Aeroporto Ampugnano (Siena): indagato Mussari, presidente Abi e Mps
Pubblicato da CCCPEC.IT Sezione Aeroporto Ampugnano , sabato 7 agosto 2010
Aeroporto Ampugnano indagato Mussari
Informazione di garanzia per presidente Abi e Mps
ANSA - 06 agosto, 20:39
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2010/08/06/visualizza_new.html_1878937799.html
SIENA - Il presidente della banca Monte dei Paschi di Siena e presidente dell'Abi, Giuseppe Mussari, è indagato dalla procura di Siena per concorso morale in ordine ai reati di falso e turbativa d'asta, nell'ambito dell'inchiesta sulla privatizzazione dell'aeroporto di Ampugnano, a Sovicille (Siena). Lo ha reso noto lo stesso Mussari.
AEROPORTO AMPUGNANO: MUSSARI, SONO ESTRANEO ALLE ACCUSE
SIENA - "Ho ricevuto una informazione di garanzia dalla procura della repubblica presso il tribunale di Siena, con cui vengo informato di essere sottoposto a indagini per concorso morale in ordine ai reati di falso e turbativa d'asta, relativamente alla Procedura di privatizzazione dell'aeroporto di Siena. Mi ritengo assolutamente estraneo alle ipotesi di reato ipotizzate dalla procura di Siena, esprimo la mia più ferma fiducia nei confronti della magistratura senese". Lo ha affermato Giuseppe Mussari, presidente della banca Monte dei paschi di Siena, in merito all'inchiesta senese sulla privatizzazione dell'aeroporto di Ampugnano, a Sovicille (Siena).
"Falso in atto pubblico e turbativa d'asta" avviso di garanzia al presidente dell'Abi
di Franca Selvatici
LA REPUBBLICA - 7 agosto 2010 pag. 18
SIENA - L'avvocato Giuseppe Mussari, presidente del Monte de' Paschi di Siena e dell'Abi (Associazione bancaria italiana), ha ricevuto una informazione di garanzia per concorso in turbativa d'asta e falso in atto pubblico.
L'inchiesta dei pm Mario Formisano e Francesca Firrao, nella quale sono indagate in tutto sedici persone, riguarda le procedure di privatizzazione della società «Aeroporto di Siena Spa», che gestisce il piccolo scalo di Ampugnano nel territorio di Sovicille e ne progetta il potenziamento, fra mille proteste di cittadini e ambientalisti che temono lo scempio di un paesaggio unico al mondo.
Nel 2007 un comitato di saggi nominato dal Monte de' Paschi scelse come partner della società aeroportuale «per l'adeguamento infrastrutturale dello scalo» il Fondo di investimenti Galaxy, partecipato dalle Casse depositi e prestiti italiana e francese e dalla banca tedesca Kfw. Secondo la procura, quella gara fu falsata. Mesi prima della pubblicazione dell'«invito a manifestare interesse», cioè del bando di gara, Mps e società aeroportuale avevano siglato un accordo con Galaxy per la realizzazione di un progetto di sviluppo dello scalo.
La procura, che il 28 luglio scorso ha mandato carabinieri e Guardia di finanza a perquisire la storica Rocca Salimbeni, sede centrale di Mps, ieri ha disposto d'urgenza il sequestro delle quote della società aeroportuale detenute da Galaxy. Si tratta del 56,38% delle azioni ordinarie. Il restante 43,62% è suddiviso fra Mps (21,38%), Camera di Commercio di Siena (19,66%), Comune di Siena (1,03%), Provincia di Siena (1,03%), Comune di Sovicille (0,41%), Aeroporto di Firenze Spa (0,11%). Anna Molinotti, attuale presidente del Fondo Galaxy, è stata nominata custode delle azioni in sequestro. Nel dare notizia della sua iscrizione nel registro degli indagati il presidente Mussari ha dichiarato: «Mi ritengo assolutamente estraneo alle ipotesi di reato formulate dalla procura di Siena. Esprimo la mia più ferma fiducia nei confronti della magistratura senese».
Fin dall'avvio del progetto di potenziamento dell'aeroporto, la società senese, in genere granitica, ha sperimentato una frattura sempre più profonda all'interno della sinistra, qui da sempre al potere: da una parte i fautori dello «sviluppo», dall'altra i difensori dell'ambiente e del paesaggio. Le assicurazioni di Galaxy e delle istituzioni senesi, secondo cui lo scalo, pur potenziato, non avrebbe avuto alcun impatto negativo sul territorio, non hanno trovato grande accoglienza. L'ipotesi di un aeroporto che, nel progetto iniziale, avrebbe dovuto raggiungere i 100 mila passeggeri entro il 2012 e i 500 mila nel 2020, contro i 10 mila attuali, ha sollevato ondate di proteste arrivate fino a Londra. Nel gennaio 2008 davanti alla National Gallery, che ospitava una mostra di pittura senese, una trentina di persone manifestò contro il Monte de' Paschi di Siena, accusato di sovvenzionare «la costruzione di un enorme aeroporto nel cuore della bella e incontaminata campagna toscana». Animatore della protesta era Fred Lambton, figlio del conte di Durham, proprietario della seicentesca Villa Cetinale a Sovicille, poco lontano dallo scalo della discordia.
"Quella gara fu falsata" Siena, Mussari indagato
Il pm: sull'aeroporto favorito il fondo Galaxy
di Franca Selvatici
LA REPUBBLICA Edizione FIRENZE - 7 agosto 2010 pag. V
Il presidente del Monte de' Paschi di Siena Giuseppe Mussari, dal 15 luglio presidente dell'Abi (Associazione bancaria italiana), è sotto inchiesta a Siena per concorso morale in turbativa d'asta e falso in atto pubblico. L'indagine, coordinata dai pm Mario Formisano e Francesca Firrau, riguarda la procedura di selezione di un partner privato per l'adeguamento infrastrutturale dell'aeroporto di Ampugnano, a Sovicille. Gli indagati sono sedici. Ieri la procura ha disposto d'urgenza il sequestro delle quote della società «Aeroporto di Siena Spa» detenute dal fondo di investimenti Galaxy, scelto nel 2007 come partner privato al termine di una procedura di selezione gestita dal Monte de' Paschi. Attualmente Galaxy, di proprietà delle Casse depositi e prestiti italiana, francese e tedesca, detiene il 56,38% delle quote della società aeroportuale. Le restanti azioni sono detenute per il 21,38% dal Monte de' Paschi, per il 19,66% dalla Camera di Commercio di Siena. Comune e Provincia di Siena detengono ciascuno l´1,03%, il Comune di Sovicille ha lo 0,41%, l'Aeroporto di Firenze Spa lo 0,11%. L'attuale presidente di Galaxy, Anna Molinotti, è stata nominata custode delle azioni. Il presidente Mussari si è dichiarato «assolutamente estraneo alle ipotesi di reato formulate dalla procura di Siena» ma ha espresso la sua «più ferma fiducia nei confronti della magistratura senese».
Secondo la procura, la gara ad evidenza pubblica per la selezione del partner privato, che si svolse nel 2007, fu falsata. Il comitato di saggi nominato da Mps e presieduto da Lorenzo Biscardi, presidente dell'aeroporto e funzionario Mps, si trovò ad esaminare la proposta del Fondo Galaxy e quella di un secondo competitor, l'imprenditore Paolo Alazraki (Gruppo Dreams & Terranova). Fu scelto Galaxy. Un esito precostituito, secondo le ipotesi di accusa. Alcuni mesi prima della designazione era stato siglato un accordo fra Comune di Siena, Mps, Società aeroportuale e Fondo Galaxy avente ad oggetto la predisposizione di un progetto di sviluppo dello scalo.
Nell'ottobre 2007 la signora Corinne Namblard, all'epoca presidente e amministratore delegato di Galaxy (oggi fra gli indagati), dichiarò: «Questo piano l'ho sviluppato da sola. Quando sono venuta a Siena sono rimasta impressionata dalla bellezza di questo territorio e ho capito subito che lo sviluppo dell'aeroporto doveva essere assolutamente in sintonia con la qualità del paesaggio, anzi al suo servizio». Argomento che non ha convinto migliaia di senesi, che da tre anni si oppongono strenuamente all'ampliamento dello scalo.
