Imputati e contenti


"PASSAPAROLA" del 26 aprile 2010, di Marco Travaglio

IMPUTATI E CONTENTI

Tratto dal sito   www.beppegrillo.it 



Dio perdona, Equitalia no. Eccetto Forza Italia, AN e DS

 
Dopo l'inchiesta di "Repubblica" su Tributi Italia, dossier di "Report" sull'azienda pubblica
Tasse, quando la riscossione ci strozza caos Equitalia tra multe fantasma e aggi

LA REPUBBLICA   -   12 aprile 2010   pag. 17

ROMA - Quando tre anni fa l'allora ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa disse che pagare le tasse era bello l'Italia si sollevò. Siamo un popolo di evasori, è vero, ma dietro al pessimo rapporto del paese con il fisco non c'è solo il rifiuto dei privati e delle piccole o grandi imprese a pagare lo Stato. C'è anche il fatto che lo Stato non è chiaro né quando incassa, né quando spende, né quando traccia il suo bilancio. E la mancanza di chiarezza e trasparenza del sistema fa sì che il fisco possa diventare un mostro anche per chi, le tasse, le vuole pagare. O per chi, lungi dall'essere un evasore, per non aver pagato in tempo una multa o aver saltato una rata dell'Inps, ha visto lievitare il suo debito di giorno in giorno, di sanzione in sanzione grazie ad una marea di leggi e regolamenti impossibili da domare.
A centrare il tema, ieri sera, è stata la puntata di Report su Rai3. Dopo l'inchiesta di Repubblica che nei giorni scorsi ha raccontato il crac di Tributi Italia e la storia dei 90 milioni di euro riscossi e mai arrivati nelle casse dei comuni, la squadra di Milena Gabanelli ha affrontato il caso Equitalia, la spa che fa capo all'Agenzia delle Entrate (per il 51 per cento del capitale) e all'Inps e che per conto degli enti riscuote i tributi. Il compito, prima, era affidato alle banche che non si davano troppo da fare: Equitalia vanta performances migliori (anche se le quote portate a casa restano circa un sesto del dovuto), ma dietro a questi risultati, ha raccontato la trasmissione, ci sono storie di ordinaria follia fiscale. Case ipotecate a fronte di debiti verso lo Stato di poche migliaia di euro; fermi amministrativi su auto per multe non recapitate. Contribuenti sicuri di trovarsi davanti ad un caso di «cartella pazza», ma che per paura delle conseguenze oggi pagano per fermare la spirale, sperando in un lontano ricorso, e facendo lo slalom fra le code di diversi uffici pubblici che non parlano l'uno con l'altro. C'è l'impiegata di una ditta che salda dopo tre anni una cartella fiscale per multe mai recapitate: il conto iniziale era di 2 mila euro, ma ora - pur sicura che si tratti di un errore - ne versa quasi 5 mila. C'è il professore universitario che avendo vissuto un anno all'estero è rimasto indietro nel pagamento del canone e di qualche multa: si tratta di 700 euro, ma dopo un anno e mezzo, grazie alle sanzioni e all'aggio di Equitalia diventano 1.180. Gli ipotecano la casa (per 700 euro di debito) se ne aggiungono altri 420 per spese di notifica. Totale finale 1.903 euro: «Se avessero fatto questo ad una famiglia di operai l'avrebbero ammazzata» spiega il professore. Ecco il punto è questo: mixato con una crisi che ha falciato miriade di imprese familiari, la spirale del fisco può diventare diabolica. Lo raccontano, in trasmissione, diversi piccoli artigiani travolti da debiti e magari impossibilitati a pagare perché, lavorando con le pubbliche amministrazioni, sono saldati con anni di ritardo.
Il fatto è che su ogni imposta non pagata alla sanzione annua del 30 per cento si deve aggiungere il 6 per cento di mora - se il pagamento avviene dopo i 60 giorni dalla notifica - più l'aggio di Equitalia che - sempre dopo i 60 giorni - arriva al 9 per cento. Un «sovrapprezzo» che, in un anno, arriva al 45 per cento. Senza considerare che il mondo della riscossione crediti, oltre che da Equitalia, è popolato da 41 società private (cui si rivolgono 4 mila enti locali) dalle più svariate parcelle. Un'inestricabile giungla.
(l.gr.)



Dio perdona, Equitalia no. Eccetto Forza Italia, AN e DS
Per loro "astenersi anche da eventuali solleciti di pagamento"
di Marco Lillo

IL FATTO QUOTIDIANO   -  13 aprile 2010   pag. 5

La lista degli intoccabili è trasversale e include i tre maggiori partiti. Porta la data del 16 ottobre del 2007 e si apre con Alleanza Nazionale per finire con i DS, passando per Forza Italia. Un anonimo dirigente di Equitalia, la società dalla forma privata e dall'azionariato pubblico, creata appositamente per riscuotere i tributi, scrive alla sua controllata "Equitalia Gerit", che si occupa di Roma e del Lazio: "Per i contribuenti sotto indicati attendere istruzione da parte della capogruppo (per cui astenersi anche da eventuali solleciti di pa gamento)".
Il documento è stato mostrato da Giovanna Boursier durante la puntata di Report di domenica scorsa dedicata proprio a Equitalia. Il settimanale L'Espresso, con un servizio di Primo Di Nicola del 2008, aveva raccontato già dell'esistenza di questo documento che "Il Fatto Quotidiano" pubblica integralmente. Lo scandalo non sta tanto in quello che c'è scritto ma nel fragoroso silenzio che è seguito alla puntata.
Report ha mostrato l'implacabilità di Equitalia contro i cittadini inermi che si vedono ipotecata l'abitazione per un debito di poche migliaia di euro. E poi ha mostrato una nota nella quale si prescrive di non disturbare i tre principali partiti italiani per i debiti tributari. Eppure nessuno ieri ha smentito né commentato.
"Il Fatto Quotidiano" ha provato a chiedere una replica al direttore dell'Agenzia delle entrate, Attilio Befera. Inutilmente. Befera allora era amministratore di Equitalia, oggi ne è il presidente ma è comunque il direttore dell'Agenzia delle entrate che ne controlla il 51 per cento mentre il restante 49 per cento è dell'Inps. Befera, oggi come allora, è quindi la persona giusta per spiegare il giallo della lista. Anche perché non si tratta certamente di un manager insensibile al richiamo della politica. Il 23 settembre 2009 Il Fatto Quotidiano ha pubblicato le intercettazioni telefoniche di un'indagine della Procura di Potenza nella quale Befera si interessava per far ottenere uno sconto di decine di milioni di euro a una società amica del sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta, che chiamava per perorare la sua causa.
Nemmeno i tesorieri dei partiti coinvolti dalla puntata di Report, vista da tre milioni di italiani, hanno sentito il dovere di spiegare cosa sia accaduto dopo quel presunto stop alle azioni del fisco nei confronti di An, Forza Italia e Ds. Interpellato dal Fatto l'ex tesoriere dei Ds Ugo Sposetti replica: "Ma quale trattamento di favore, la Federazione di Roma ha subito i pignoramenti". Sposetti non precisa se questo sia accaduto prima o dopo la lettera dell'ottobre 2007. Alla Conservatoria dei registri immobiliari di Roma, consultata attraverso
il sistema Syster dal Fatto, non risultano ipoteche sugli immobili della Federazione romana
ma potrebbe trattarsi di un disguido dovuto ai diversi codici fiscali usati. Comunque Sposetti tronca sul nascere ogni sospetto. E anche se non ha difficoltà ad ammettere di conoscere bene Befera, precisa: "Sono stato 5 anni al ministero delle finanze con Visco e poi con Del Turco, è ovvio che conosco Befera. Ma non gli ho mai chiesto un trattamento di favore per il partito".
La lista in realtà non riguarda solo i tre partiti citati nelle prime cinque righe ma si compone di due pagine e di una tabella lunghissima di nomi, codici fiscali e procedure di riscossione in corso. Nell'elenco dei contribuenti citati tra le "morosità rilevanti" abbondano i vip e le grandi imprese. Non per tutti si prescrive l'immobilità come per i tre partiti. Anzi. Il pugno del fisco è azionato da Equitalia con un'attenta gradazione. Si va dall'estremo della massima morbidezza verso Pds, An e Fi, alla richiesta di agire contro le grandi aziende come Wind e Telecom Italia sempre però "notiziando" la sede centrale.
Dopo i partiti troviamo "L'Unità Editrice Multimediale", partecipata dai Ds, dalla famiglia Angelucci e da Alfio Marchini. Per la società si prescrive: "Tenuto conto delle modalità di notifica della cartella da euro 711 mila relativa all'anno 2001, notificare solo intimazione di pagamento (che determinerà l'opposizione della debitrice) e notificare correttamente le cartelle ancora da notificare (alla società e al liquidatore)". Chissà perché Equitalia già sapeva che il contribuente L'Unità Multimediale avrebbe fatto opposizione.
Nella lista poi ci sono due vip: l'allora sottosegretario del centrosinistra Bobo Craxi e Adriano Panatta. Per loro si prevede un trattamento intermedio. Equitalia invita Gerit a fare i solleciti di pagamento ma "per ogni altra attività attendere istruzioni per la capogruppo".
I nomi elencati in testa sono quasi tutti vicini alla politica. Dopo Craxi e Panatta seguono infatti il Psdi (per il quale a dire il vero si prescrive un trattamento più duro verso il suo segretario regionale Renato D'Andria e si invita la Gerit a trasmettere le carte alla Guardia di Finanza) poi il Psi e l'Agenzia Ater dell'edilizia popolare del Comune di Roma. Poi c'è un pacchetto di vip, dall'andrologo Severino Antinori all'attore Christian De Sica, dal re del porno Riccardo Schicchi al presentatore Gianfranco Agus, per i quali si prescrive l'attivazione di procedure esecutive. Per questa differenza di trattamento tra gli uni e gli altri, certamente, ci sarà una spiegazione. Però resta la sensazione di una sorta di procedura speciale, almeno nell'attenzione della sede centrale di Equitalia per l'esito delle cartelle di vip, grandi aziende e politici. E che questa macedonia di nomi abbia come elemento comune il potere e la fama, lo si comprende da un lapsus freudiano. Alla settima riga si parla di un Dell'Utri al quale "ove già non fatto, iscrivere ipoteca su immobile in provincia di Cosenza". Anche se poi subito si aggiunge: "per ogni altra attività attendere istruzioni capogruppo". Il Dell'Utri che ha una casa a Praia a Mare è Alberto ma il suo nome è scritto a matita accanto a quello stampato in neretto nella lista: Marcello Dell'Utri. Comunque alla conservatoria di Cosenza l'ipoteca risulta iscritta solo nel 2000. E non da Equitalia.



