Via d'Amelio, Palermo - 19 luglio 1992

 
Via d'Amelio, Palermo - 19 luglio 1992
 
Paolo Emanuele Borsellino
 
 
Biografia
 
Nasce a Palermo nel quartiere popolare La Kalsa, dove vivono tra gli altri Giovanni Falcone e Tommaso Buscetta. Dopo aver frequentato le scuole dell'obbligo Borsellino si iscrive al Liceo Classico "Giovanni Meli" di Palermo. Durante gli anni del liceo diventa direttore del giornale studentesco "Agorà". Nel giugno del 1958 si diploma con ottimi voti e l'11 settembre dello stesso anno Borsellino si iscrive a Giurisprudenza a Palermo con numero di matricola 2301. Dopo una rissa tra studenti "neri" e "rossi" finisce erroneamente anche lui di fronte al magistrato Cesare Terranova a cui dichiara la propria estraneità ai fatti. Il giudice sentenzierà che Borsellino non c'entra nulla con l'episodio.
Paolo Borsellino, proveniente da una famiglia con simpatie politiche a destra, nel 1959 si iscrive al FUAN di cui diviene membro dell'esecutivo provinciale e viene eletto come rappresentante studentesco nella lista del FUAN "Fanalino" di Palermo [1].
Il 27 giugno 1962 all'età di ventidue anni Borsellino si laurea con 110 e lode con una tesi su "Il fine dell'azione delittuosa" con relatore il professor Giovanni Musotto. Pochi giorni dopo, a causa di una malattia, muore suo padre all'età di cinquantadue anni. Borsellino si impegna con l'ordine dei farmacisti a tenere la farmacia del padre fino al raggiungimento della laurea in farmacia della sorella Rita. Durante questo periodo la farmacia viene data in gestione per un affitto bassissimo di 120 mila lire al mese.[2] La famiglia Borsellino è costretta a gravi rinunce e sacrifici. Riceverà l'esonero dal servizio militare poiché "unico sostentamento della famiglia".
Nel 1967 Rita si laurea in farmacia, il primo stipendio da magistrato di Paolo Borsellino servirà proprio a pagare la tassa governativa.
Il 23 dicembre 1968 sposa Agnese Piraino Leto, figlia di Angelo Piraino Leto, a quel tempo magistrato presidente del tribunale di Palermo.
 
La carriera da giudice
 
« L'equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E NO! questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest'uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c'è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati. »
 
(Paolo Borsellino, Istituto Tecnico Professionale di Bassano del Grappa 26/01/1989)
Nel 1963 Borsellino partecipa al concorso per entrare in magistratura ottenendo 57 voti si classifica venticinquesimo sui 110 posti in gara, e diventa il più giovane magistrato d'Italia.[3] Nel 1967 diventa pretore a Mazara del Vallo. Nel 1969 è pretore a Monreale, dove lavora insieme ad Emanuele Basile. Proprio qui avrà modo di conoscere per la prima volta la mafia dei corleonesi.[4]
Il 21 marzo 1975 viene trasferito a Palermo ed il 14 luglio entra nell'ufficio istruzione affari penali sotto la guida di Rocco Chinnici.
 