Capitalismo all'italiana
Mussari, Monte Paschi e Abi indagato per l'aeroporto di Siena
IL FATTO QUOTIDIANO - 7 agosto 2010 pag. 9
E' lui stesso a dare la notizia. Giuseppe Mussari, presidente del Monte de' Paschi di Siena (Mps) e dell'Associazione bancaria italiana (Abi), è indagato per "concorso morale in ordine ai reati di falso e turbativa d'asta, relativamente alla Procedura di privatizzazione dell'aeroporto di Siena". La vicenda è, appunto, quella del contestato aeroporto di Ampugnano (a Sociville, in provincia di Siena) che in tre anni ha visto manifestazioni di piazza, ricorsi al Tar, esposti (della Lega Nord toscana) e lo scorso 30 luglio la perquisizione della sede di Mps.
Nel settembre 2007 Mps rileva una quota dell'aeroporto di Siena da Adf, il gruppo che gestisce lo scalo di Firenze (e di cui Mps è azionista). In quello stesso anno si inizia a discutere del progetto di ampliamento dell'aeroporto di Ampugnano. L'idea era di trasformare un piccolo aeroporto che gestisce poco più di un migliaio di passeggeri in un colosso da mezzo milione di persone. Le associazioni ambientaliste e dei cittadini protestano: temono il cemento, danni alle falde acquifere e la distruzione del paesaggio che è l'unica attrazione che dovrebbe attirare i turisti per i quali viene ampliato lo scalo. La procura di Siena ora indaga sul comitato dei saggi che nel 2007 doveva valutare la scelta di un partner finanziario per l'operazione e sul consiglio di amministrazione dell'aeroporto. I saggi, guidati da un uomo della fondazione Mps (che controlla la banca), scelse il fondo Galaxy, un veicolo finanziario usato dalle casse depositi e prestiti di molti Paesi (anche l'Italia vi ha investito nel 2006). La procura ritiene che il vincitore fosse stato deciso già prima della valutazione, visto che Galaxy, il Comune e Mps avevano già discusso di ampliare lo scalo di Ampugnano. I pm sospettano poi che l'aumento dei compensi degli amministratori dell'Aeroporto di Siena, società a maggioranza pubblica in cui Galaxy entra con un forte potere decisionale, siano legati alla decisione di ampliare lo scalo.
Visto che la banca Mps è presente in tutte le fasi dell'operazione nei rapporti preliminari con Galaxy e nell'azionariato la sede di Rocca Salimbeni è stata perquisita a fine luglio. E da ieri si sa che Mussari, numero uno dell'istituto, è indagato. Al vertice delle banche italiane da un mese sponsorizzato da Unicredit e da Mediobanca Mussari dice di ritenersi "estraneo alle ipotesi di reato ipotizzate dalla procura di Siena".
Lombardia: cave, discariche, infrastrutture, politici ... e boss della ndrangheta
Pubblicato da CCCPEC.IT Sezione Ambiente, Discariche, Grandi Opere, Inquinamento, Mafia, Rifiuti
Cittadini contro l'amianto - Cremona
http://cittadinicontroamianto.blogspot.com
nodiscaricadiamianto@yahoo.it
COMUNICATO STAMPA - Cremona, 2 agosto 2010
LA DISCARICA NON S'HA DA FARE! Cappella Cantone (Cremona): la partita sulla discarica non è chiusa! Vergognoso e arrogante atteggiamento della giunta regionale e del sindaco Tadi. LE AMBIGUITA' INQUIETANTI DEI NUOVI PROPRIETARI DEL SITO DI RETORTO. LA MOBILITAZIONE A TUTTI I LIVELLI CONTINUERA'!
Vediamo in sintesi a che punto siamo e che cosa occorre continuare a fare.
1) La conferenza dei servizi per ottenere l'AIA (autorizzazione integrata ambientale), un altro dei passaggio autorizzativi per la discarica, si è svolta con modalità dai risvolti poco chiari in ordine a tempi e trasparenza. I sindaci contrari alla discarica chiedono un rinvio per poter esaminare le integrazioni tecniche presentate dalla ditta proponente (che a tal scopo aveva chiesto ed ottenuto un rinvio di 30 giorni lo scorso 17 giugno) poiché hanno avuto solo due giorni di tempo per esaminarle. Per inciso: tale riunione era presieduta da tal Roberto Cerretti, megafono docile della giunta Formigoni che già si era messo in mostra per la sua ignoranza (nel senso latino del termine) del problema in altre occasioni come, ad esempio, il seminario di Brescia sullo smaltimento dell'amianto.
2) La Regione rifiuta il rinvio e i sindaci abbandonano la riunione. La Regione continua l'incontro con la sola presenza, tra gli enti interessati, di Tadi, sindaco di Cappella Cantone (che prima o poi dovrà rendere conto ai cittadini del suo comportamento), e di Pinotti, assessore all'ambiente della provincia di Cremona, e redige un documento tecnico, in merito al quale si potranno presentare osservazioni entro 30 giorni, e non sospende, invece, la seduta come sarebbe stato logico se non ci fosse tanta insolita fretta, che si spiega solo con gli enormi interessi che stanno attorno alla realizzazione della discarica.
3) Dal rapporto Ecomafia redatto da Legambiente la provincia di Cremona si colloca al terzo posto dopo Pavia e Brescia per infrazioni accertate nella filiera dei rifiuti in Lombardia e la Lombardia è tra le primissime regioni per la presenza di soggetti che praticano una criminalità sistematica legata al traffico illecito di rifiuti e smaltimento irregolare. In questi mesi sono stati coinvolti funzionari pubblici e politici collusi che favoriscono per interessi economici le attività illecite e addetti al controllo che "chiudono un occhio" o avvisano per tempo i controllati.
Ricordiamo che Massimo Ponzoni, assessore all'ambiente (delega da cui dipendono le bonifiche delle aree inquinate) della giunta Formigoni nella scorsa legislatura, è stato raggiunto da un avviso di garanzia per bancarotta fraudolenta per il crac di una sua azienda, l'immobiliare Pellicano. Nell'immobiliare Ponzoni aveva come soci Buscemi, altro assessore della giunta Formigoni, Pozzi e Gariboldi (ex assessore provinciale a Pavia, moglie del deputato e vicecoordinatore nazionale del Pdl Giancarlo Abelli, ha patteggiato una pena di 2 anni per riciclaggio, dopo essere stata arrestata nell'ambito dell'inchiesta sullo scandalo delle bonifiche di Giuseppe Grossi. La Regione Lombardia aveva affidato a Grossi la bonifica del quartiere Santa Giulia, un'area di 1,2 milioni di metri quadrati, che ora è sotto sequestro per inquinamento delle falde acquifere). Nel luglio 2009 i tre escono. Nel gennaio 2010, il fallimento. Dalle casse della società scompaiono 200 mila euro. Accusato di averli fatti sparire, emettendo fatture false, è Ponzoni, aiutato dalla sua ex moglie, dal cognato Argentino Cocozza e dal commercialista Sergio Pennati. C'era una banca pronta (prima che arrivassero i magistrati) a salvare la Pellicano dal fallimento: il Credito bergamasco, Istituto che aveva nel consiglio d'amministrazione Giuseppe Grossi, il "re delle bonifiche".
Nell'ambito dell'inchiesta "Star Wars" nell'agosto 2008 viene arrestato Fortunato Stellittano del clan Iamonte-Moscato con l'accusa di traffico illegale di rifiuti speciali e tossici. L'uomo dei clan sversava e ricopriva veleni come piombo, cromo e idrocarburi pesanti in alcune cave della Brianza: a Seregno, a Briosco, a Desio. Ancora Desio, dove Stellittano aveva comprato un terreno, in via Molinara. A venderglielo il figlio di Domenico Cannarozzo, "capo dell'omonima famiglia legata al clan gelese di Salvatore Iaculano", dice un report dei carabinieri. Acquirente e venditore parlano tra loro, intercettati. Discutono anche dei loro "agganci politici". L'area di via Molinara viene infatti sequestrata dalla Polizia provinciale il 21 marzo 2008. Il giorno dopo, Cannarozzo esprime tutta la sua preoccupazione: "Hanno sequestrato il terreno e adesso vogliono fare la bonifica". Stellittano lo tranquillizza: "Adesso noi la bonifica, per quello che abbiamo buttato, da martedì iniziamo a farla". Come fa ad esser così sicuro? "Martedì vado a trovare Massimo e mi faccio fare lo svincolo, che è l'assessore all'ambiente, ed è a posto. Poi, se vogliono che bonifichiamo anche sotto, ancora meglio"
Per questo è necessario tenere alta l'attenzione per evitare che a Cappella Cantone si realizzino intrecci criminali tra malaffare e politica.