Ai limiti dell'usura, ma in via Colombo 271 cantano vittoria
d Gianni Barbacetto

IL FATTO QUOTIDIANO  -   13 aprile 2010   pag. 5

Un agente della riscossione esoso, ingordo, punitivo, che castiga ritardi e distrazioni con comportamenti ai limiti dell'usura. Così appare Equitalia nel servizio di Report andato in onda domenica su Raitre. Così giudicano la società di riscossione molti cittadini che ritengono di essere diventati vittime di un meccanismo inesorabile. Tra questi, il programma di Milena Gabanelli citava il professor Marco Revelli, che ha raccontato all'autrice dell'inchiesta su Equitalia, Giovanna Boursier, di aver avuto la casa ipotecata per un debito di 700 euro (qualche multa non pagata, per aver vissuto un anno all'estero).
Il costituzionalista Michele Ainis, invece, la sua disavventura l'ha raccontata sul Sole 24 Ore. "Una storia d'abusi e soprusi. Una vicenda di tasse occulte. Un viaggio nel girone dantesco della burocrazia fiscale. Squilla il cellulare e una funzionaria della banca mi dice: 'Professore, per quella pratica di fido ci siamo dovuti fermare. Lei ha un'ipoteca sulla casa. Un'ipoteca legale'. Per un attimo mi manca il fiato in gola. Poi chiedo: 'Da quando? E chi l'avrebbe iscritta?' 'Equitalia. Venga in banca, ne parliamo di persona'". Continua Ainis: "Per gli italiani Equitalia è un po' come la Spectre, un'organizzazione invisibile e implacabile; ma senza James Bond a difenderci dalle sue trappole infernali".
Prendi una multa. Te ne dimentichi. Anni dopo ti ritrovi un'ipoteca sull'immobile di proprietà per una cifra colossale rispetto all'ammontare originario del debito. Racconta Ainis: "Mi presento in via Colombo, a Roma, numero civico 271. Informazioni, è di quelle che ho bisogno. Mentre tutti gli altri sportelli chiudono alle 13 e 30, la fila per le informazioni era bloccata già alle 11, dieci minuti fa. Per forza, è su questa fila che c'è ressa. La maggior parte di noialtri è come il protagonista del Processo di Kafka, non sappiamo nulla del capo d'imputazione che ci pende sulle spalle".
Così, per otto multe mai ricevute oppure contestate e una tassa sui rifiuti non pagata, è stata iscritta ipoteca per oltre 6 mila euro. Senz'altra via d'uscita che pagare: "Per cancellare l'ipoteca devo prima estinguere il debito o in alternativa aspettare per qualche secolo le risposte giudiziarie".
Equitalia nasce nel 2006. È una società per azioni a totale capitale pubblico: 51 per cento dell'Agenzia delle entrate e 49 per cento dell'Inps. Suo compito, riscuotere i tributi. Prima ci pensavano una quarantina di soggetti privati, banche o esattori spesso discussi (come, in Sicilia, i cugini Salvo, legati a Cosa nostra). Con Equitalia, la riscossione è tornata in mano pubblica. Suo compito istituzionale è "quello di contribuire a realizzare una maggiore equità fiscale". Ci riesce? Dal palazzo romano di via Cristoforo Colombo dicono di sì. Allineano i risultati positivi: 7,7 miliardi di euro riscossi nel 2009, più 10 per cento rispetto all'anno precedente, ma soprattutto più del doppio di quanto riuscivano a portare a casa gli esattori privati, che nel 2005 (ultimo anno prima della nascita di Equitalia) avevano incassato non più di 3,8 miliardi di euro. Certo, pagare le tasse non piace a nessuno e per farle pagare è necessario ricorrere a strumenti come i fermi amministrativi delle auto (96 mila nel 2009) o le ipoteche sugli immobili (180 mila). Ma queste arrivano dopo avvisi, preavvisi, solleciti. E poi, dicono in corso Colombo, l'abuso è non pagare le tasse, non il farle pagare.
Certo, restano le innumerevoli proteste dei cittadini che si sentono vessati senza ragione, come il professor Revelli, come il professor Ainis. Cittadini senza nome e senza strumenti per reagire che, per imposizioni spesso contestate, si vedono caricati di una sanzione del 30 per cento, più un 6 per cento di mora dopo 90 giorni. Con un aggio incassato da Equitalia che è del 4,6 per cento entro i 60 giorni, ma che al sessantunesimo giorno diventa del 9 per cento. Di fronte alle denunce di Ainis, possibile che Giulio Tremonti, Renato Brunetta e Roberto Calderoli, il grande semplificatore, non abbiano niente da dire?

 
La lista contribuenti – Vip:


Il video della puntata di Report del 11 aprile 2010:


Il testo integrale della puntata di Report del 11 aprile 2010:

 
 

Le bugie di Mondadori e la censura sui 'Padrini'

 
Le bugie di Mondadori e la censura sui 'Padrini'
In un saggio sulla mafia del '94, sparito il legame Mangano-Berlusconi. Fini: io sto con Saviano.
di Peter Gomez