Il 1980 vede l'arresto dei primi sei mafiosi grazie all'indagine condotta da Basile e Borsellino, ma nello stesso anno arriva la morte di Emanuele Basile e la scorta per la famiglia Borsellino.
In quell'anno viene costituito il pool antimafia, dove lavorano, sotto la guida di Chinnici, tre magistrati (Falcone, Borsellino, Giovanni Barrile) e due commissari (
Cassarà e Montana). Tutti i componenti del pool chiedono espressamente l'intervento dello Stato, che non arriva.
Il 29 luglio 1983 viene ucciso Rocco Chinnici nell'esplosione di un'autobomba e pochi giorni dopo arriva da Firenze Antonino Caponnetto. Il pool vuole una mobilitazione generale contro la mafia. Nel 1984 viene arrestato Vito Ciancimino, mentre Tommaso Buscetta ("Don Masino", come viene chiamato nell'ambiente mafioso), arrestato a San Paolo del Brasile ed estradato in Italia, inizia a collaborare con la giustizia.
Buscetta descrive in modo dettagliato la struttura della mafia di cui fino ad allora si sapeva ben poco. Nel 1985 vengono uccisi da Cosa Nostra, a pochi giorni l'uno dall'altro, i commissari Giuseppe Montana e Ninni Cassarà. Falcone e Borsellino vengono trasferiti nella foresteria del carcere dell'Asinara, dove iniziano a scrivere l'istruttoria per il maxiprocesso. Si seppe in seguito che l'amministrazione penitenziaria richiese ai due magistrati il rimborso spese ed un indennizzo per il soggiorno trascorso. [5]
Il 19 dicembre 1986 Borsellino viene nominato Procuratore della Repubblica di Marsala. Nel 1987 Caponnetto lascia il pool per motivi di salute e tutti (Borsellino compreso) si aspettano la nomina di Falcone, ma il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) non la vede nella stessa maniera e nasce la paura di vedere il pool sciolto.
Borsellino parla dovunque e racconta quel che accade alla procura di Palermo: per questo motivo rischia il provvedimento disciplinare e solo grazie all'intervento del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga si decide di indagare su ciò che succede nel palazzo di Giustizia.
Il 31 luglio il CSM convoca Borsellino che rinnova accuse e perplessità. Il 14 settembre Antonino Meli diventa (per anzianità) il capo del pool; Borsellino torna a Marsala, dove riprende a lavorare alacremente insieme a giovani magistrati, alcuni di prima nomina. Inizia in quei giorni il dibattito per la costituzione di una Superprocura e su chi porne a capo. Falcone va a Roma per prendere il comando della direzione affari penali e preme per l'istituzione della Superprocura.
Con Falcone a Roma, Borsellino chiede il trasferimento alla Procura di Palermo e l'11 dicembre 1991 Paolo Borsellino, insieme al sostituto Antonio Ingroia, torna operativo alla Procura di Palermo, come Procuratore aggiunto.
Il 23 maggio 1992 nell'attentato di Capaci perdono la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco di Cillo. Due mesi prima della sua morte, Paolo Borsellino rilascia un'intervista ai giornalisti Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi (19 maggio 1992). L'intervista mandata in onda da RaiNews 24 nel 2000 è di trenta minuti, quella originale era invece di cinquanta minuti.
 
Nelle elezioni presidenziali del 1992, i parlamentari del MSI votarono per Paolo Borsellino come Presidente della Repubblica nel corso dell'XI scrutinio.
 
Le dichiarazioni pubbliche [modifica]
Borsellino, in vita, rilasciò interviste e partecipò a numerosi convegni per denunciare l'isolamento dei giudici e l'incapacità o la mancata volontà da parte della politica di dare risposte serie e convinte alla lotta alla criminalità. In una di queste Borsellino descrive le ragioni che hanno portato all'omicidio del giudice Rosario Livatino e prefigura la fine (che poi egli stesso farà) che ogni giudice "sovraesposto" è destinato a fare.
 
La penultima intervista di Borsellino e le sue versioni
 
Nella sua penultima intervista, avuta luogo il 21 Maggio 1992 con Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi, Borsellino riferì delle possibili correlazioni tra i mafiosi di Cosa Nostra e di ricchi uomini d'affari come il futuro Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.[6] In questa sua ultima intervista Paolo Borsellino parla anche dei legami tra la mafia e l'ambiente industriale milanese e del Nord Italia in generale, facendo riferimento, tra le altre cose, a indagini in corso sui rapporti tra Marcello Dell'Utri, Vittorio Mangano e Silvio Berlusconi.
Alla domanda se fosse Mangano un "pesce pilota" della mafia al Nord, Borsellino risponde che egli era sicuramente una testa di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord d'Italia. Sui rapporti con Berlusconi invece si astiene da giudizi definitivi.
Anche alla luce di quest'intervista e del ruolo di Mangano così come descritto da Borsellino (testa di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord d'Italia) ha destato scalpore la dichiarazione di Marcello Dell'Utri, condivisa dal presidente del consiglio dei ministri Silvio Berlusconi in merito a Vittorio Mangano: egli fu, a modo suo, un eroe.[7] [8]
Paolo Guzzanti aveva sostenuto che l'intervista trasmessa da Rai News 24 era stata manipolata, i giornalisti della rete gli fecero causa, ma venne assolto. Vi era la corrispondenza tra la cassetta ricevuta e il contenuto trasmesso, ma non con il video originale. Alcune risposte erano state tagliate e messe su altre domande. Ad esempio, quando Borsellino parla di "cavalli in albergo" per indicare un traffico di droga, non si riferisce ad una telefonata fra Dell'Utri e Mangano come poteva sembrare dalla domanda dell'intervistatore (che faceva riferimento ad un'intercettazione dell'inchiesta di San Valentino, che Borsellino aveva seguito solo per poco tempo), ma ad una fra Mangano e un mafioso della famiglia Inzerillo.[9]
Nel numero de L'Espresso dell'8 aprile 1994 venne pubblicata una versione più estesa dell'intervista.[10]
L'intervista, e i tagli relativi alla sua versione televisiva, sono citati anche dal tribunale di Palermo nella sentenza di condanna di Cinà Gaetano e Marcello Dell'Utri:
 