4) Dopo tre anni di continui rinvii dovuti principalmente alla mobilitazione dei cittadini che, di fatto, "hanno costretto" le istituzioni interessate a fare ricorso al TAR, è mutata la proprietà del terreno dove dovrebbe sorgere la discarica. Dal 27 maggio 2010 la Locatelli Gabriele spa, già socio di minoranza della Cavenord, con sede sempre a Bergamo, ha acquisito il 100 per cento delle quote. Questa "novità" non è per niente rassicurante e non fa che alimentare il livello di allerta ed aggravare i risvolti poco chiari di tutta la vicenda.
La Locatelli è stata protagonista dell'annosa vicenda legata al piano cave di Bergamo e del conflitto di interessi dell'assessore regionale Marco Lionello Pagnoncelli. Quest'ultimo è stato procuratore speciale e direttore tecnico della SPI srl che era in società al 50% con il Gruppo Locatelli. Pagnoncelli è stato fino al 1999 socio della Locatelli anche in "Bergamo pulita" e fino al 2006 in Verdelido srl (SPI 50%, Pier Luca locatelli 25% e Claudina Leidi 25%), fino al 2000 è amministratore unico di Verdelido poi cede la carica al fratello.
Nel 2000 anche la Lega presenta un ordine del giorno in consiglio comunale a Bergamo per chiedere la revoca di Pagnoncelli, allora assessore comunale alla mobilità, sempre per presunti conflitti di interesse in alcuni appalti.
La giunta regionale licenzia il piano cave nel dicembre 2005. Pagnoncelli era allora assessore all'artigianato ma presiedeva il Tavolo Territoriale di Bergamo su delega di Formigoni.
Pagnoncelli diventa assessore all'ambiente il 7 luglio 2006 e in quella data la SPI srl è ancora in società con Locatelli in Verdelido srl sin dal 1975 e in SPILO dal 25 gennaio 2006. Di quest'ultima società la famiglia Pagnoncelli cederà le proprie quote solo il 4 ottobre 2007. A quel punto il piano cave è stato licenziato anche dalla commissione ambiente il 31 luglio 2007. Per oltre un anno l'assessore all'ambiente Pagnoncelli è stato assessore alla partita delle cave e contemporaneamente procuratore speciale dell'azienda di famiglia SPI in società con il gruppo Locatelli, società di escavazione e costruzione tra quelle maggiormente beneficiate.
Il Piano Cave approvato in commissione ambiente nel luglio 2007 assegnava al gruppo Locatelli, direttamente o tramite società partecipate, il diritto a scavare 5,8 milioni di metri cubi più 3,5 milioni di riserve su un totale di 57 milioni di metri cubi. Un metro cubo vale circa 10 euro e posizionarsi bene nel piano cave serve anche a poter concorrere per le future grandi opere lombarde.
Le pressanti denunce mosse dal consigliere dei Verdi Saponaro fecero scoppiare un tale scandalo che Formigoni stesso impose il ritorno del piano cave di Bergamo in commissione e fece un minirimpasto estivo a fine luglio 2008. Ponzoni diventò assessore all'ambiente al posto di Pagnoncelli e quest'ultimo fu nominato sottosegretario ai rapporti con enti locali e rappresentanze socio-economiche. Tutto questo però non impedì a Formigoni di candidare ancora Pagnoncelli alle regionali 2010. Attualmente Pagnoncelli è consigliere regionale con delega agli Enti Locali e consigliere di amministrazione della Sea, la società di gestione degli aeroporti milanesi.
Altri risvolti ancora più inquietanti sono legati al gruppo Locatelli.
Il Comune di Bellusco (MB) ha aperto un contenzioso nell'aprile 2004 con la Locatelli Gabriele spa dato che nel corso dell'esecuzione dell'intervento di un'opera pubblica l'area di cantiere era stata interessata da attività di interramento abusivo di rifiuti pericolosi. Il Comune sostiene che l'interramento abusivo dei rifiuti nell'area cantiere è avvenuto per negligenza della ditta Locatelli, non avendo questa ottemperato l'obbligo di custodia diurna e notturna del cantiere, previsto dal capitolato speciale di appalto. Inoltre per le attività delittuose poste in essere nel cantiere in questione è stato imputato un dipendente della ditta Lovati, subappaltatore di Locatelli.
La Locatelli, in associazione temporanea di impresa con Salini Locatelli, Cotea Costruzioni e Castelli Lavori, vince l'appalto per lavori sulla statale del passo dello Stelvio. Tra le ditte in subappalto figura la Perego General Contractor srl. A proposito di quest'opera vengono intercettate conversazioni intercorse nel febbraio 2009 tra due esponenti della ndrangheta (riportate dal quotidiano La Provincia di Sondrio il 15 luglio 2010) di cui uno risulta garante della Perego. La Perego General Contractor srl, tra le più importanti imprese lombarde del movimento terra, ora fallita, era finita nelle mani della ndrangheta. Questa impresa si è occupata oltre che della superstrada in Valtellina anche di City Life, del nuovo centro congressi Portello-Fiera Milano, dell'ampliamento della strada statale Paullese, del nuovo ospedale Sant'Anna di Como, della Pedemontana e della Bre Be Mi. Dagli ultimi accertamenti risulta che sotto il nuovo ospedale S. Anna di Como vi siano 2mila tonnellate di rifiuti tossici tra cui l'amianto. Il proprietario della Perego strade, Ivan Perego, insieme agli amministratori dell'azienda Salvatore Strangio e Andrea Pavone sono stati arrestati nel luglio 2010. L'accusa per Perego è di aver favorito l'ingresso nella sua società del boss calabrese Strangio.
Dal quotidiano La Provincia di Cremona del 14 luglio 2010: "Nell'ordinanza del gip Gennari, (che ha firmato gli arresti per l'operazione Tenacia), spunta la figura di Antonio Oliviero ex assessore provinciale milanese della giunta Penati, indagato per corruzione e bancarotta della Perego General Contractor... vera e propria cassaforte del boss Strangio. Nel provvedimento, poi, spuntano anche i nomi di Massimo Ponzoni (Pdl) rieletto consigliere regionale, Emilio Santomauro e Guido Nardini
. Il gip fa poi anche riferimento all'acquisizione di una cava (e delle relative autorizzazioni non ancora in possesso di Perego) nel Cremonese da utilizzare per la movimentazione terra necessaria in relazione ai lavori
per la Paullese".
La Locatelli prende in subappalto dalla Delieto, appaltatrice in nome e per conto di Italferr, lavori per l'alta velocità ferroviaria e a sua volta subappalta i lavori di sbancamento alla P&P controllata dal clan Paparo. La Locatelli, secondo la legge antimafia, non potrebbe fare un subappalto per più del 2 per cento dei lavori e invece lo fa. Per eludere i controlli delle Ferrovie dello Stato che pretendono il rispetto delle norme antimafia il geometra Nicola Scipione della Locatelli "farà figurare un semplice contratto di nolo a caldo che sarà retrodatato" (scrive il gip); da una conversazione telefonica intercettata tra Scipione e Romualdo Paparo "sui camion delle P&P dice Scipione sai che fai schiaffaci due targhette Locatelli" . E il gioco è fatto.
Analoghi sistemi erano stati realizzati in relazione ai lavori sull'autostrada A4. Da http://espresso.repubblica.it di Paolo Biondani e Mario Portanova pubblicato il 25 aprile 2009: "Il pm Mario Venditti aveva chiesto il carcere anche per il manager della Locatelli. Il gip Caterina Interlandi lo ha negato con questa illuminante motivazione: l'impresa lombarda falsifica le carte "non per favorire il clan, ma per tutelare sé stessa e continuare a lavorare in nero". Quanto al manager, ha "innegabilmente" aiutato i Paparo a "eludere le norme antimafia", ma questa "è solo una contravvenzione per cui l'attuale legge non consente l'arresto".