IL FATTO QUOTIDIANO   -   21 aprile 2010   pag. 4

La bugia più grossa, Marina Berlusconi l'ha messa nero su bianco a metà della sua lettera di risposta a Roberto Saviano, pubblicata da La Repubblica domenica scorsa. Dopo aver difeso il padre che aveva tra l'altro accusato lo scrittore e chi racconta la mafia di fare "cattiva pubblicità all'Italia", la figlia del premier assicura che quella era solo un critica - peraltro da lei condivisa - e considera: "La Mondadori fa capo alla mia famiglia da vent'anni. In questi venti anni abbiamo sempre assicurato, come è giusto e doveroso, secondo il nostro modo d'intendere l'editore, il più assoluto rispetto delle opinioni di tutti gli autori e della loro libertà di espressione". Un'impegnativa affermazione di principio che si scontra con la realtà dei fatti. Perché i libri in Mondadori - come insegnano i casi di Belpoliti e Saramago rifiutati da Einaudi - a volte vengono censurati. E la pratica va avanti da anni. Non per niente risale proprio al 1994, periodo della discesa in campo di papà Silvio, uno dei più sconcertanti episodi di tagli redazionali operati proprio su un saggio riguardante Cosa Nostra. La Mondadori traduce il libro L'Europe del parrains (L'Europa dei padrini), in cui il giornalista francese Fabrizio Calvi parla anche delle vecchie inchieste della Criminalpol (1984) sui "legami dell'entourage di Berlusconi con il boss Vittorio Mangano". Dall'edizione italiana però i riferimenti al Cavaliere e al capo del clan mafioso di Porta Nuova, per due anni fattore di villa San Martino ad Arcore, scompaiono.
Semplice prudenza per non andare a urtare la sensibilità dell'editore e di un uomo d'onore amico della sua famiglia? Può darsi. Certo è, però, che la cronologia dei fatti (di mafia) lascia spazio pure ad altre interpretazioni. A spunti forse utili per rispondere alla polemica domanda lanciata ieri dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, durante una riunione con i parlamentari Pdl a lui fedeli: "Come è possibile dire che Saviano con il suo libro ha incrementato la Camorra? Come si fa a essere d'accordo?". Infatti, proprio nei mesi della pubblicazione de L'Europa dei padrini, Mangano era tornato a frequentare Milano 2. Da alcune agende, sequestrate a Marcello Dell'Utri, risulta che il capo-mafia si vede a fine '93 con l'allora numero uno di Publitalia (lo ammette anche Dell'Utri). Mentre nella sentenza di primo grado che ha condannato il senatore azzurro a 9 anni per cose di Cosa Nostra, si parla d'incontri in provincia di Como che proseguono fino al '95. Oggetto dei colloqui, per i giudici, sono delle norme pro-cosche che Dell'Utri tenta di far approvare, in cambio di appoggi elettorali e la richiesta della fine della stagione delle stragi. È la presunta "seconda trattativa" nella quale andrebbe pure inquadrato, secondo le ipotesi investigative, pure il famoso decreto Biondi dell'estate '94, (salva ladri) nel quale, come dice all'epoca il leghista Bobo Maroni, ci sono anche passaggi che favoriscono la mafia . Subito dopo il decreto (non convertito in legge) Berlusconi tuonerà per la prima volta contro i film e i libri che denunciano Cosa Nostra. Per la gioia di Michele Greco, il papa della mafia che in carcere aveva detto "è tutta colpa de Il Padrino" se in Sicilia vengono istruiti i nostri processi", il premier dichiara il 14 ottobre del '94: "Speriamo di non fare più queste cose sulla mafia come La Piovra, perché questo è stato un disastro che abbiamo combinato insieme in giro per il mondo. Da La Piovra in giù. Non ce ne siamo resi conto, ma tutto questo ha dato del nostro paese un'immagine veramente negativa. Si pensa all'Italia e sapete cosa viene in mente... C'è chi dice che c'è anche la mafia, nella realtà italiana". Immediato il plauso di Totò Riina, in manette dal '93, che durante un processo dice: "È vero, ha ragione il presidente Berlusconi, tutte queste cose sono invenzioni, tutte cose da tragediatori che discreditano l'Italia e la nostra bella Sicilia. Si dicono tante cose cattive con questa storia di Cosa Nostra, della mafia, che fanno scappare la gente. Ma quale mafia, quale piovra, sono romanzi". La figlia del premier questa storia sembra però non conoscerla. Eppure di motivi per ricordare ne ha parecchi. Anche perchè Mangano, tra il '74 e il 76, era la persona che l'accompagnava ogni mattina a scuola. E l'affetto che il boss provava nei suoi confronti è pure dimostrato dal nome con cui Vittorio e la moglie decisero di battezzare la loro terzogenita: Marina, Marina Mangano.
 
 
 

PDL, volano gli stracci


IL PARTITO DELL'ODIO
Insulti, minacce, accuse tra Bocchino, Lupi e Urso Sulla Rai va in diretta la scissione nel Pdl
di Luca De Carolis

IL FATTO QUOTIDIANO   -   18 aprile 2010   pag. 3

Le dichiarazioni ufficiali parlano di governo saldo, ricomposizione in vista e scissione lontana. Ma la realtà è fatta di volti paonazzi e urla da lite condominiale, accuse incrociate e inviti alle dimissioni. La realtà di un Pdl in preda all'isteria, emerge senza filtri venerdì sera su Raidue durante "L'ultima parola", trasmissione condotta da Gianluigi Paragone. Il pretesto per una rissa in diretta televisiva, con da una parte i finiani Italo Bocchino e Adolfo Urso, e dall'altra un pretoriano di Berlusconi, Maurizio Lupi, assieme a Daniela Santanchè, nemica storica di Fini. In mezzo, l'ex An Giuseppe Valditara, visibilmente a disagio, e il giornalista Carlo Rossella, berlusconiano doc che ha provato a richiamare tutti a più miti consigli. Tentativo vano, perché davanti alle telecamere sono venuti a galla veleni sopiti da tempo, quasi come in una terapia di gruppo.
Ad accendere la miccia è Bocchino, vicecapogruppo del Pdl alla Camera, che chiede "più democrazia" nel partito. Il neo-sottosegretario Santanchè risponde a muso duro: "Ricordati la democrazia ai tempi di An. Veniva gestita solo dalle sopracciglie di Gianfranco...E tu lo sai meglio di me". Il dibattito si arroventa. Bocchino attacca il ciellino Lupi: "Voi di Comunione e Liberazione siete i maestri della divisione dei posti, vieni a fare la morale a me?". Il vicepresidente della Camera si mette a urlare, con il volto tutto rosso: "Se la pensi così, non ti riconosco più come presidente vicario del gruppo . Dimettiti". Controreplica di Bocchino: "Lupi è stato il primo a dirci per conto di Berlusconi: "Dimettetevi e andate fuori del Pdl". Quello di Lupi è un atteggiamento fascista e squadrista, questo è il vostro modo di governare". La Santanchè ride forte, Lupi protesta, Valditara frigge sulla sedia. Bocchino se la prende con Paragone: "La prego di lasciarmi parlare con calma, poi vi lascio tutto il tempo, se vuole lascio volentieri anche la trasmissione perché la presenza mi sembra inutile, il taglio della trasmissione mi sembra chiaro". Paragone (con cui Bocchino aveva discusso anche nella puntata precedente): "Anche oggi?". Bocchino: "Ma certo, lei fa il suo mestiere, è pagato per questo. Il suo editore di riferimento è la Lega, che la spinge fare queste trasmissioni". Irrompe Lupi: "Meno male che noi non vogliamo la Rai lottizzata e abbiamo una grande concezione della politica..Italo, te lo dico perché ti stimo, stiamo dando un pessimo spettacolo della politica e del partito". Applausi scroscianti. E' la volta di Urso: "Non lo dico alla Santanchè che ascolta gli italiani ma non sa cosa dicono, ma a Lupi che è una persona attenta: vuoi davvero arrivare alla rottura? Continuate così e si creeranno le premesse per arrivarci". Poi Urso chiede contro di un titolo del Giornale ("Fini, il ruggito del coniglio"). Lupi replica: "Certe cose le ho sentite dire da Travaglio e Di Pietro, ora le sento da te". Urso incalza, alza la voce: "Basta Lupi, basta, ascolta me". Il ciellino cerca di frenarlo: "Basta cosa? Guarda che non sei in An o nell'ex Msi". Urso non si ferma, ripete più volte a pieni polmoni: "Condividi quel titolo del Giornale? Condividi quel titolo?". Lupi esplode, e urla: "Oh, ma sei fuso? Ma sei un po' nervoso". Bocchino è fulmineo: "No, tu sei nervoso, tu sei nervoso, ti abbiamo toccato Comunione e Liberazione". L'ex An non molla la presa su Lupi: "Io sono molto amareggiato dal comportamento del mio collega in questa trasmissione, il dibattito può arrivare a tutto, tranne che a dire "andatevene e dimettevi". Non si può". Urso garantisce che, anche in caso di gruppo separato, i finiani continueranno a votare con la maggioranza. La Santanchè risponde sferzante: "Vorrei pure vedere che in Consiglio dei ministri votate contro. Quello è un vostro dovere...". Sul finale, il sottosegretario spara ad alzo zero: "Io credo che stasera Bocchino, che è il più finiano dei finiani, dovrebbe concludere questa trasmissione dicendo: 'Siamo diversi e siamo lontani'. Buona fortuna e fate il gruppo, così potrete far vincere le posizioni". Altri, fortissimi applausi. Conclude Paragone: "Sembrate due partiti già separati. Ho l'impressione che la prossima settimana saremo qui a raccontare la storia di una scissione". A telecamere spente, il conduttore osserva: "I politici del Pdl si sono detti in diretta cose che di norma si leggono nei retroscena dei giornali. Non so se e quando ricapiterà". Venerdì la trasmissione ha toccato il 10,5% di share. Grazie alla rissa nel Pdl: il partito delle ricomposizioni.