« Un riferimento a quelle indagini si rinviene nella intervista rilasciata il 21 maggio 1992 dal dr. Paolo Borsellino ai giornalisti Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo. In dibattimento il Pubblico Ministero ha prodotto la cassetta contenente la registrazione originale di quella intervista che, nelle precedenti versioni, aveva subito, invece, evidenti manipolazioni ed era stata trasmessa a diversi anni di distanza dal momento in cui era stata resa, malgrado l'indubbio rilievo di un simile documento. »
 
(Dalla sentenza di condanna di Dell'Utri Pag 431[11])
Nella sentenza viene poi riportato il brano dell'intervista relativo all'uso del termine "cavalli" per indicare la droga e sulle condanne passate di Mangano, in una versione ancora differente rispetto alle due già diffuse, trascritta dal nastro originale. Nella stessa sentenza viene poi riportata l'intercettazione della telefonata intercorsa tra Mangano (la cui linea era sotto controllo) e Dell'Utri (rapporto 0500/CAS del 13 aprile 1981 della Criminalpol di Milano), relativo al blitz di San Valentino, in cui veniva citato un "cavallo", a cui aveva fatto riferimento il giornalista nelle domande dell'intervista a Borsellino.[12] La sentenza specifica però che:
 
« Tra le telefonate intercettate (il cui tenore aveva consentito di disvelare i loschi traffici ai quali il Mangano si era dedicato in quegli anni) si inserisce quella del 14 febbraio 1980 intercorsa tra Vittorio Mangano e Marcello Dell'Utri.
È opportuno chiarire subito che questa conversazione, pur avendo ad oggetto il riferimento a "cavalli", termine criptico usato dal Mangano nelle conversazioni telefoniche per riferirsi agli stupefacenti che trafficava, non presenta un significato chiaramente afferente ai traffici illeciti nei quali il Mangano era in quel periodo coinvolto e costituisce il solo contatto evidenziato, nel corso di quelle indagini, tra Marcello Dell'Utri e i diversi personaggi attenzionati dagli investigatori. »
 
 
La strage di via d'Amelio
 
Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si reca insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove vive sua madre.
Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell'abitazione della madre con circa 100 kg di tritolo a bordo esplode, uccidendo oltre a Paolo Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L'unico sopravvissuto è Antonino Vullo. Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro organizzato dalla rivista MicroMega, Borsellino parlò della sua condizione di "condannato a morte". Sapeva di essere nel mirino di Cosa Nostra e sapeva che difficilmente la mafia si lascia scappare le sue vittime designate.
 
Via d'Amelio come strage di Stato
 
« Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d'accordo. »
 
(Lirio Abbate, Peter Gomez[13])
Nell'introduzione del libro L'agenda rossa di Paolo Borsellino Marco Travaglio scrive:
 
« Oggi, quindici anni dopo, non è cambiato nulla. L'impressione è che, ai piani alti del potere, quelle verità indicibili le conoscano in tanti, ma siano d'accordo nel tenerle coperte da una spessa coltre di omissis. Per sempre. L'agenda rossa è la scatola nera della Seconda Repubblica. Grazie a questo libro cominciamo a capire qualcosa anche noi »
 
(Marco Travaglio[14])
Salvatore Borsellino, fratello di Paolo Borsellino, parla esplicitamente di "strage di Stato":
 