5) La giunta regionale, con i suoi dirigenti subordinati ad essa, ed il sindaco Tadi dovranno prima o poi rispondere del loro operato, contrario agli interessi dei cittadini dell'area interessata, e delle loro menzogne e manipolazioni.
La giunta regionale sta cercando di approvare una discarica in un sito inidoneo e nocivo incurante del fatto che tutti i progetti finora presentati in Lombardia per smaltire l'amianto sono ubicati in siti inidonei e nocivi.
Il vero problema è che non si è ancora iniziato a smaltire l'enorme quantitativo di rifiuti di amianto presente sul territorio lombardo. La soluzione non è autorizzare discariche a tutti i costi, ma iniziare a fare una programmazione seria senza lasciare l'iniziativa ai privati e prendendo in considerazione, non solo a parole, l'alternativa all'interramento del rifiuto in discarica, e cioè gli impianti di inertizzazione.
Per quanto riguarda Tadi pochi giorni fa ha dichiarato alla stampa che l'alternativa della vetrificazione non esiste o quanto meno è molto difficile. E' evidente che il sindaco di Cappella Cantone sostiene una menzogna perché è preso da altri interessi, non ha seguito i convegni e i seminari che si sono succeduti e che hanno dimostrato esattamente il contrario, così come abbiamo sostenuto noi e i residenti della zona. Tadi, lo ribadiamo, se ne deve andare.
6) Gli allagamenti che si sono verificati a giugno sull'area di Retorto, e che noi abbiamo documentato inviando anche numerose foto agli organi di stampa, dimostrano che l'area NON è idonea e che chi si ostina a voler realizzare lì la discarica si renderà complice di un "atto criminale" per disastro ambientale e di questo ne dovranno rispondere.
7) La Magistratura dovrà prima o poi esaminare il nostro esposto, presentato il 10 novembre 2009 per salvaguardare la salute e l'incolumità pubblica, che ha come fondamento il principio di precauzione e le norme costituzionali che impongono il pieno rispetto e la preservazione dell'ambiente, esso stesso valore costituzionale, ed impongono un'anticipazione della tutela, prima della lesione del bene protetto.
8) Non è affatto vero, come sostengono alcuni politici, che ormai la realizzazione della discarica è inevitabile. L'ultima parola sarà dei cittadini che a fine mese riprenderanno iniziative e mobilitazioni per impedire nei fatti che si compia un crimine contro la popolazione locale. Inoltre ricordiamo, sul piano istituzionale, che il TAR di Brescia si dovrà pronunciare in autunno e che lo stesso TAR di Brescia ha già dato ragione ai comitati di Brescia e per ben due volte al comune di Travagliato bloccando i progetti di discariche di amianto in questione.
G8 Genova 2001, scuola Diaz: la macelleria "scatenata dai capi della Polizia"
Pubblicato da CCCPEC.IT Sezione Regime , giovedì 5 agosto 2010
LA MACELLERIA "SCATENATA DAI CAPI DELLA POLIZIA"
Le motivazioni della sentenza della Corte d'Appello sull'irruzione alla scuola Diaz: a guidare le operazioni, ordinate dal n° 1 De Gennaro, furono Luperi e Gratteri
IL FATTO QUOTIDIANO - 5 agosto 2010 pag. 12 e 13
È ORMAI STORIA della letteratura la litigata tra Salvo Montalbano e il suo vice Mimì Augello: il commissario, persa la fiducia nella Polizia per i fatti di Genova, per l'irruzione alla Diaz, pensa alle dimissioni. Adesso, nove anni dopo il G8 e sei anni dopo "il giro di boa" scritto da Andrea Camilleri, le motivazioni della sentenza della Corte d'Appello di Genova danno ragione all'invettiva di Montalbano contro i vertici della forza pubblica, compreso l'allora capo della Polizia Gianni De Gennaro, che "ordinò gli arresti" e il capo dell'Anticrimine Francesco Gratteri, condannato assieme ad altri quattro alti dirigenti perché avevano l'obbligo di impedire le violenze e non lo hanno fatto. Inchiodati, quindi, alle loro responsabilità proprio i vertici della Polizia - ribaltata la sentenza di primo grado , a partire dal capo Gianni De Gennaro, attualmente al comando dei servizi segreti.
Pubblichiamo i passaggi più importanti delle motivazioni della sentenza scritte dai giudici della Corte d'Appello di Genova.
DE GENNARO ORDINA: RISCATTIAMOCI
L'origine di tutta la vicenda è individuabile nell'esplicita richiesta da parte del capo della Polizia di riscattare l'immagine del corpo e di procedere a tal fine ad arresti, richiesta concretamente rafforzata dall'invio da Roma a Genova di alte personalità di sua fiducia ai vertici della Polizia che di fatto hanno scalzato i funzionari genovesi dalla gestione dell'ordine pubblico. Certo tale pressione psicologica non giustifica in nulla la commissione dei reati né l'eventuale malinteso spirito di corpo che ha caratterizzato anche successivamente la scarsa collaborazione con l'ufficio di Procura (riconosciuta anche dal Tribunale).
L'AGGRESSIONE (SIMULATA) ALL'AGENTE NUCERA
Uno dei fatti, più eclatanti nel verbale di arresto (...) è costituito dal vero e proprio tentato omicidio del quale il Nucera (agente di polizia, ndr) è stato vittima, e che è stato addotto come grave elemento di conferma dell'atteggiamento di violenta resistenza incontrato dagli operatori all'ingresso nella scuola. Ma a parte la elementare considerazione che se anche tale episodio si fosse effettivamente verificato, per la sua unicità e il confinamento in un ristrettissimo ambito soggettivo e spaziale non avrebbe comunque giustificato l'aggressione a tutti gli altri occupanti la scuola, la Corte rileva che, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, l'episodio costituisce una delle più gravi e si perdoni l'iperbole sfrontate messe in scena di questo processo.
Il Tribunale ha già riportato per esteso le diverse versioni del fatto fornite dal Nucera e dal collega Panzieri che avrebbe assistito all'episodio. (...) A seguito di perizia disposta dal P.M., la quale verificava che i due tagli sulla giubba non potevano essere conseguenza di un solo colpo, ma almeno di due, il Nucera, nell'interrogatorio del 07/10/2002 mutava versione dei fatti. (...) Oltre all'intrinseca inattendibilità di ciascuna di dette versioni, non può non rimarcarsi l'evidente diversità ed incompatibilità reciproca fra le stesse, nonché la direzione assunta dal notevole mutamento di strategia difensiva, coerente con le risultanze della perizia di parte del P.M. che aveva escluso la compatibilità delle lacerazioni sugli abiti con la dinamica dei fatti riferita dal Nucera nella annotazione di servizio. È evidente che nella prima versione dei fatti il Nucera ha riferito di essere stato attinto da un solo colpo, mentre nella seconda ne ha riferiti due, e trattasi di differenza sostanziale, non giustificata dal Nucera, e spiegabile solo con l'esito della perizia alla quale egli intendeva allineare le proprie dichiarazioni.