Io sto con Emergency


Roma, Piazza San Giovanni
Sabato 17 aprile 2010

MANIFESTAZIONE  DI  EMERGENCY


Vilipendio di cadavere


Vilipendio di cadavere
di Marco Travaglio

IL FATTO QUOTIDIANO   -   18 aprile 2010   pag. 1

Ieri mattina, sciaguratamente, ho acceso la tv e mi sono imbattuto su una rete Mediaset nella telecronaca diretta del funerale di Raimondo Vianello. Del grande attore scomparso, per sua fortuna, non c'era traccia, essendo già ben chiuso nella sua bara. In compenso imperversava dappertutto un altro comico, anzi un guitto tragicomico con le gote avvizzite e impiastricciate di fard fucsia e il capino spennellato di polenta arancione, che officiava la cerimonia, dirigeva le pompe funebri, smistava il traffico delle préfiche, abbassava il cofano del carro, salutava la folla come Gerry Scotti, poi nella chiesetta sbaciucchiava a favore di telecamera la povera vedova pietrificata in carrozzella e cercava di farla ridere con qualche battuta all'orecchio, chiamava i battimani associandosi ai cori da stadio "Raimondo Raimondo" sollecitati da Pippo Baudo: era il presidente del Consiglio. Sul pratone di Milano2, un maxischermo da concerto rock ingigantiva quelle immagini raccapriccianti esponendole al "bell'applauso" di una folla di curiosi armata di telefonini e videocamere per immortalare la sfilata dei "vip", come sulla banchina di Porto Rotondo e nel dehors del Billionaire a Ferragosto. Infatti, in quel festival di botulini e siliconi, incedeva persino Lele Mora (Luciano Moggi, altro magister elegantiarum, era passato il giorno prima in una pausa del suo processo). Ho sperato con tutto il cuore che al grande Raimondo, impegnato nell'ultimo viaggio, sia stata risparmiata la vista di quello spettacolo sguaiato, volgare, fasullo: l'esatto contrario della sua vita garbata, elegante, ironica e autoironica. L'estremo oltraggio. Vianello era, politicamente, un berlusconiano. Ma, antropologicamente e artisticamente, era l'antitesi vivente del berlusconismo. Infatti han dovuto aspettare che morisse per coinvolgerlo, ormai impotente e incolpevole, in una baracconata invereconda che ricorda il feroce episodio de "I nuovi mostri" firmato da Scola, in cui Sordi, guitto di provincia, recita l'elogio funebre del capocomico al cimitero, sul bordo della tomba, rievocandone le battute più grasse e pecorecce mentre tutt'intorno si applaude e si sghignazza. Gli storici del futuro che tenteranno di interpretare l'Italia di oggi non potranno prescindere da quelle immagini, perché difficilmente troveranno miglior reperto del nostro tempo: l'epoca dei senza pudore e dei senza vergogna. Una bara sequestrata da un anziano miliardario squilibrato, malamente pittato da giovanotto, che si crede Napoleone e monopolizza la scena con la stessa congenita volgarità con cui, proprio un anno fa, passeggiava sui cadaveri dell'Aquila accarezzando bambini, baciando vecchie, promettendo case e dentiere nuove per tutti. Una povera vedova incerottata e distrutta dalla malattia e dal dolore esposta alle telecamere e ai megascreen mentre mormora "Raimondo, io sono qua" senza neppure il diritto di farlo sottovoce, in penombra, lontano da microfoni, occhi e orecchi invadenti, pronti a trasformare tutto in "gossip". E, tutt'intorno, nessuno che notasse lo scempio. Nemmeno un consigliere che suggerisse al capo un po' di raccoglimento, di compostezza, di silenzio, o gli spiegasse che ai funerali non c'è niente da ridere nè da applaudire. Men che meno ai funerali di Vianello, al quale bastava e avanzava il bellissimo necrologio bianco dettato dalla sua Sandra. "Berlusconi – scrisse un giorno Montanelli – è talmente vanesio che ai matrimoni vorrebbe essere la sposa e ai funerali il morto". Infatti, anche per evitare di ritrovarselo cianciante alle sue esequie, il vecchio Indro lasciò detto nelle sue ultime volontà: "Non sono gradite né cerimonie religiose, né commemorazioni civili". Forse Berlusconi non se n'è accorto, ma ieri ha seppellito sguaiatamente l'ultimo berlusconiano elegante e ironico rimasto in circolazione. Se lo capisse, se ne preoccuperebbe più che per il divorzio da Fini. Ma, se lo capisse, non sarebbe Berlusconi.

 

TAV, Grandi Uffizi, Teatro della Musica, Scuola Marescialli Carabinieri: "Vince chi ha più amici". Parola di Riccardo Fusi. E se lo dice lui ...


Esposto contro il ministero
di Franca Selvatici

LA REPUBBLICA  Edizione FIRENZE   -   15 aprile 2010   pag. II

Riccardo Fusi passa alla controffensiva. Dopo aver sventato per due volte l'arresto, negato prima dal gip e poi dal Tribunale del riesame, il proprietario della Baldassini Tognozzi Pontello, accusato di corruzione nell'inchiesta sulla Scuola Marescialli dei Carabinieri di Castello, formalizza le sue accuse contro la gestione dell'appalto da parte del Ministero delle Infrastrutture. E dichiara: «Vorrei che una volta per tutte venisse alla luce la verità». Ieri i suoi difensori, gli avvocati Sandro Traversi e Sara Gennai, hanno depositato un esposto nel quale chiedono alla procura di verificare se la realizzazione della scuola, riappaltata nel 2006 ad Astaldi, sia conforme alla normativa antisismica o se al contrario siano configurabili reati in materia edilizia nonché il reato previsto dall'articolo 434 del codice penale, che punisce chi commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione, ed eventualmente anche l'abuso d'ufficio per la riassegnazione dei lavori ad Astaldi. L'esposto sarà presentato anche al Genio Civile e alla Corte dei Conti. Fusi calcola che ad oggi il danno erariale ammonti a 167 milioni di euro, con il rischio che il costo dell'opera, appaltata nel 2001 a 190 milioni, finisca per raddoppiare. «E forse non basterà. C'è un'urgenza immediata che qualcuno tiri fuori la verità», sbotta Fusi: «Dopo dieci anni e dopo che sono stati esperiti tutti i mezzi per tutelare lo Stato e cercare di ridurre il danno erariale in corso, apprendo che il cantiere è stato restituito ad Astaldi. Sono ripresi i lavori come se non fosse accaduto nulla e si stanno costruendo edifici non a norma di legge, opere che non possono essere collaudate. E' una follia». Fusi sottolinea che sia il lodo arbitrale sia l'autorità di vigilanza sui lavori pubblici hanno riconosciuto che la Scuola Marescialli è un'opera di interesse strategico ai fini della protezione civile e che per tale motivo deve essere costruita con indice di protezione sismica 1,4 e non 1 come nel progetto del Ministero. Ha voluto ricordare che Firenze è zona sismica e che all'Aquila, dopo il dramma del terremoto, tutte le attività di coordinamento delle operazioni di soccorso si sono concentrate nella Scuola della Guardia di Finanza di Coppito, «costruita con i criteri antisismici che per la Scuola Carabinieri di Firenze il Ministero ha inteso disattendere».
La controffensiva di Fusi riguarda anche altri appalti che a suo giudizio presentano anomalie e sui quali si ripromette di presentare nuovi esposti. «Negli ultimi 3/4 anni il metodo con cui sono stati appaltati i lavori è stato devastante - ha dichiarato - e hanno vinto sempre i più forti, fra i quali vorrei essere ma non sono. Nel periodo in cui mi si accusa di aver fatto parte di una cricca, del sistema gelatinoso, io non ho vinto niente. Vincevo di più quando c'era Prodi». «Prima le gare si facevano al massimo ribasso», spiega: «Non era giusto ma alla fine c'erano più regole di oggi. Si pensò di introdurre il concetto di offerta anomala, e i costruttori erano d'accordo. Facendo la media delle offerte si potrebbe effettivamente raggiungere il prezzo ideale di assegnazione. Ma una volta fatta la legge è stato creato l'inganno, perché la norma consente alle commissioni di gara di esaminare anche le offerte anomale. E in ogni gara c'è un criterio diverso per valutare l'anomalia. Per cui alla fine vince chi ha più uomini in commissione. Quanto poi alla procedura per i Grandi Eventi, è ancora più arbitraria. E' diabolica perché attribuisce un punteggio enorme alla valutazione discrezionale del progetto. E' l'anomalia dell'anomalia: per il Teatro della Musica, anche se avessi detto "Ve lo faccio gratis" non avrei vinto ugualmente».



Appalti, "sempre 2 pesi e 2 misure"
di Franca Selvatici

LA REPUBBLICA   Edizione FIRENZE   -   15 aprile 2010   pag. II

«Siamo di fronte a una grande ingiustizia: nell'assegnazione degli appalti vengono usati due pesi e due misure, sempre a danno del popolo italiano». Sulle anomalie nelle gare Riccardo Fusi promette scintille. «Chi ha fatto il miglior prezzo per il il tunnel dell'alta velocità ferroviaria a Firenze? La Btp. Ma la commissione ha scelto Coopsette. Per loro io non riuscivo a giustificare il 13% di ribasso e Coopsette ha vinto con il 26%: offerta prima giudicata anomala e poi rivalutata. E come è stato vinto l'appalto per i Grandi Uffizi? Con il 43% di ribasso. Se la legge che esclude le offerte anomale fosse applicata funzionerebbe bene e le opere verrebbero completate in tempo. Ma non è così». Sui Grandi Eventi, poi, regna la più totale discrezionalità, accusa Fusi: così per il Teatro della Musica di Firenze, il Palazzo del Cinema di Venezia, l'aeroporto di Perugia, il Petruzzelli di Bari, le opere per il G8. «Il dato di fatto è che ultimamente in Italia vincono le cooperative. Con i governi di sinistra vince la destra e viceversa. Pare contraddittorio ma secondo me è un disegno politico», dice Fusi, che promette battaglia contro chi, come l'amministratore di Grandi Stazioni, lo ha accusato di piantare grane. «Ho rinunciato a quell'appalto, non era possibile eseguirlo». Poi ci sono i ritardi, insopportabili. «Il contratto della tramvia l'abbiamo firmato nel 2003. Siamo nel 2010 e della linea 2 non c'è traccia. E' ovvio che da 7 anni i miei ingegneri iscrivono riserve e che i costi aumentano. Non è che noi costruttori siamo tutti ladri e assassini che mandano gli operaia morire nei cantieri. E' che non possiamo lavorare in perdita».



