne A. e la Voriais, che ho personalmente fatto affodare a Ceteraro, Maratea e Genzano, ce ne sono altre tre, la Aoxum, la Marilijoan e la Monika, che furono acquistate dalla n’drangheta proprio per affondarle con un carico e intascare l’assicurazione: sono le tre colate a picco in Liguria. Normalmente comunque le navi erano di armatori, che le mettevano a disposizione a pagamento e poi intascavano l’assicurazione. Come dicevo in Italia ne abbiamo affondate tra 28 e 30. Oltre alla sei che ho ricordato c’è la Rigel al largo di Capo Spartivento in Calabria, tre navi affondate nelle stretto di Messina, altre vicino Tropea, una nel crotonese… ho annotato tutto».
Fino a quando sono state affondate navi o inviate in Somalia?
«Che io sappia fino agli albori del 2000. Soprattutto verso la Somalia».
Avevate contatti diretti anche con politici?
«Certo: con uomini al vertice della Dc e del Psi. Mi sono personalmente incontrato con alcuni ministri dell’epoca. Ho fatto i nomi ai magistrati, e altri posso farne».
Crede che l’inchiesta di Paola andrà avanti?
«La risposta ce la darà il tempo. Vedo che il nuovo procuratore sta lavorando bene. Ma vedremo tra due mesi se sarà stato capace di resistere alle pressioni che certamente riceverà. Personalmente sono scettico, ma se davvero andasse avanti io sono disposto a raccontare tante cose che non ho ancora detto e che a mia tutela ho messo in un memoriale depositato al sicuro…».
Teme per la sua vita?
«Secondo lei? Questa è roba seria. Qualcuno mi ha chiamato ieri consigliandomi di non esagerare. E comunque già alla metà degli anni ’90 uomini dei servizi sono venuti nel mio rifugio che allora era in Trentino a dirmi “quel che lei ha detto ha detto, ma sappiamo che sai anche questo e quest’altro e non lo dica. Si fermi qui. Sennò è peggio per lei“…».