LE RESPONSABILITÀ DEI DUE SUPERPOLIZIOTTI
Risulta così ampiamente dimostrata la partecipazione diretta e attiva di Gratteri anche nella fase della redazione degli atti e, soprattutto, nel controllo del loro contenuto (...), con il suggerimento del contenuto e il successivo controllo per verificarne la congruità con gli altri atti. La richiesta di certificati medici attestanti le lesioni subite dai poliziotti per suffragare il giudizio sulla "proporzione fra forza usata e violenta resistenza incontrata" è ulteriormente sintomatico del concorso di Gratteri nella formazione dei verbali.(...). In definitiva può affermarsi con elevato grado di sicurezza che la linea di comando dell'operazione è da individuarsi in Luperi, figura di riferimento per gli appartenenti alla Digos e in Gratteri figura di riferimento per gli appartenenti alle squadre mobili; la circostanza è del resto affermata anche dalla sentenza impugnata. Quanto alla consapevolezza delle falsità contenute nei verbali (...) si deve ricordare: Luperi e Gratteri arrivarono fra i primi sui luoghi, quando erano in corso i pestaggi di Covell e di Frieri, e comunque il corpo di Covell sarebbe rimasto ben visibile accasciato vicino al cancello di ingresso; lo stesso Luperi ha ammesso di aver visto Frieri bloccato a terra da poliziotti, ma senza saperne il motivo. Risulta, pertanto, poco credibile che i due non si siano avveduti delle violenze che già erano iniziate ben prima dell'arrivo al cortile della Diaz; Luperi e Gratteri entrarono alla Diaz pochi minuti dopo lo sfondamento del portone, secondo le ricostruzioni dello svolgimento dei fatti (...). In particolare il momento di ingresso sia di Gratteri, sia di Luperi è collocabile intorno alle 00,03.30 della domenica 22 luglio, ossia in un momento in cui non è dato seriamente dubitare che la parte "messa in sicurezza" dell'operazione di polizia fosse ancora in pieno svolgimento. (...) È quindi impossibile che essi non abbiano percepito cosa fosse realmente accaduto essendo due dei massimi esponenti della Polizia di Stato, e soprattutto che nessuno li abbia informati. A tale proposito non bisogna dimenticare che almeno l'imputato Fournier ha manifestato di essere ben consapevole della "macelleria messicana" e di averne fatto espresso riferimento a Canterini, per cui non è credibile che i due massimi dirigenti non siano stati informati. Ma l'evidenza oggettiva dei fatti, anche ammesso che i due fossero giunti all'interno della scuola dopo la cessazione delle violenze, era tale da ingenerare in chiunque la certezza che vi fosse stato un gravissimo ed ingiustificato abuso della forza: l'elevato numero dei feriti anche gravi, le urla strazianti che in ogni caso si sentivano chiaramente all'esterno fin dall'inizio dell'operazione, le condizioni della scuola all'interno caratterizzate da sangue fresco su muri e sui caloriferi e per terra, porte divelte, arredi fracassati, vetri infranti davano vita ad una scena di violenza talmente evidente e generalizzata da non poter essere seriamente misconosciuta.
LE BOTTIGLIE MOLOTOV: PORTATE DAGLI AGENTI
Alla concreta possibilità di rendersi pienamente conto di quanto era successo all'interno della scuola si ricollega la vicenda delle bottiglie molotov, come sopra già ricostruita, che nell'evidenziare la consapevole partecipazione dei due imputati alla predisposizione della falsa accusa di detenzione delle stesse da parte di tutti gli arrestati, fornisce la conferma più esauriente del ruolo attivo svolto da Luperi e Gratteri.
Costoro, preso atto del fallimentare esito della perquisizione, si sono attivamente adoperati per nascondere la vergognosa condotta dei poliziotti violenti concorrendo a predisporre una serie di false rappresentazioni della realtà a costo di arrestare e accusare ingiustamente i presenti nella scuola. (...) Viene riferito il ritrovamento di bottiglie incendiarie tipo "molotov" al "primo piano dell'edificio in luogo visibile ed accessibile a tutti gli occupanti"; nel verbale di perquisizione e sequestro le bottiglie sono localizzate "nella sala di ingresso ubicata al pian terreno".
(...) È emerso nel corso del dibattimento, allorché sorse la necessità di visionare tali reperti, che gli stessi sono scomparsi; secondo la Questura di Genova perché accidentalmente distrutti per errore dell'artificiere incaricato della distruzione di altri reperti, ma secondo le successive indagini svolte dalla Procura, la cui acquisizione al processo non è stata ammessa dal Tribunale, perché intenzionalmente asportate da ignoti funzionari mediante pressioni sul predetto artificiere. (...) È ammesso dalle difese di tutti gli imputati che in realtà tali ordigni non erano presenti quella sera nella scuola Pertini, ma lì sono stati trasportati dall'esterno (...). Queste circostanze sono documentalmente riscontrate dalle riprese filmate che mostrano la scena nella quale l'intero gruppo di funzionari responsabili dei reparti impegnati alla perquisizione e i due superiori gerarchici apicali Luperi e Gratteri sono attorno alle bottiglie Molotov appena consegnate.
(...) Il Dott. Luperi, dopo aver negato qualsiasi contatto con le molotov, messo di fronte all'evidenza del filmato ha ammesso di aver ricevuto il sacchetto (contenente le molotov, ndr) da Caldarozzi e sostiene che prima Mortola lo avrebbe informato del ritrovamento; ha ammesso che il gruppo di funzionari in quell'occasione discusse delle bottiglie; poi riferisce di aver compiuto una telefonata tenendo in mano il sacchetto, e all'esito, essendosi disciolto il gruppo di funzionari ed essendosi ritrovato solo, avrebbe affidato il sacchetto con le molotov alla Dott.ssa Mengoni della Digos di Firenze, primo ufficiale di PG che riconobbe sul posto; conferma di aver rivisto le bottiglie molotov (ma ancora nel sacchetto) sullo striscione steso nella scuola sul quale erano stati sistemati tutti i reperti in sequestro.
NESSUN MOTIVO PER GLI ARRESTI
Palese mancanza dei presupposti per operare un arresto in flagranza di tutti gli occupanti dell'istituto, non essendo, fra l'altro, soggettivamente riferibili i reati ipotizzati di resistenza aggravata, lesioni a pubblico ufficiale, tentato omicidio e associazione per delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio.
(...) Secondo la Corte, non è possibile descrivere i fatti in esame come la somma di singoli episodi delittuosi occasionalmente compiuti dagli operatori indipendentemente l'uno dall'altro in preda allo sfogo di bassi istinti incontrollati; al contrario, trattasi di condotta concorsuale dai singoli agenti tenuta nella consapevolezza che altrettanto avrebbero fatto e stavano facendo i colleghi, coerente con le motivazioni ricevute dai superiori gerarchici e con l'esplicito incarico di usare la forza per compiere lo sfondamento e l'irruzione finalizzati all'arresto di pericolosi soggetti violenti, senza alcuna preventiva o successiva forma di controllo sull'uso di tale forza. La responsabilità di tale condotta e, quindi, delle lesioni inferte, è pertanto ravvisabile in capo ai dirigenti che organizzarono l'operazione e che la condussero sul campo con le modalità e le finalità sopra descritte; trattasi di responsabilità commissiva diretta per condotta concorsuale con quella degli autori materiali delle lesioni, perché scatenare una così rilevante massa di uomini armati incaricandola di sfondare gli accessi e fare irruzione nella scuola con la motivazione che all'interno soggiornavano i pericolosi Black Bloc che i giorni precedenti avevano messo a ferro e fuoco la città di Genova e si erano fatti beffe della Polizia, senza fornire un chiaro e specifico incarico sulla cosiddetta "messa in sicurezza" o alcun limite finalizzato a distinguere le posizioni soggettive, significa avere la certa consapevolezza che tale massa di agenti, come un sol uomo, avrebbe quanto meno aggredito fisicamente e indistintamente le persone che si trovavano all'interno, come in effetti è accaduto senza alcun segnale di sorpresa o rammarico manifestato da alcuno dei presenti di fronte all'evidenza del massacro.
"E il ruolo di Fini? Mancano troppe risposte"
L'ex sindaco Pericu: si salva la politica
di Giampiero Calapà
IL FATTO QUOTIDIANO - 5 agosto 2010 pag. 13
GIUSEPPE PERICU è il sindaco di Genova nel 2001 (eletto nel 1997, riconfermato nel 2002, ha guidato la città per dieci anni). Ha sempre chiesto l'istituzione di una commissione d'inchiesta parlamentare "per chiarire alcuni aspetti di responsabilità politica sui quali è rimasta una fitta coltre di mistero, come sulla presenza di Gianfranco Fini, vicepresidente del Consiglio, nella sala operativa della Questura di Genova". Il governo in carica era il Berlusconi II, ministro degli Interni Claudio Scajola, le cui ammissioni di aver ordinato di sparare contro chi avesse "violato" la zona rossa provocarono sconcerto e scalpore. "Una gestione che evidenziò gravissime carenze afferma Pericu, diessino nel 2001 e ora nel Pd pari a quelle del governo precedente, di centrosinistra e presieduto da Giuliano Amato, che preparò l'evento. Questo va detto con chiarezza, perché mi apparve evidente fin da subito che, mentre si accumulavano tensioni, nell'anno che precedette il G8 fu fatto ben poco per evitare la tragedia, che puntualmente si presentò". Adesso, però, si può leggere quanto scritto dalla Corte d'Appello di Genova: le motivazioni di sentenze che accusano i vertici della Polizia, dirigenti importantissimi la cui carriera, dopo il G8, non si è certo fermata. Tanto che il capo della Polizia nel 2001, Gianni De Gennaro, oggi guida i servizi segreti: condannato a un anno e quattro mesi per aver istigato alla falsa testimonianza, nel processo, l'ex questore di Genova Francesco Colucci. Poi, le 25 condanne per la mattanza della Diaz, con la sentenza d'appello che ribalta il primo grado: 4 anni a Francesco Gratteri e altri 4 a Giovanni Luperi, i due poliziotti più importanti presenti quella notte tra il 21 e il 22 luglio 2001 alla scuola Diaz.