« Perché quello che è stato fatto è proprio cercare di fare passare l'assassinio di Paolo e di quei ragazzi che sono morti in via D'Amelio come una strage di mafia. [...] Hanno messo in galera un po' di persone - tra l'altro condannate per altri motivi e per altre stragi - e in questa maniera ritengono di avere messo una pietra tombale sull'argomento. Devo dire che purtroppo una buona parte dell'opinione pubblica, cioè quella parte che assume le proprie informazioni semplicemente dai canali di massa - televisione e giornali - è caduta in questa chiamiamola "trappola" [...] Quello che noi invece cerchiamo in tutti i modi di far capire alla gente [...] è che questa è una strage di stato, nient'altro che una strage di stato. E vogliamo far capire anche che esiste un disegno ben preciso che non fa andare avanti certe indagini, non fa andare avanti questi processi, che mira a coprire di oblio agli occhi dell'opinione pubblica questa verità, una verità tragica perché mina i fondamenti di questa nostra repubblica. Oggi questa nostra seconda repubblica è una diretta conseguenza delle stragi del '92 »
 
(Salvatore Borsellino[15])
 
L'eredità
 
La figura di Paolo Borsellino, come quella di Giovanni Falcone, ha lasciato un grande esempio nella società civile e nelle istituzioni.
Alla sua memoria sono state intitolate numerose scuole e associazioni, nonché l'aeroporto internazionale di Punta Raisi (Palermo) e un'aula della facoltà di Giurisprudenza all'Università di Roma La Sapienza.
Anche il cinema e la televisione hanno onorato la memoria del magistrato palermitano:
Paolo Borsellino, miniserie televisiva del 2004 di Gianluca Maria Tavarelli;
 
Onorificenze
 
«Procuratore Aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo, esercitava la propria missione con profondo impegno e grande coraggio, dedicando ogni sua energia a respingere con rigorosa coerenza la proterva sfida lanciata dalle organizzazioni mafiose allo Stato democratico. Nonostante le continue e gravi minacce, proseguiva con zelo ed eroica determinazione il suo duro lavoro di investigatore, ma veniva barbaramente trucidato in un vile agguato, tesogli con efferata ferocia, sacrificando la propria esistenza, vissuta al servizio dei più alti ideali di giustizia e delle Istituzioni.» — Palermo, 19 luglio 1992
 
Note
 
1 "Paolo Borsellino" - Umberto Lucentini - 2003 - Edizioni San Paolo
2 Il valore di una vita, pag. 35
4 www.ansa.it/legalita/static/bio/borsellino.shtml
5 Figure di una battaglia: documenti e riflessioni sulla mafia dopo l'assassinio di G. Falcone e P. Borsellino, pag. 121
10 trascrizione dell'intervista pubblicata su L'Espresso dell'8 aprile 1994, dal sito di Rainews 24
11 sentenza dell'11 dicembre 2004, relativa al procedimento contro Marcello Dell'Utri
12 Trascrizione di un'intercettazione telefonica tra Vittorio Mangano e Marcello Dell'Utri, sentenza dell'11 dicembre 2004, relativa al procedimento contro Marcello Dell'Utri, pag 483 e seguenti, proveniente dal rapporto 0500/CAS dell'aprile 1981 della Criminalpol di Milano
13 Lirio Abbate, Peter Gomez, I complici. Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano, da Corleone al Parlamento, p. 36
 
Bibliografia
 
Maurizio Calvi, Crescenzo Fiore, Figure di una battaglia: documenti e riflessioni sulla mafia dopo l'assassinio di G. Falcone e P. Borsellino, Dedalo, 1992
Giustizia e Verità. Gli scritti inediti di Paolo Borsellino, a cura di Giorgio Bongiovanni, Ed. Associazione Culturale Falcone e Borsellino, 2003
Rita Borsellino, Il sorriso di Paolo, EdiArgo, Ragusa, 2005
Umberto Lucentini, Paolo Borsellino. Il valore di una vita, Mondadori, 1994
Giammaria Monti, Falcone e Borsellino: la calunnia il tradimento la tragedia, Editori Riuniti, 1996
Leone Zingales, Paolo Borsellino - una vita contro la mafia, Limina, 2005
Rita Borsellino, Fare memoria per non dimenticare e capire, Maria Pacini Fazzi Editore, 2002
Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco, L'agenda rossa di Paolo Borsellino, Chiarelettere, 2007
Fondazione Progetto Legalità Onlus in memoria di Paolo Borsellino e di tutte le altre vittime della mafia, "La memoria ritrovata. Storie delle vittime della mafia raccontate dalle scuole", Palumbo Editore, 2005
 
 
Tratto dal sito www.wikipedia.it