La Grecia è vicina ...

 
Sindrome Grecia e dintorni
Pil in crescita al 2 per cento? Ecco il 'miracolo' del governo
di Superbonus
 
IL FATTO QUOTIDIANO   -   13 aprile 2010   pag. 11
 
Mentre Berlusconi parlava agli industriali riuniti a Parma il direttore generale del Tesoro Grilli era a Bruxelles per discutere il piano di salvataggio della Grecia. Forse per questo ha detto "avremmo potuto fare la fine della Grecia… chapeau a Tremonti che ha saputo resistere, con l'aiuto del presidente del Consiglio, a quelli che lo tiravano da tutte le parti". Chi ha creduto nelle promesse elettorali del Cavaliere ora sa che: non verrà abolita l'Irap, non ci sarà la graduale detassazione delle tredicesime e degli straordinari, niente graduale ritorno della tassazione sotto il 40% e che, infine, si continuerà a pagare il bollo auto come sempre. In cambio abbiamo la promessa di una riforma fiscale federalista che nessuno dice se sarà a parità di gettito.

Roulette di numeri. È l'immagine di un leader e di un governo che iniziano a prendere coscienza della fragilità dell'Italia di fronte ai mercati internazionali. Lo conferma il ministro Scajola che parlando a Canale 5 ieri mattina sembrava che leggesse il Fatto Quotidiano di novembre 2009: "Arrivare ad una crescita del 2% del Pil nei prossimi 3 anni sarebbe un miracolo". Peccato che tale miracolo è stato inserito all'interno del Dpef licenziato dal governo e sul quale si basano tutte le previsioni di entrate e di spesa per i prossimi anni. Le affermazioni di Scajola contengono l'annuncio di una manovra di 50 miliardi per i prossimi 3 anni, esattamente quanto da noi pronosticato e smentito ripetutamente dal ministero dell'Economia.
La realtà dei fatti inizia a stridere con la prosopopea propagandistica dei vertici Pdl e si sta tentando di correggere la rotta rapidamente, come se le promesse non fossero mai state fatte e la legge finanziaria l'avesse scritta un altro governo. La maggioranza di governo non può neanche sperare che tutto si aggiusti rapidamente, il salvataggio della Grecia appare un pasticcio di cui presto o tardi pagheremo tutti il conto. Il prestito ad un tasso del 5% concesso da tutti i Paesi Ue, compresi i più indebitati, è una soluzione fragile e di breve termine, in termini economici è un trasferimento netto di ricchezza da Atene a Berlino e non viceversa. È come se qualcuno in difficoltà a pagare le rate del mutuo si fosse rivolto ad un padre, a sua volta indebitato, che invece di soccorrere con altruismo il figlio avesse applicato interessi un poco più bassi di quelli dell'usuraio sotto casa. Il lapsus di Berlusconi al convegno di Confindustria "non stiamo come la Grecia e come fra poco starà la Spagna" tradisce una preoccupazione che circola nelle cancellerie europee e nelle sale cambi: il costo del salvataggio della Grecia non sarebbe stato eccessivo, anche in termini più generosi; il Portogallo è un paese ancora più piccolo in termini economici, ma la Spagna è la quarta economia dell'eurozona con un Pil di oltre mille miliardi di euro, cosa succederebbe a questo punto?
Berlusconi, con la sua esperienza d'imprenditore, ha capito che i rapporti con le banche (gli investitori) sono tesi e che se l'azienda (l'Italia) non presenta i conti in ordine e senza un credibile piano di rientro verranno ritirati i fidi. Il problema è adesso comunicarlo al Paese, e lo fa con un gioco spregiudicato: le promesse elettorali si dimenticano allegramente, si smentiscono, per ora, manovre aggiuntive e si mandano i ministri in televisione a dire che le previsioni di crescita "purtroppo", e non per colpa del governo non si sono rivelate giuste.
Se nel frattempo si scatenasse una bufera finanziaria in nome dell'emergenza si farebbe una manovra in fretta e furia, manovra che i ben informati dicono essere già nei cassetti del ministero del Tesoro. Il sassolino nella scarpa siamo noi del Fatto Quotidiano e pochi altri commentatori che hanno subito denunciato le previsioni irrealistiche di crescita inserite del Dpef che servivano solo a giustificare una Finanziaria "senza tagli ne tasse" rimandando al futuro i problemi di finanza pubblica.

Dillo alla luna. Un sassolino anche per l'opposizione che, invece di fare una battaglia in Parlamento sulle previsioni irrealistiche, ha preferito chiedere la luna cadendo di fronte alla semplice e banale domanda di Tremonti "dove troviamo le coperture?". Noi non sappiamo cosa succederà nei prossimi mesi e soprattutto nel 2011, possiamo solo dirvi che il barometro ci segnala tempesta e che il comandante che guida la nave ci ha portato vicinissimi agli scogli ed ora tenterà un virata pericolosa e difficile. Sappiamo anche che chi avrebbe dovuto controllarlo ha preferito girare lo sguardo da un'altra parte e non ha, per il momento, una rotta alternativa. A noi poveri "passeggeri di terza classe" non resta che sperare di non trovarci in una canzone di De Gregori.

 

Io sto con Emergency

 
IO STO CON EMERGENCY
 
Sabato 10 aprile militari afgani e della coalizione internazionale hanno attaccato il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah e portato via membri dello staff nazionale e internazionale. Tra questi ci sono tre cittadini italiani: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.
Emergency è indipendente e neutrale. Dal 1999 a oggi EMERGENCY ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso.
 
 
 
 
 

Arresti in Afghanistan. Gino Strada: "Emergency colpita perché testimone scomodo"


Afghanistan
Gino Strada: "Emergency colpita perché testimone scomodo"

Conferenza stampa   -   11 aprile 2010

Gino Strada: "I volontari di Emergency sono stati sequestrati"


Emergency sotto arresto
di Emanuele Giordana*

Tratto dal sito  www.ilmanifesto.it   -   11 aprile 2010

È ancora una brutta storia quella che proietta Emergency sulla linea del fronte afghano. E c'è ancora una volta la polizia segreta di Karzai a coinvolgere la Ong italiana in una polemica che ha molto a che vedere con le ragioni della guerra.
Tre operatori italiani dell'ospedale di Lashkargah, nella provincia meridionale di Helmand, sono stati arrestati ieri dalle forze di sicurezza afghane con l'accusa di essere coinvolti in un complotto per organizzare attentati suicidi e per assassinare il governatore locale, Gulab Mangal. Assieme a loro sono stati fermati altri sei dipendenti afghani dell'ospedale. All'inizio sembra che si tratti di un'operazione congiunta con Isaf Nato ma poi l'Alleanza smentisce anche se Emergency non molla e insiste: anche la Nato c'entra con l'operazione che ha alla base quell'accusa infamante e che deriverebbe dal fatto che le forze di sicurezza che hanno fatto irruzione nell'ospedale di Emergency avrebbero trovato nel magazzino dell'ospedale due giubbotti esplosivi, granate e armi da fuoco che sarebbero serviti a preparare gli attentati. Terrorismo dunque. Fiancheggiamento dei talebani.
A Milano, dove si trova il quartier generale dell'organizzazione sono esterrefatti. Ma non riescono a parlare coi loro uomini in Afghanistan. Al telefono dell'ospedale, dicono ad Emergency, ha risposto un soldato che si è qualificato come di Isaf e ha riattaccato. Non è chiaro dunque se i militari Nato abbiano o meno partecipato o se, come parrebbe secondo altre fonti, c'erano ma si sono limitati a stare fuori dal centro. A tarda sera comunque ancora non si sa dove siano gli arrestati e cosa sarà di loro.
Ci si aspetta un intervento del governo italiano. Lo chiedono anche alcuni esponenti della sinistra (da destra silenzio totale). Frattini assicura che la Farnesina sta seguendo la cosa ma, incredibilmente, preferisce comunque ribadire «la linea di assoluto rigore del governo italiano contro qualsiasi attività di sostegno diretto o indiretto al terrorismo in Afghanistan, così come altrove». E ancora che «i medici italiani in stato di fermo lavoravano in una struttura umanitaria non riconducibile né direttamente né indirettamente alle attività finanziate dalla cooperazione italiana». Una presa di distanza incredibile in questo clima di tensione.
Che alle autorità afghane Emergency non sia mai piaciuta non è una novità. E che anche alla Nato (e probabilmente al governo italiano) sia indigesta appare altrettanto vero. Gli americani la detestano cordialmente e il motivo è semplice. Emergency ha sempre scelto in Afghanistan non solo di stare dalla parte delle vittime (come impone, senza distinzione l'imperativo umanitario) ma di denunciare costantemente i bombardamenti chiedendo il ritiro dei soldati. Una posizione che non piace e che durante l'Operazione Moshtarak, iniziata dalla Nato in febbraio, fa molto rumore quando Emergency denuncia (qualcuno dice esagerando) che non esistono sufficienti corridoi umanitari e che le vittime dell'offensiva di Isaf o dei talebani non riescono a raggiungere i centri di salute.
Ma la ruggine è antica. Bisogna tornare a tre anni fa. Nell'aprile del 2007 lo staff internazionale di Emergency a Kabul decide di lasciare il paese e nemmeno due settimane dopo la Ong annuncia che si ritira dall'Afghanistan. Non ci sono, dice Strada, le garanzie per il personale umanitario. Tutto è stato originato dalla brutta vicenda di Ramatullah Hanefi, l'uomo di Emergency a Lashkargah che ha avuto un ruolo chiave nella liberazione dell'inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacomo sequestrato dalla guerriglia. Hanefi infatti è stato arrestato dalla sicurezza afgana, ossia dagli stessi uomini che ora hanno messo sotto chiave lo staff di Laskargah. E con la stessa infamante accusa: connivenza col nemico. Un'accusa che, ieri come oggi, passa dal personale locale o impegnato in loco all'organizzazione stessa. Uno scontro che, allora, si risolverà dopo due mesi col proscioglimento di Ramatullah e la sua partenza per la Germania.
Intanto però le cose tra Emergency e Kabul si sono molto deteriorate: corrono voci che la sanità pubblica afghana voglia mettere le mani sul suo «tesoretto»: le cliniche di Anabah, Kabul e Lashkargah, il centro di maternità e medicina in Panjshir, una trentina di centri di salute. Lo scontro è aperto ma poi rientra.
Adesso l'intera vicenda sembra riproporsi lasciando aperti dubbi e sospetti. Tutto si può dire di Emergency ma non si può negare il fatto che le armi non hanno accesso nei suoi locali. La consegna è rigidissima come è rigidissimo l'impegno a curare chiunque è ferito: talebano, civile, soldato Nato o afghano. Il momento in Afghanistan è difficile. Karzai, che si sente sotto tiro, alza la posta ogni giorno. Gli americani, che lo hanno prima messo in un angolo e che adesso però se ne stanno pentendo, non sanno che fare. E in questa situazione ogni variabile può aggiungersi e impazzire.
*Lettera22