Eppure l'ex sindaco Pericu è tutt'altro che soddisfatto anche di questi esiti: "Un magistrato ha una capacità di indagine assai limitata, perché deve mettere in relazione i fatti ai comportamenti delle singole persone. Una valutazione politica di quei giorni richiederebbe di accertare anche le responsabilità politiche. Noi genovesi abbiamo sempre chiesto una seria inchiesta parlamentare proprio per questo motivo. Ma questa indagine la politica non la ha mai voluta, nonostante le carenze enormi da parte governativa che già all'epoca apparvero evidenti".
Per Pericu, i misteri ormai rimarrano tali: "È passato troppo tempo: non solo Diaz, dico Piazza Alimonda con l'uccisione di Carlo Giuliani, Bolzaneto e circostanze singolari come la presenza dell'allora vicepremier Fini nella sala operativa della Questura". Genova, luglio 2001, "le responsabilità politiche non saranno mai accertate", sospira l'ex sindaco.
Per saperne di più
All'indirizzo http://download.repubblica.it/pdf/2010/sentenza_diaz.pdf il testo delle motivazioni della sentenza della Corte d'Appello di Genova.
Treni merci addio, tutto sui camion
Pubblicato da CCCPEC.IT Sezione Ferrovie , mercoledì 4 agosto 2010
ADDIO AI TRENI PER LE MERCI ESULTANO I CAMION
Le Fs tagliano e il governo incentiva i trasportatori su gomma
di Daniele Martini
IL FATTO QUOTIDIANO - 4 agosto 2010 pag. 11
Treni merci addio. L'Italia si avvia a conquistare anche il record di primo paese d'Europa senza un servizio cargo pubblico su rotaia. Il traguardo non è lontano e le Ferrovie fanno di tutto per raggiungerlo il più in fretta possibile. I dati forniti al Fatto dagli operatori del settore sono molto negativi. Secondo Giacomo Di Patrizi, presidente di FerCargo, l'associazione delle imprese del trasporto merci, dal 2006 al 2010 il traffico è sceso da 68 milioni di treni al chilometro a 42 milioni. Nel 2009 il calo è stato superiore al 30 per cento e quest'anno è previsto un altro arretramento dell'8. La quota di traffico su ferro è ormai appena il 6 per cento del totale delle merci trasportate, la metà della media europea. Su questa Waterloo dei binari pesa ovviamente la crisi economica, ma l'arretramento è ormai strutturale, frutto soprattutto di una scelta deliberata dalle Fs assecondata, di fatto, dal governo. Sono anni, per la verità, che la divisione merci Fs zoppica vistosamente, ma il fenomeno ha avuto un'accelerazione negli ultimi tempi ed è andata del tutto delusa la speranza che l'arrivo di un "ferroviere" alla guida dell'azienda dei treni, un tecnico come Mauro Moretti, potesse invertire la tendenza e riportare gradualmente anche il cargo italiano verso livelli europei. Alla fine del primo mandato e all'inizio del secondo, il bilancio dell'era Moretti per le merci è in netto passivo. Il nuovo amministratore tratta il settore come una cenerentola, peggio, come una zavorra di cui liberarsi perché non fa utili, proprio come il trasporto pendolari e quello passeggeri sulle lunghe percorrenze. Per Moretti, e per il governo che gli lascia mano libera, solo i treni redditizi, i Freccia Rossa, Argento e similari, sono meritevoli di attenzione. Con buona pace della natura pubblica delle Fs, azienda di proprietà del ministero dell'Economia, tenuta all'erogazione di un servizio universale per i cittadini e le merci.
IN CONTROTENDENZA. Sintetizza il presidente FerCargo: "Ci stiamo avviando verso l'estinzione del trasporto merci su ferro; il governo consente al gestore dell'infrastruttura, la società Rfi delle Ferrovie, di ridurre il numero di scali disponibili e di porre maggiori vincoli e pretendere prezzi più alti per l'accesso a quelli rimasti disponibili". Durissima anche Assoferr, l'associazione degli operatori ferroviari intermodali: "Le Fs pensano solo all'Alta velocità passeggeri che sta progressivamente distruggendo il sistema ferroviario merci italiano sia convenzionale sia intermodale". Per Giovanni Luciano, segretario trasporti Cisl, "il trasporto merci è dimenticato proprio nel momento in cui in Europa tutti puntano sui trasporti puliti". Moretti finora ha affrontato il tema con una logica più da contabile che capo azienda. Invece di riorganizzare il servizio per renderlo più efficiente e conveniente, si è concentrato sul contenimento delle perdite, obiettivo senz'altro lodevole, ma strategicamente asfittico. Rispetto a un rosso di 300 milioni e passa di euro all'anno, ora la divisione merci Fs viaggia sui 200. Ma dal punto di vista dell'economia dei trasporti non è un gran risultato, perché sull'altro piatto della bilancia ci sono migliaia di imprese costrette a trasferire le merci dai treni alla strada con costi maggiori.
IL MOMENTO DEI TIR. Da aprile a queste aziende le Fs negano la possibilità di spedire singoli carri costringendole ad organizzare un treno completo. Ovvio che soprattutto le medie e piccole abbiano rinunciato ai binari e obtorto collo si siano rivolte ai padroncini dei camion e dei tir. Ancora nessuno sa quanto costerà al sistema Paese questo spostamento forzoso anche in termini di sicurezza sulle strade. Di certo, però, il costo economico complessivo sarà di gran lunga superiore dei 100 milioni di euro di minori perdite incamerati dalle Fs. E mentre le Ferrovie si ritirano dal mercato italiano, comprese le aree ricche del Nord, al loro posto si fanno avanti i colossi europei che fiutano l'affare, da Deutsche Bahnof, le ferrovie tedesche, a Sncf, i francesi, alle ferrovie svizzere. Nel Centro e nel Sud, inoltre, è tutto un proliferare di nuove società cargo private, almeno una decina, impegnate a occupare il vuoto lasciato dall'azienda di Moretti.
L'impostazione del capo Fs, però, piace all'azionista unico, il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, che infatti tace e quindi acconsente. Il governo fa anche di peggio: non solo si rende complice della ritirata dai binari, ma favorisce in tutti i modi i padroncini dei camion. Molto più di altri esecutivi del passato, il governo Berlusconi ha scelto la strategia della gomma foraggiandola con la bellezza di circa un miliardo di euro di incentivi all'anno. A cui di recente ha aggiunto un altro regalo, infilato quasi di soppiatto nel decreto per la privatizzazione della compagnia di navigazione Tirrenia.
TARIFFE MINIME. Il dono si chiama "provvedimento sulle tariffe minime" e permette alle società di trasporto e ai camionisti di fissare un prezzo al di sotto del quale non è consentito scendere. In pratica è un assist alle intese di cartello, contro gli interessi di chi spedisce le merci. Il giorno prima dell'approvazione il presidente dell'Antitrust, Antonio Catricalà, di solito prudente e misurato, è arrivato addirittura ad invitare i parlamentari a non votare a favore del testo preparato dal governo. E anche Confindustria ha criticato la scelta, mentre il senatore Luigi Zanda (Pd) se l'è presa con il malcostume di mimetizzare provvedimenti importanti come questo all'interno di altri testi.
Il sottosegretario alle Infrastrutture, Bartolomeo Giachino, ha sostenuto la scelta pro-padroncini con un'argomentazione da antologia: "L'Italia è un paese in cui l'autotrasporto dispone di un potere e di armi che nessun altro ha nell'economia". Come i camionisti ai tempi del colpo di Stato di Pinochet in Cile, insomma. Siccome gli autotrasportatori dell'Unatras stavano minacciando il blocco dei Tir ad agosto, con una botta di coraggio decisionista il governo ha deciso di affrontarli cedendo. Li ha accontentati in pieno, fornendo loro, oltretutto, altre munizioni per presentarsi più forti al prossimo scontro e al prossimo inevitabile ricatto.
Trentennale della strage di Bologna, la fuga del governo del piduista Berlusconi (tessera n. 1816)
Pubblicato da CCCPEC.IT Sezione Regime , lunedì 2 agosto 2010
Strage di Bologna, nessun rappresentante dell'esecutivo alla cerimonia
Tratto dal sito www.ilfattoquotidiano.it - 2 agosto 2010
Il governo in fuga da Bologna (nessun rappresentante dell'esecutivo è presente oggi al ricordo della strage, 30 anni dopo) è la dimostrazione plastica di un'assenza politica: il governo e le forze che lo esprimono sono altrove, rispetto ai cittadini che chiedono, da tre decenni, la verità non solo sugli esecutori ma anche sui mandanti delle stragi italiane. La giustificazione dell'assenza fisica dalle manifestazioni di Bologna è la paura di ricevere, come ogni anno, i fischi di una parte della piazza. Ma può un governo pretendere di andare solo dove raccoglie applausi? E poi: i familiari delle vittime della strage hanno organizzato quest'anno il ricordo del 2 agosto 1980, decidendo che i politici e le autorità avrebbero parlato non in piazza, ma solo nell'incontro al chiuso; il rappresentante del governo non sarebbe stato dunque esposto alle contestazioni. Nonostante questo, il governo ha ribadito la sua assenza. Una scelta. Una scelta politica. Perché la strage di Bologna non è soltanto la più grave e sanguinosa delle stragi italiane, è anche l'unica per cui si è arrivati a una verità giudiziaria. A mettere la bomba alla stazione, quel 2 agosto, furono i fascisti Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, secondo quanto hanno stabilito le sentenze ormai definitive. E Licio Gelli, per mano di due ufficiali del servizio segreto militare, operò per depistare le indagini della magistratura e indirizzarle sul binario morto di una fantastica "pista internazionale".
Resta aperta, ancora 30 anni dopo, la domanda: chi armò la mano dei fascisti? Quale rete di poteri, sotto la direzione della P2, rese possibile la strage e tentò in ogni modo di avvelenare le indagini?
La "pista internazionale" ha i suoi sostenitori ancora oggi. Ancora oggi, tempi di "nuove P2″ e di piduisti al governo, c'è chi lavora per affermare che la più grande strage italiana è stata partorita in qualche segreta stanza lontano dall'Italia. Protagonisti evocati, a scelta o tutti insieme: il terrorista Carlos, i palestinesi, i servizi segreti israeliani e via almanaccando. Tutto ciò senza uno straccio di prova, e buttando via come fossero carta straccia le migliaia di pagine di atti giudiziari che hanno portato alle condanne definitive per i neofascisti italiani. Tranquillizzante, la "pista internazionale": butta le responsabilità in un altrove lontano e fumoso, trasforma la strage di Bologna in una esotica spy story internazionale e toglie dagli impicci la P2, i servizi segreti italiani, i politici di casa nostra che sanno e che non vogliono parlare. Comodo. Rasserenante anche per chi, in buona fede, non vuole credere a una realtà troppo dura: che nella storia italiana abbiano agito forze che hanno usato, via via, l'omicidio politico, il tritolo, la strage. Che hanno coperto gruppi criminali (terroristi fascisti o cosche mafiose) usati spregiudicatamente per fare i "lavori sporchi". La verità su questo passato italiano, anche trent'anni dopo, resta evidentemente troppo terribile. Meglio continuare a depistare, inseguendo "piste internazionali". E scappando perfino dai luoghi della memoria: l'assenza del governo da Bologna, oggi 2 agosto, "parla" e dice più cose di cento discorsi.
Per saperne di più
Il sito dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna 2 agosto 1980: www.stragi.it
A questo indirizzo la pagina di Wikipedia sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980:
A questo indirizzo la puntata della trasmissione "Blu Notte - Misteri italiani" dedicata alla strage di Bologna del 2 agosto 1980:
A questo indirizzo la puntata della trasmissione "Blu Notte - Misteri italiani" dedicata alla loggia massonica segreta P2 di Licio Gelli:
G8 Genova 2001, il regime in azione
Pubblicato da CCCPEC.IT Sezione Regime , domenica 1 agosto 2010
G8, De Gennaro ordinò gli arresti. E arrivò la Diaz
di Angelo Mastrandrea
Tratto dal sito www.ilmanifesto.it - 1 agosto 2010
Inviati da De Gennaro per «riscattare l'immagine del corpo» e «procedere a tal fine ad arresti», gli alti funzionari della polizia condannati per l'irruzione alla scuola Diaz di Genova la notte del 21 luglio 2001 videro le violenze ma non fecero nulla per impedirle. Pesano come un macigno sui vertici della polizia le 310 pagine delle motivazioni della sentenza con la quale la Corte d'Appello di Genova ha ribaltato la sentenza di primo grado sulla «notte cilena» del G8 2001 alla scuola Diaz.
Il 18 maggio scorso, infatti, i giudici avevano condannato 25 imputati, tra i quali il capo dell'anticrimine Francesco Gratteri (a 4 anni di carcere), l'ex comandante del primo reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini (5 anni), Giovanni Luperi (4 anni), Spartaco Mortola (3 anni e 8 mesi) e Gilberto Caldarozzi (3 anni e 8 mesi).
Nelle motivazioni depositate dalla Corte (in anticipo sulla scadenza annunciata del 16 agosto) si spiega che i funzionari di polizia presenti al momento dell'irruzione nell'ex sede del Genoa social forum sono stati condannati perché avevano l'obbligo di impedire le violenze e non lo hanno fatto.
Non solo. La sentenza mette nero su bianco anche il ruolo di Gianni De Gennaro, allora capo della polizia e oggi ai vertici del Dis, i ridisegnati servizi segreti italiani. Secondo la Corte, infatti, «l'origine di tutta la vicenda è individuabile nella esplicita richiesta da parte del Capo della Polizia di riscattare l'immagine del corpo e di procedere a tal fine ad arresti, richiesta concretamente rafforzata dall'invio da Roma a Genova di alte personalità di sua fiducia ai vertici della Polizia che di fatto hanno scalzato i funzionari genovesi dalla gestione dell'ordine pubblico».
La tesi è chiarissima e dà ragione all'ipotesi della procura: la violenta repressione del 21 luglio 2001 (il giorno dopo l'uccisione di Carlo Giuliani), con centinaia di arresti al corteo finale del G8 tra tutte le componenti del movimento no global, e l'irruzione alla Diaz nascerebbero da una «richiesta» arrivata da De Gennaro in persona ai suoi «fiduciari» appositamente inviati da Roma a Genova. Una «pressione psicologica» che per la Corte però «non giustifica in nulla la commissione dei reati né l'eventuale malinteso spirito di corpo che ha caratterizzato anche successivamente la scarsa collaborazione con l'ufficio di Procura». Insomma, i poliziotti potrebbero essere poi andati al di là delle intenzioni, con i pestaggi e le violenze.
Parole che fanno sobbalzare l'ex portavoce del Genoa social forum Vittorio Agnoletto e il giornalista LorenzoGuadagnucci, vittima della Diaz: «Queste motivazioni confermano la ricostruzione storica dei fatti compiuta dai pm e da sempre sostenuta dal movimento e dalle vittime. Abbiamo sempre sostenuto che l'assalto alla Diaz non è stato frutto di una decisione improvvisa di qualche funzionario di polizia di medio-basso grado, ma è nata da una "esplicita richiesta da parte del Capo della Polizia"», dicono.