Gino Strada
"SONO STATI SEQUESTRATI"
di Luca De Carolis

IL FATTO QUOTIDIANO   -   11 aprile 2010   pag. 10

"Non è stato un arresto, ma un sequestro di persona. Con un chiaro scopo: far chiudere un ospedale che dà molto fastidio agli afgani e alla Nato". Gino Strada, il fondatore di Emergency, risponde mentre viaggia su un treno. E non usa giri di parole.
Signor Strada, cosa pensa di questa vicenda?
Di certo, penso che le accuse siano talmente grottesche che non valga la pena neppure di commentarle. Un medico italiano passerebbe tre anni in Afghanistan, salvando la vita alla gente in una situazione difficilissima, con lo scopo nascosto di uccidere prima o poi il governatore locale, che tra parentesi cambia di continuo? È incredibilmente ridicolo.
Quali sono i capi di imputazione?
Non esistono. Questo non è stato un arresto, ma un sequestro. Non si può parlare di arresto, quando ai fermati non viene formalizzata alcuna accusa, non è consentito di chiamare un avvocato o di essere visti. Sono stati portati via, punto e basta.
L'Isaf ha subito preso le distanze dall'operazione.
Poche ore prima dall'Isaf avevano detto di aver coordinato l'intervento. E comunque i loro soldati erano attorno all'ospedale. A me sembra la classica storia di chi tira il sasso e poi ritira subito la mano.
Perché la Nato avrebbe scagliato il sasso?
La verità è che l'ospedale di Lashkar-Gah da molto, molto fastidio sia agli afgani che all'Isaf. Per prima cosa, noi di Emergency curiamo tutti, senza distinzioni di schieramenti: pensiamo solo a salvare vite, come sempre. Ma, soprattutto, abbiamo tante prove sul sequestro di feriti, molti dei quali poi sono morti, a cui non hanno permesso di andare in ospedale. Abbiamo chiesto tante volte di aprire corridoi umanitari, senza nessun esito. Noi diamo fastidio a chi vuole continuare a bombardare e alle autorità locali, in eguale misura.
Quindi il significato degli arresti...
Il significato è chiaro. Ci invitano a togliere le tende da Lashkar-Gah, prima possibile. E dire che il nostro è l'unico ospedale della regione.
Qual è stata l'ultima volta che è stato a Lashkar-Gah?
Eh, non ci vado da almeno tre anni. L'ospedale ha circa un centinaio di posti letto, e vi lavora una dozzina di italiani. Sono lì per aiutare le persone. Altro che complotti.



Per altre informazioni:   www.emergency.it

Oggi 11 aprile 2010 alle ore 20,10 Gino Strada sarà ospite della trasmissione "Che tempo che fa" su Rai Tre.  Per rivedere la puntata:   www.chetempochefa.rai.it .


"Sangue e cemento", documentario sul terremoto in Abruzzo

 
"Sangue e cemento": costruzione di una strage
UN DOCUMENTARIO-INCHIESTA SUL SISMA D'ABRUZZO, SULLA RAPINA DEL TERRITORIO E DELLA SICUREZZA
di Caterina Perniconi

IL FATTO QUOTIDIANO   -   11 aprile 2010   pag. 2

Un terremoto come quello dell'Aquila in Giappone non sarebbe nemmeno finito sui giornali. E' questa la tesi degli autori di "Sangue e cemento", un film-inchiesta realizzato dal Gruppo Zero, un collettivo di giornalisti, cineasti e comunicatori . A Honshu è il 19 luglio 2008, e il sisma che scuote l'isola nipponica è pari a 6,8 gradi della scala Richter, esattamente uno più de L'Aquila. Quella volta, in Giappone, ci sono stati 131 feriti contro i 1600 della città abruzzese, nessun morto contro i 299 italiani, nessuno sfollato contro i nostri 68 mila. La storia è raccontata da Paolo Calabresi, famoso per i suoi travestimenti nel programma di Italia1 Le Iene, che questa volta ci mette la sua faccia per porre alle istituzioni una serie di domande: perché non era stata disposta nessuna politica antisismica nel territorio de L'Aquila, noto per la sua pericolosità? Perché dopo l'inizio dello sciame sismico, nell'ottobre del 2008, non erano state disposte misure adeguate? Perché si consente di edificare, nelle zone sismiche, con materiali mescolati con troppa acqua, sabbia salata, ferro di cattive colate? Insomma, perché si costruiscono edifici destinati a crollare? E perché si tollerano infiltrazioni della criminalità organizzata nell'edilizia delle zone sismiche? A questo proposito, Calabresi legge una pagina di Gomorra, il libro di Roberto Saviano, esattamente la 236: "So com'è stata costruita mezz'Italia. E più di mezza. Conosco le mani, le dita, i progetti. E la sabbia. La sabbia che ha tirato su palazzi e grattacieli. A Castelvolturno nessuno dimentica le file infinite dei camion che depredavano il Volturno della sua sabbia. [...] Ora quella sabbia è nelle pareti dei condomini abruzzesi, nei palazzi di Varese, Asiago, Genova".
Insomma, che la sabbia salata, corrosiva per il cemento, stesse divorando a poco a poco i pilastri dei palazzi de L'Aquila lo sapevano tutti. Che nel cemento dell'ospedale fosse stata aggiunta l'acqua lo raccontano i muratori. E che non si dovesse costruire sulle due faglie più grandi d'Italia lo sapevano persino i Borboni, che nel 1703 vietarono l'urbanizzazione di quelle zone. Il progetto è rimasto tale fino al 1975, quando un nuovo piano regolatore ha previsto 20 mila case, a colpi di decreto e senza controlli geologici, proprio sopra le due grandi crepe.
"Questo film è nato in virtù del silenzio assordante che c'è stato su questi temi – spiega Thomas Torelli, autore e produttore della pellicola realizzata dopo il successo mondiale di "Zero, inchiesta sull'undici settembre" – le uniche denunce sono quelle degli sfollati o dei parenti delle vittime. Abbiamo osservato un non-giornalismo aberrante e abbiamo deciso di dire la nostra. Cosa che possiamo fare grazie alla totale autoproduzione del nostro lavoro. Ovunque nel mondo ci sono terremoti con magnitudo anche dieci volte più alta e i danni sono minori che in Italia, perché l'unica differenza lì è la preparazione. Pensate che L'Aquila per tantissimi anni è stata nella seconda fascia di rischio sismico, nemmeno la prima. E basta scavare un po' sotto le macerie per capire come le regole del profitto, nel nostro paese, valgano più di una vita umana".