Rispetto alla sentenza di primo grado, l'Appello stabilisce la responsabilità dei vertici per le violenze e per i falsi atti, come le bottiglie molotov portate dentro la scuola dai poliziotti e poi fatte risultare come prova del possesso di armi da parte degli occupanti. Secondo la Corte, del falso documentale sono responsabili anche i vertici della polizia presenti e non solo i loro sottoposti. A convincere i magistrati della colpevolezza, i filmati che mostrano un conciliabolo tra alti dirigenti della polizia nel cortile della scuola con le bottiglie in mano.
Per quanto riguarda le violenze commesse dalle forze dell'ordine durante l'irruzione, la Corte spiega che Gratteri, Canterini e Luperi erano stati mandati a Genova da Roma per gestire l'ordine pubblico ed erano i più alti funzionari presenti in loco. Erano presenti all'operazione e hanno visto quello che accadeva, e poiché erano gerarchicamente sovraordinati potevano intervenire per impedire le violenze. Ma non lo fecero.
Nel frattempo tutti i dirigenti condannati sono stati promossi e mai allontanati dalla polizia, mentre De Gennaro è stato condannato a un anno e quattro mesi in Appello per istigazione alla falsa testimonianza al processo sulla scuola Diaz. Dopo entrambe le sentenze sia il ministro dell'Interno Maroni che quello della Giustizia Alfano si affrettarono a garantire solidarietà e protezione ai condannati, assicurando che non sarebbero stati sospesi come chiedevano a gran voce le vittime e i movimenti.
A maggior ragione oggi, dopo le motivazioni della Corte, Agnoletto e Guadagnucci rilanciano la richiesta: «Questa esplicita attribuzione di responsabilità al vertice della polizia rende ancora più inopportuna la permanenza dei dirigenti condannati, a cominciare dal massimo livello, ai loro posti».
"G8, quei poliziotti hanno infangato l'Italia"
Massacro alla Diaz, le motivazioni della condanna: i capi ordinarono prove false per riabilitarsi
di Marco Preve
LA REPUBBLICA - 1 agosto 2010 pag. 18
GENOVA - «L'enormità di tali fatti, che hanno gettato discredito sulla nazione agli occhi del mondo intero, non rende seriamente rintracciabile alcuna circostanza attenuante generica». È l'impietosa analisi di un'operazione «vergognosa» originata da un'ansia di prestazione e che, sfociata in un «disastro», per essere mascherata scatena una serie impressionante di comportamenti illeciti che hanno infangato l'Italia.
È questa la sintesi delle 313 pagine che contengono le motivazioni della sentenza d'appello (presidente Salvatore Sinagra, consiglieri Francesco Mazza Galanti e Giuseppe Diomeda) del processo Diaz, quella che nel maggio scorso ribaltò la sentenza di primo grado condannando - i reati vanno dal falso, alla calunnia, alle lesioni - 25 imputati tra i quali alcuni dei massimi dirigenti della polizia italiana. Come Gianni Luperi e Francesco Gratteri, il primo capo dell'intelligence e il secondo dell'antiterrorismo, due dei più importanti poliziotti italiani, condannati entrambi a 4 anni.
Ecco che cosa scrive di loro la Corte d'Appello: «Preso atto del fallimentare esito della perquisizione, si sono attivamente adoperati per nascondere la vergognosa condotta dei poliziotti violenti concorrendo a predisporre una serie di false rappresentazioni della realtà a costo di arrestare e accusare ingiustamente i presenti nella scuola».
I giudici ricostruiscono così l'escalation: «Si doveva riscattare l'immagine della polizia che nei giorni precedenti era sembrata inerte di fronte ai gravissimi episodi di devastazione e saccheggio...», e la Diaz diventa così il bersaglio di quella «finalità mediatica dell'operazione che si intendeva perseguire». Per i magistrati l'impulso arriva direttamente dall'allora capo della polizia Gianni De Gennaro, anche lui condannato in appello perché avrebbe istigato a rendere falsa testimonianza nel processo Diaz l'ex questore di Genova Francesco Colucci.
«Ma anche per procedere alla perquisizione - si legge - non è sufficiente un sollecito da parte del capo della polizia, bensì occorre pur sempre il sospetto della presenza di armi illegalmente detenute». «Viceversa è stato approntato un apparato "bellico" di notevoli dimensioni...». Gli "animali" si scatenano nella "macelleria messicana": così la chiama Massimiliano Fournier, vicequestore della Celere anche lui condannato. Il primo a farne le spese è il giornalista inglese Mark Covell, sorpreso all'esterno della scuola e pestato a sangue. Ci vogliono anni per capire chi sia stato: «Gli autori di tale vile massacro - scrivono i giudici - non possono che essere stati appartenenti alla polizia di Stato... condotte violente sadicamente ripetute fino alla perdita dei sensi di Covell nell'indifferenza generale di tutti i funzionari e dirigenti ivi presenti».
C'è addirittura una logica machiavellica nell'operazione Diaz: «Il fine: procedere in ogni caso agli arresti, ha giustificato il mezzo: contestazione di falsa accusa di delitto associativo».
L'Aquila, il cemento scadente ha ucciso metà delle vittime del sisma
Pubblicato da CCCPEC.IT Sezione Terremoto Abruzzo
L'Aquila, la strage del cemento scadente "Così ha ucciso metà delle vittime del sisma"
di Giuseppe Caporale
LA REPUBBLICA - 1 agosto 2010 pag. 12
L'AQUILA - Ad uccidere 150 persone su 308 durante il terremoto dell'Aquila, fu il cemento «scadente». Dieci condomini si trasformarono in tombe per «errori di progetto e di calcolo delle strutture», «violazione delle norme antisismiche» e soprattutto «scadente qualità del calcestruzzo». Lo scrive il sostituto procuratore Fabio Picuti in una voluminosa memoria consegnata al giudice per le udienze preliminari dell'Aquila, pochi giorni fa. Un fascicolo istruito, in realtà, per chiedere il rinvio a giudizio dei vertici della Protezione Civile (con l'accusa di omicidio colposo per non aver valutato correttamente il rischio terremoto durante il periodo delle sciame sismico), ma che contiene all'interno anche un'analisi dei crolli del 6 aprile 2009.
In queste pagine, per la prima volta, il magistrato che - assieme al procuratore Alfredo Rossini - coordina le 190 indagini sui palazzi-killer, svela i risultati delle perizie tecniche. E i dati sono impressionanti. «L'edificio di via Cola dell'Amatrice numero 17, dove sono morte 12 persone, realizzato in cemento armato e costruito negli anni 1959/1960, è crollato - scrive il pm - per la scadente qualità del calcestruzzo utilizzato, per errori di progetto e di calcolo delle strutture». «L'edificio di via XX settembre numero 123 dove perirono in totale 5 persone, costruito in cemento armato nel 1955, crollava per la carenza di calcestruzzo utilizzato, per errori di progetto e di calcolo» e per «violazione delle norme antisimiche». E ancora «L'edificio di via XX settembre numero 46/52 in cemento armato e costruito negli anni 1963/1965, dove perirono in totale 8 persone (la Casa dello Studente, ndr) crollava per la scadente qualità del calcestruzzo utilizzato, per errori di progetto e di calcolo» e per «la violazione delle norme antisismiche». «L'edificio di via Generale Francesco Rossi 22 dove morirono 17 persone, costituita da struttura portate in muratura e solai e tetto in cemento armato, costruito nella prima metà degli anni '50, è crollato per errori di progetto e di calcolo, per errati interventi nella realizzazione del tetto in cemento armato». Per questi edifici-killer ci sarà la richiesta di rinvio a giudizio, come per i crolli dell'ospedale, del tribunale, del catasto, della facoltà di ingegneria e una decina di scuole e dove, fortunatamente, non ci furono vittime.
Oltre cento indagini su 190, invece, si chiuderanno senza processo. Oltre un centinaio di edifici tra il centro storico dell'Aquila e i paesi della zona vennero giù solo per «vetustà delle strutture sismicamente inadeguate», ha scritto il magistrato. Non ci sarà quindi processo per gli oltre quaranta morti di Onna, e per quelli di San Demetrio, Tempera, Paganica, Fossa, Villa Sant'Angelo.