 
 

Inceneritore di Montale (PT): i Comitati diffidano Regione, Provincia e Comuni

 
Coordinamento dei Comitati della Piana
Forum Ambientalista
Comitato per la Chiusura dell'Inceneritore di Montale
Comitato Cittadini Uniti Montemurlesi
 
COMUNICATO STAMPA   -   Agliana (PT),  10 aprile 2010
 
Il Coordinamento dei Comitati della Piana, il Forum Ambientalista, il Comitato per la Chiusura dell'Inceneritore di Montale, il Comitato Cittadini Uniti Montemurlesi in data odierna hanno tenuto una conferenza stampa ad Agliana al Bar Nazionale per comunicare che in questi giorni hanno notificato al Presidente della Giunta Regionale Toscana, ai Sindaci dei comuni di Montale, Agliana, Quarrata, Pistoia, Montemurlo e Prato nonché al Presidente della Provincia di Pistoia, FORMALE ATTO DI DIFFIDA AFFINCHE' EMETTANO ORDINANZE DI DIVIETO DI CONSUMO E COMMERCIALIZZAZIONE di prodotti alimentari di origine animale e vegetale, coltivati e allevati nelle aree di ricaduta degli inquinanti che fuoriescono dall'inceneritore di Montale, tenuto conto che lo stesso Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e Toscana di Roma che ha analizzato i campioni animali dell'area posta nella provincia di Pistoia – zona rossa, ha rilevato "una pressoché totale presenza" nei campioni di origine animale, di diossina e di PCB diossina simili anche assai superiori di legge previsto in 4 pg/g TE, come pure per campionamenti posti nell'area della provincia di Prato, nei comuni di Montemurlo e di Prato.
Il Forum Ambientalista ed i Comitati denunciano che le Ordinanze non sono state emesse neppure all'indomani dei risulati delle autoanalisi sul latte materno fatte per iniziativa del Comitato contro l'Inceneritore di Montale e grazie alla disponibilità e al coraggio di due madri di Montale e Agliana residenti in area di ricaduta che avevano volontariamente accettato di sottoporre ad analisi il proprio latte a circa due settimane dal parto.
L'indagine, eseguita presso il Consorzio Interuniversitario Nazionale "La chimica per l'ambiente" di Porto Marghera, ha evidenziato una consistente presenza di diossine e PCB, superiore anche ai limiti normativi previsti per il latte vaccino che è pari a 6 pg/g TE. In particolare l'analisi del latte materno ha messo in evidenza che il profilo di dodici molecole diossino-simili appartenenti ai PCB è del tutto sovrapponibile al profilo dei PCB emessi dall'impianto (analisi al camino effettuati in autocontrollo e dall'ARPAT negli ultimi anni) e al profilo dei PCB riscontrati nella carne di pollo, tanto da far ritenere ragionevolmente certa l'origine della contaminazione ambientale nell'impianto di incenerimento dei rifiuti di Montale.
Tutti questi dati convergono nel far ritenere la sussistenza di una situazione ambientale e sanitaria di rischio concreto per la salute delle popolazioni della zona, e mentre i cittadini ignari continuano a consumare e commerciare i prodotti alimentari, le amministrazioni locali né informano né tutelano con ordinanze di divieto di consumo e commercializzazione dei prodotti contaminati.
Noi riteniamo che tali provvedimenti non siano più rinviabili anche in considerazione dell'aggravamento della situazione ambientale e sanitaria dell'area in dipendenza dell'accumulo progressivo al suolo e nelle matrici alimentari di inquinanti persistenti, quali le diossine e i policlorobifenili, per causa delle continuative immissioni nell'ambiente, accumulatesi negli anni in quantitativi elevati, nonché quotidianamente determinate dalle emissioni dell' impianto di incenerimento, attualmente in funzione e che, come ogni impianto del genere, è riconosciuto sicura fonte di produzione delle dette sostanze.
Abbiamo indirizzato la diffida al Presidente della Giunta regionale e ai Sindaci, che in qualità autorità sanitarie locali, a sensi dei poteri ad essi conferiti dall'art. 32 della Legge n. 833 del 1978 anche agli effetti dell' articolo 328 del Codice Penale, provvedano al compimento senza ritardo di atti del proprio ufficio per ragioni di igiene e sanità.
Il Forum Ambientalista il Coordinamento dei Comitati e i Comitati dei cittadini firmatari informano che, qualora entro i prossimi giorni non dovesse essere dato seguito a quanto richiesto verranno interessate le Procure di Firenze, Prato e Pistoia per quanto di loro rispettiva competenza affinché valutino la sussistenza a carico dei diffidati del reato di "Rifiuto in atti di ufficio".
Viene richiesto inoltre che le amministrazioni si facciano carico di indennizzare e risarcire i produttori agricoli della zona per i danni subiti.

Ci rubano perfino le tasse

Il crac di Tributi Italia e una voragine da 90 milioni di euro
La conseguenza è che centinaia di piccoli Comuni sono sull'orlo del fallimento
Così le tasse vengono pagate e poi spariscono nei conti "sbagliati"
di Roberto Mania e Fabio Tonacci
LA REPUBBLICA   -   9 aprile 2010   pag. 30 e 31

TASSE RUBATE. Tasse privatizzate. Tasse evaporate. Almeno 90 milioni di euro - ma forse molti di più - di tasse pagate dai cittadini e mai versate nelle casse dei rispettivi Comuni. Tosap, Tarsu, Cosap, Ici, multe. Soldi finiti nel conto corrente sbagliato. È lo scandalo delle tasse rubate o - se volete - dei "furbetti delle tasse". Oppure, ancora meglio: è lo scandalo annunciato di "Tributi Italia", società privata per la riscossione delle imposte locali, nata a Chiavari e cresciuta in fretta in tutta Italia, a nord e a sud, al centro e nelle isole. Ecco: la bolla delle tasse, dopo quella immobiliare. D'altra parte Giuseppe Saggese, cinquantenne tarantino, figlio di magistrato, che di questa storia è il protagonista essendo il fondatore e poi il dominus di "Tributi Italia", costretto a tirare i fili da dietro le quinte per via dei due arresti (nel 2001 e nel 2009), le tasse le chiama "piastrelle". Piastrelle con le quali costruire pezzo dopo pezzo il proprio patrimonio.
Oggi centinaia di piccoli Comuni sparsi lungo la Penisola sono sull'orlo della bancarotta o soffrono per il buco nel loro bilancio. Ci sono Pomezia con un ammanco di quasi 22 milioni, Aprilia (20 milioni), Nettuno (3,2 milioni), Augusta (quasi 5 milioni), Bergamo (2,2 milioni), Fasano (quasi 2 milioni) e poi tanti, tanti, altri. I servizi, quelli per cui i cittadini pagano le tasse, spesso sono stati azzerati. Sono saltati oltre mille posti di lavoro. Solo qualche decina di dipendenti di "Tributi Italia" è rimasta a sbrigare le pratiche ancora necessarie, i collaboratori e consulenti sono stati licenziati, gli altri dipendenti sono in cassa integrazione. E lì resteranno dopo essere da mesi anche senza stipendio. "Tributi Italia", che raccoglieva le tasse per circa 400 Comuni, sta fallendo o è già tecnicamente fallita. Ha chiesto di poter accedere al concordato preventivo previsto della legge Marzano, la versione italica del "Chapter 11" americano. Il governo ha approvato una norma (sta nel decreto incentivi) per salvare la superholding delle tasse. Che adesso è in una sorta di stand by: prima cancellata per inadempienze dall'albo dei riscossori, quindi in attesa della decisione di merito del Consiglio di Stato, dopo la sospensiva ordinata dal Tar del Lazio. Impervi sentieri giudiziari che difficilmente cambieranno l'epilogo di questo scandalo. Il Tribunale di Roma deciderà prossimamente sull'ammissione della società al concordato preventivo. La Procura di Velletri si sta preparando a chiedere il rinvio a giudizio dei vertici della società con l'accusa di peculato. E le altre tredici inchieste aperte proseguiranno. Ma come è potuto accadere il furto delle tasse? È anche colpa degli amministratori? Chi doveva controllare? Chi restituirà i soldi ai Comuni e dunque i servizi ai cittadini?

Il modello Aprilia
Le tasse, per fortuna, non possono avere padrone. Ma qui siamo davanti a una fittissima ragnatela di interessi, tutti privati e mai pubblici. Ci sono amministratori inadeguati e ambiziosi. Ci sono affaristi travestiti da imprenditori con tante fidejussioni fasulle. Ci sono i controllori che non controllano o controllati che sono anche i controllori. Qualche volta pure i revisori dei conti sono abusivi. Non mancano, come sempre, le scatole cinesi. Ci sono scambi palesi e altri nell'ombra. Ci sono assunzioni clientelari, società miste pubblico-privato per nulla trasparenti e degne di un posto in prima fila nella degenerazione del non già edificante capitalismo municipale. Ci sono protezioni. Inspiegabili silenzi, colpevoli disattenzioni. Ci sono generali della Guardia di finanza in pensione che diventano consulenti proprio di "Tributi Italia". E ci sono soprattutto 14 Procure della Repubblica che indagano dopo i 135 esposti presentati dalle amministrazioni locali.
Questa storia può cominciare ad Aprilia, provincia di Latina. Siamo nell'agro pontino, 40 chilometri da Roma. E circa 70 mila abitanti fregati. "Tributi Italia" dovrebbe consegnare al Comune 20 milioni e passa di euro. È scoppiata una guerra giudiziaria. La società e gli ex amministratori hanno vinto un paio di round, incassando pure dopo dieci anni una sentenza di assoluzione dal tribunale di Latina. Ma non è finita. Sulle pareti scrostate del corridoio che porta all'ufficio del sindaco sono appese le foto in bianco e nero che raccontano l'origine di Aprilia: 25 aprile 1936 il Duce in sella a un trattore segna il perimetro della città. Ma in questa cittadina triste e disordinata, un po' agricola, un po' industriale grazie alla vecchia Cassa per il Mezzogiorno, un tempo terra di immigrati veneti ed emiliani e ora di nordafricani e asiatici, il sindaco è un socialista, come di quelli che non ce ne sono più. Un socialista. Domenico D'Alessio è prossimo a compiere 62 anni. Figlio di un pastore abruzzese arrivato da queste parti durante una transumanza, è diventato sindaco meno di un anno fa quasi per un moto di rivolta popolare: contro lo scandalo delle tasse sottratte. Si è presentato con quattro liste civiche e ha battuto, umiliandole, la destra e la sinistra. Ma, d'altra parte, il suo voto, dai banchi dell'opposizione, in quella riunione notturna del 19 marzo 1999 del consiglio comunale, fu uno dei due no all'affidamento all'Aser (società mista) del servizio di accertamento e riscossione dei tributi locali. Erano le tre di notte, presenti 14 consiglieri comunali su 30. Fu l'inizio della scalata, perché Aser è una delle controllate di "Tributi Italia" che, nata come Publiconsult nel 1986, si trasforma in San Giorgio nel 2004, e poi va all'assalto delle piccole concorrenti del business delle tasse e compra Gestor, Ausonia, Rtl e Ipe per diventare "Tributi Italia" nel 2008. Il "modulo di gioco" non cambia praticamente mai. Compresi, forse, i favolosi soggiorni di amministratori e consiglieri lungo la riviera di Levante in comodissimi yacht, dei quali si favoleggia tra gli apriliani arrabbiati.

Società miste
Lo schema adottato ad Aprilia, infatti, si replica dovunque. "Tributi Italia" riesce a prendersi direttamente o attraverso una società mista pubblico privata, di cui possiede il 49 per cento, il servizio della riscossione. Nei consigli di amministrazione, però, la maggioranza va ai privati così da assicurargli il governo della società. Alla quale va un aggio stratosferico: fino al 30 per cento di quanto incassato. Aggio che, in alcuni casi, arriva al 75 per cento sugli accertamenti dell'evasione. Cartelle pazze? Chi può escluderlo. Le gare d'appalto (quando ci sono) sono ritagliate sulle caratteristiche della società mista di turno. Così, per impedire la concorrenza delle banche, all'attività di accertamento e riscossione dei tributi si affianca quella della manutenzione del verde pubblico. L'agguerrito assessore al Bilancio e alle Finanze di Aprilia, Antonio Chiusolo, subito dopo l'insediamento, ha scoperto, oltre al buco in bilancio, che le due palme impiantate a qualche chilometro dal municipio erano costate agli apriliani cinque milioni di euro, essendosi esaurita lì la cura per il verde offerta dall'Aser. Ma Chiusolo ha scoperto anche altre cose. Per esempio che le fidejussioni a garanzia delle prestazioni di "Tributi Italia" erano state emesse l'una dall'"Italica" di Cassino, destinata a fallire da lì a poco e con il proprietario indagato per truffa in un'inchiesta calabrese; l'altra da "Fingeneral" per nulla intenzionata a intervenire per via dell'insolvenza di "Tributi Italia". Insomma, polizze carta straccia. E quando Chiusolo si recò a Roma alla "Fingeneral" in Via di Porta Pinciana nei pressi di Via Veneto - dove, tra l'altro, al secondo piano del 146 c'è anche la sede legale di "Tributi Italia" - si trovò davanti tal Fabio Calì, amministratore della finanziaria, arrestato nel 2007 per una truffa da 93 milioni ai danni della Banca di Roma. Fidejussioni inesistenti e revisori dei conti non iscritti all'albo, ma messi addirittura a presiedere l'organo di controllo. Anche questo lo hanno scoperto il sindaco e il suo assessore: "Ortori Elio, nato a Massa il 23 luglio 1960, non risulta essere mai stato iscritto nel Registro dei Revisori Contabili", ha comunicato ai due amministratori l'ordine nazionale dei commercialisti.

Assunzioni e poteri
Ma dove sono finiti i soldi che hanno provocato una voragine nei conti di così tanti municipi? Chi sa dove sono? Giuseppe Travaglini, quarantacinquenne, marchigiano, sostituto procuratore della Repubblica a Velletri, ha ricostruito il percorso seguito dalle tasse del vicino comune di Nettuno, delineando così il "sistema Saggese". L'ipotesi è che ci sia un "Conto padre" nel quale arrivano tutte le tasse provenienti dai vari Comuni. Dal "Conto padre", poi, si dipanerebbero i conti affluenti, i "conti figli", lasciati costantemente a zero. Da qui i soldi dei cittadini finirebbero nelle tesorerie dei Comuni, in ogni caso con un guadagno derivante dalla maturazione degli interessi bancari. Ma poi c'è il gran miscuglio: le tasse di Alghero che finiscono a Forlì, le multe di Nettuno usate per finanziare il verde pubblico di Bari e via dicendo. Spesso - secondo l'ipotesi dei pm - le tasse sono servite a Saggese per ripianare parte dei debiti con le banche. Così sarebbe stata possibile la crescita tumultuosa di "Tributi Italia": diventare la prima società privata della riscossione con oltre 230 milioni di fatturato nel 2008 e circa 1,8 milioni di utili prima delle imposte. Una crescita anche di potere nel rapporto con i politici locali, i partiti, le consorterie, gli amministratori. Aver in mano i cordoni della borsa, poterli aprire e poterli chiudere, significa avere il potere, o almeno un pezzo del potere. Può significare, per esempio, poter giocare al tavolo delle assunzioni clientelari, anche di parenti di consiglieri comunali, come si dice a Nettuno e pure a Bari. Dunque può significare l'ammissione al banchetto degli scambi territoriali, che è poi la sede autentica dove prende forma il potere o l'intreccio di poteri. Ed è anche in forza di questo protagonismo, decisamente politico, che "Tributi Italia" denuncia di avere un credito nei confronti di tutti i Comuni intorno ai 142 milioni di euro, pur ammettendo di essere in una fase di "tensione finanziaria". Perché il "sistema Saggese" si inceppa per colpa della crisi: manca all'appello l'Ici, aumentano gli evasori e l'accertamento diventa più dispendioso.

Sei milioni di parcelle
E il Palazzo? Dove stavano i potenti di Roma mentre le tasse locali se ne andavano in direzioni anomale? Possibile che nessuno se ne sia accorto? Ci sono due deputati del Pd, Ludovico Vico, ex sindacalista della Cgil pugliese, e Rita Bernardini, esponente del Partito radicale, che hanno presentato più di una interrogazione ma senza mai risposte da parte del governo. Due deputati sommersi dalle richieste di sostegno da parte dei sindaci di tutta Italia, che non hanno esitato a denunciare la "corruttela" del sistema. Probabilmente anche il colpo decisivo per la cancellazione di "Tributi Italia" dall'albo dei riscossori è arrivato dal Parlamento. Lontano dai riflettori, la Commissione Finanze della Camera ha indagato a fondo sul caso "Tributi Italia". Si scoprono tante cose leggendo il resoconto dei lavori nella Commissione, come, d'altra parte, i verbali delle riunioni, tenute al ministero dell'Economia e delle Finanze, della Commissione che gestisce l'albo dei riscossori. Per esempio, si scopre di come sia stato tortuoso il cammino per la cancellazione dall'albo. E si scopre che l'Anci, l'associazione dei Comuni, non è sempre stata presente alle riunioni dell'Anacap (l'associazione di categoria dei riscossori). E perché tra i componenti di quest'ultima, che ha voce in capitolo sulla cancellazione, c'è Pietro Di Benedetto che fa l'avvocato e difende proprio "Tributi Italia"? Quest'ultima, a sua volta, ha speso non meno di 6 milioni di euro per pagare i suoi consulenti legali. Tasse dei cittadini? E poi: controllati che controllano? Non resta che dare l'ultima lettura al teutonico codice etico della holding delle tasse, quello che ciascun dipendente ora in cassa integrazione aveva per anni scrupolosamente osservato: "Tributi Italia crede fermamente che l'onestà sia una componente fondamentale di ogni comportamento etico e la lealtà è essenziale per costruire relazioni d'affari solide e durature". Sì, c'è scritto proprio così.


Il trionfo del crimine



"PASSAPAROLA" del 5 aprile 2010, di Marco Travaglio

IL TRIONFO DEL CRIMINE

Tratto dal sito   www.beppegrillo.it